Piano casa, per l’edilizia crescita del 27% entro il 2010

Cifra molto più prudente dei 75-150 miliardi “annunciati” a effetto e senza troppi dettagli dal premier giovedì scorso parlando agli stati generali delle costruzioni. Eppure quei 42 miliardi – che equivalgono a 106 milioni di metri cubi di nuove stanze – cambierebbero il segno al prossimo anno: per l’edilizia abitativa si passerebbe dalla caduta stimata oggi (-12,4%), con 250mila posti di lavoro a rischio, a un vero boom trainato dalla manovra (+27%). La tranche 2010 (pari al 40% dell’investimento complessivo) ammonterebbe a 16,8 miliardi: oltre il 10% di iniezione aggiuntiva all’intero mercato delle costruzioni.
Una valutazione che poggia su ipotesi prudenti, ancora più delle stime fatte a caldo due mesi fa: è restrittiva l’ipotesi che aderiscano solo il 10% dei proprietari dei 4,9 milioni di villette uni-bifamiliari con meno di mille metri cubi e solo il 5% dei 3,7 milioni di proprietari di case a schiera.
Il Cresme presenterà i dati mercoledì a Milano, al 14° Congresso Angaisa, organizzazione della distribuzione idrotermosanitaria, una delle componenti più ricche dell’indotto.
Le previsioni partono ovviamente dall’ipotesi che il piano sia attuato sull’intero territorio nazionale.
Quello stimato è l’impatto potenziale del piano Berlusconi.
Al momento solo teorico: non solo perché il decreto legge per sveltire le procedure viene rinviato di settimana in settimana.
Ma anche perché il via libera agli ampliamenti delle abitazioni del 20-25% è passato dalle mani del governo alle regioni che entro il 30 giugno dovrebbero varare le leggi. A parte la Toscana, nessuna ha ancora approvato e solo 6-7 hanno avviato l’iter.
La legge toscana, d’altra parte, restringe lo spettro dei lavori possibili. Potrà accedere ai premi di cubatura solo chi rispetterà standard di risparmio energetico severi. Così non sarà per il Veneto, prossima regione al traguardo con una legge a maglie larghe. Sarà quindi un’Italia a più velocità.
Ma l’incognita politica più seria è, al momento, lo stallo sul decreto legge.
Le Regioni hanno chiesto l’estensione dello sgravio Irpef del 55% su tutti i lavori di adeguamento degli edifici esistenti agli standard antisismici. Una misura di questo tipo è già presente nel decreto Abruzzo, ma solo per le case che la Protezione civile riterrà a rischio dopo accurata verifica. Una alla volta. Con il contagocce. Le Regioni vogliono invece che l’incentivo fiscale vada a tutti i proprietari di abitazioni localizzate nelle fasce sismiche 1 e 2 (rischio alto e medio).
Nessuno ha stimato ancora il costo della richiesta regionale, né ufficialmente nel Governo, né fuori. Anche il Cresme per ora declina l’invito («una stima in questo momento sarebbe un azzardo»). Il ministero dell’Economia, comunque, frena.
Un ordine del costo è possibile stimarlo però da alcuni studi recenti sul grado di vulnerabilità delle abitazioni. L’Isat (Istituto per le scelte ambientali e tecnologiche) e gli “Amici della terra” ne hanno fatto uno ad aprile su dati Istat e Protezione civile. I comuni localizzati nelle fasce sismiche 1 e 2 sono 3.069 su 8.101 comuni (38%), le abitazioni 10,8 milioni su 27,3 (39,6%). Di queste vengono considerate ad alto grado di vulnerabilità 285.918 abitazioni nella fascia 1 e 1.728.750 abitazioni nella fascia 2. Totale: 2.014.668. La richiesta regionale non è limitata alle sole case a rischio, ma si può ipotizzare che su questo si agisca prioritariamente. A un costo medio per intervento di 35mila euro (ipotizzato dalla Protezione civile nel decreto Abruzzo), la cifra del costo totale sarebbe enorme: 70 miliardi di euro.
Il costo potenziale per lo Stato supererebbe quindi i 38 miliardi, per quanto ripartibili su 5 annualità. Seppure aderisse solo il 30%, il costo per lo Stato sarebbe comunque superiore a 10 miliardi. Logico, dunque, che l’Economia non veda spiragli. Governo e regioni, che si rivedranno martedì prossimo, dovranno trovare un’alternativa.

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