Il Nord Africa prossimo obiettivo delle nostre imprese di costruzioni

“Il valore del mercato delle costruzioni, in tutta l’Africa valeva nel 2008 circa 167 miliardi di euro – spiega Lorenzo Bellicini direttore del Cresme, l’istituto leader nelle analisi del mercato dell’edilizia- quando, nello stesso anno, quello italiano si aggirava attorno ai 180. Nell’area dei Paesi francofoni, Algeria Marocco e Tunisia, il valore 2008 era di 30,5 miliardi. Le ultime analisi indicano una crescita del 4,9% nel 2009 e nel 2010: in netta controtendenza quindi con l’andamento mondiale che per quest’anno prevede una contrazione dell’1,8%”
Un risultato frutto delle decise politiche di sviluppo adottate dai governi locali, che investono massicciamente in infrastrutture – strade, ferrovie- e nel turismo, non solo con villaggi ed hotel ma anche con nuovi porti ed aeroporti.

Il Nord Africa non è però l’Eldorado: per potere competere in quei paesi, dove l’industria italiana è già presente con i grandi general contractor, bisogna pianificare bene la propria attività e puntare ad una presenza strutturata e di medio e lungo periodo.
“Le potenzialità sono notevolissime- sottolinea Gianluca Lauria responsabile per l’internazionalizzazione della Divisione Corporate BNL gruppo BNP Paribas- basta pensare che la sola Algeria ha investito negli ultimi tre anni 145 miliardi di dollari in infrastrutture. Noi assistiamo in questi paesi un numero sempre crescente di imprese italiane, oltre 450, grazie a tre iniziative l’Italian Desk, il Trade Center e la Rete Dedicata alla quale si aggiunge adesso la piattaforma di servizi 30° Parallelo. Ma è necessario sapere che le regole sono diverse e spesso anche i tempi non sono paragonabili ai nostri. C’è molta burocrazia e le leggi sono talvolta rigide. Ad esempio per aprire una società, in Libia è necessario un socio locale, mentre in Algeria dal luglio scorso è obbligatorio un partner del posto che entri con il 30% nel caso di imprese di import /export e del 51% in tutte le altre”

“Per lavorare in un paese straniero è necessario creare una vera e propria struttura estera, che vive completamente il mercato locale- racconta Maurizio Sartori amministratore unico di Fis Spa, impresa specializzata che da 14 anni lavora all’estero soprattutto nei Paesi del Baltico e in India- Non è pensabile un mordi e fuggi, bisogna strutturare la propria azienda in modo che almeno il 50% del fatturato complessivo venga dall’estero”. Poi c’è il problema delle dimensioni. “Ad una cena – racconta Sartori avevo vicino un francese a cui ho chiesto cosa facesse d’attività: mi ha risposto, il fabbro. Ho pensato allora che, tutto sommato, io con i miei 400 dipendenti ero in confronto una bella realtà, ma lui ha precisato: beh io ne ho 1841. Insomma noi ci definiamo sempre imprenditori e poi magari abbiamo aziende con 10 dipendenti, lui con 1800 operai si definiva ancora solo un fabbro. Per andare all’estero, una buona partenza può essere quella del subappalto per i grandi general contractor, ma poi o si cresce di dimensioni o è meglio pensare a consorzi e alleanze fra piccole imprese per poter fare massa critica. Ricordiamoci che all’estero la taglia media dei tender è di 300-500 milioni di euro”.
Infine il problema della manodopera: “I paesi del Nord Africa sono quelli dai quali giunge una gran parte degli immigrati – ricorda Germana Viglietta Dirigente della Direzione Generale dell’immigrazione al Ministero del lavoro- e noi abbiamo avviato un programma per la formazione già nei luoghi d’origine di manodopera anche per il settore delle costruzioni. E’ un percorso lungo anche perché bisogna formare i formatori. Ma in futuro potrà essere possibile, per le nostre imprese sbarcare in Marocco, o Tunisia ad esempio e poter disporre in loco di manodopera già qualificata e che conosce gli standard di sicurezza e qualità delle aziende italiane”.

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