Costruire strade con rifiuti?

Dal Rapporto ISTAT 2008 risulta che la rete stradale italiana sia pari a 175.442 Km. Per avere un metro di paragone è come dire 25 volte la tratta Roma – New York, oppure metà della distanza tra la Terra e la Luna. Su queste strade cammina un parco veicoli di oltre 40 milioni di macchine di cui 3,2 solo in Veneto.
Ma come sono fatte le strade? Nel 2008 la giornata di studi COSTRUIRE STRADE CON RIFIUTI? Aveva approfondito le potenzialità applicative del corretto utilizzo dei materiali marginali nelle infrastrutture e nell’edilizia.
Sabbie di fonderia, materiali di lavorazione di cava, scorie di acciaieria, polverino di gomma di pneumatici dismessi, sono solo alcuni dei materiali che, evitando di essere abbandonati in discarica, permetterebbero, se opportunamente trattati, di sostituire per prestazioni e qualità le materie prime che in natura iniziano a scarseggiare.
Alcuni casi di cronaca, allora come oggi, continuano ad evidenziare in modo eclatante quanto un non corretto utilizzo di questi prodotti possa risultare nocivo diffondendo un radicato pregiudizio nei confronti di una applicazione non solo utile oggi, ma indispensabile domani.
«Questa seconda edizione – commenta il prof Ing Marco Pasetto Dipartimento Costruzioni e Trasporti, Università di Padova – ha avuto lo scopo di promuovere una nuova logica di costruzione caratterizzata da tre elementi: alta professionalità dei soggetti coinvolti, sensibilità per la salvaguardia ambientale e rispetto della normativa. È risultato evidente, nel corso dei lavori, che alta professionalità ed eccellenza non sono proprie di attori solitari: farraginosità e non sufficiente chiarezza del quadro normativo, oggi in essere, fanno sì che solo nel network virtuoso di competenze tra Università, Imprese e Istituzioni, gli operatori in gioco diventano capaci di risolvere ogni problema d’interpretazione normativa al fine anche di sviluppare le potenzialità di nuovi materiali e nuovi impieghi. C’è bisogno di lavorare assieme e sfruttare le occasioni di trasferimento di conoscenza, di know how tecnologico, non sono tra chi controlla ed è controllato, ma in chi l’appalto lo gestisce. Purtroppo non c’è ancora sufficiente attenzione da parte delle Istituzioni a questa tipologia di approccio».
« Arpav è impegnata su due fronti – ha sostenuto il dr Sandro Boato, direttore scientifico di Arpav -: diffondere sempre di più il concetto di recupero per limitare il problema dello smaltimento, e approntare procedure di controllo definite atte a seguire la tracciabilità del prodotto recuperato, dalla produzione alla posa in cantiere. L’effettuazione di controlli dei materiali di recupero solamente dopo la loro posa in opera sul manto stradale non è efficace per prevenire gli eventuali rischi per l’ambiente. Per garantire un controllo efficace sono necessarie: la tracciabilità del materiale dal luogo di produzione, all’impianto di trattamento, fino alla sua stesura e l’adeguatezza del materiale di origine, il quale deve presentare valori analitici conformi alla normativa. Inoltre – continua il dr Boato – le più elevate garanzie di tutela ambientale sono conseguibili solamente attraverso un sistema di controlli integrato che coinvolga tutte le fasi del progetto fino alla sua realizzazione. Oggi siamo riusciti a effettuare queste procedure su grandi opere, come il Passante di Mestre ad esempio, il nostro prossimo obiettivo è quello di applicarle a interventi di più piccola natura».
«Il recupero è uno dei nostri obiettivi – ha esordito Devis Casetta, del Comitato Scientifico di Legambiente Veneto – va posta molta attenzione sulla responsabilizzazione degli operatori del settore in termini tecnici, meccanici, ma anche chimici. La ricerca e la sperimentazione sono importanti, ma non va dimenticato il fatto che c’è comunque facilità a mescolare rifiuti non pericolosi con rifiuti pericolosi da parte di aziende non virtuose».
Ed è proprio su questo punto che ha insisto Nicola Ometto, Presidente Gruppo Giovani Imprenditori Edili, Ance Padova: «La possibilità di recupero si propone su tanti fronti. Il problema per noi costruttori è riuscire a rispettare delle regole che non sono sempre semplici e chiare. È essenziale poter disporre di un prodotto che abbia requisiti certi e certificati per garantire non il progettista e l’impresa che li pone in opera ma anche la committenza. È nel capitolato che inizia la responsabilità del costruttore. Se le indicazioni del capitolato sono solo prestazionali, l’impresa li può scegliere a proprio gradimento. Diverso è se nel capitolato si indicano precisamente la natura dei materiali di recupero. Il costruttore si trova spesso schiacciato tra norme tecniche, disposizioni di legge e responsabilità contrattuali, se poi la burocrazia rallenta i processi, diventa un problema. È necessario il processo virtuoso di collaborazione tra Imprese, Enti, Istituzioni».
«Materia per pochi eletti quindi? – ha concluso l’Ing Marco Perotti, Autostrada Brescia-Padova, Direzione Lavori, dopo una carrellata di informazioni tecniche e procedurali che hanno evidenziato la complessità tecnico e normativa dell’utilizzo di materie prime seconde -. Le aziende capaci di operare in modo corretto con questi materiali si possono definire “elette” per l’altissimo livello tecnico professionale che viene richiesto. Speriamo però non siano “poche” se committenti e direttori lavori, alle proposte delle imprese di utilizzare materiali di rifiuto alternativi, rispondono sempre con un NO, oppongono cioè un rifiuto, perché non si fidano, perché non si sentono preparati, perché non c’è ancora una struttura di controllo che garantisca i risultati, allora, con questi rifiuti, le strade sarà sempre più difficile costruirle! Allora, i problemi non si risolvono, noi invece vorremmo risolverli».

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