Fassa: Dal recupero degli intonaci e delle coloriture alla riqualificazione funzionale e strutturale

Innovazione tecnologica del costruire e tutela del patrimonio edilizio esistente
Introduzione
di Maurizio Vicaretti
Il tema in discussione, oltre al recupero degli intonaci e delle coloriture, riguarda anche la riqualificazione funzionale e strutturale.
A volte per il tecnico la scelta di un colore è una cosa banale che spesso si rimanda al committente, ma dovremmo intervenire perché specialmente nei centri storici un buon piano colore può caratterizzare luoghi ed attività e quindi far individuare i percorsi, le attività all’interno, l’emergenza storica che c’è in un centro storico.
L’altro aspetto della riqualificazione funzionale e strutturale riguarda un po’ più da vicino l’attività degli ingegneri. Rimanendo nel centro storico, l’attività che spesso si esplica è quella di svuotare l’organismo edilizio dall’interno. Un maggiore impegno progettuale da parte di noi tecnici nell’andare a capire quello che quel edificio è stato e ciò che può essere con la sua struttura, quindi riqualificandolo, trasformandolo, non stravolgendolo, è quello che secondo noi dovrebbe essere l’intervento di un tecnico preparato. L’ordinanza non ci aiuta in realtà, perché parleremo degli aspetti della nuova ordinanza che introduce le nuove normative sismiche, la nuova classificazione sismica del territorio. Buona parte della provincia non era sismica, adesso lo è diventato. La parte strettamente legata agli interventi sul calcestruzzo armato esistente e sulle murature è la più complessa, la più errata e sulla quale è stato fatto l’intervento più profondo di trasformazione con l’aggiornamento che c’è stato.
Vorremmo sapere dai tecnici che ci illustreranno la parte che riguarda la riqualificazione funzionale e strutturale, qual è lo stato dell’arte della normativa, perché è attiva una commissione che si occupa della redazione di un testo unico dell’edilizia, all’interno del quale c’è anche la rivisitazione della normativa tecnica e quindi anche strutturale. Si vociferava che la normativa da prescrittivi diventasse prestazionale, quindi lasciasse un po’ più scelta al tecnico sull’uso di quale normativa usare.
Maurizio Vicaretti è Presidente dell’ordine degli Ingegneri della Regione Abruzzo

Riqualificazione funzionale e strutturale dell’edilizia storica
di Marcello Balzani
Abbiamo creato all’interno di un corso di studi universitario di architettura, un centro dipartimentale interdisciplinare che per noi riguarda anche una linea scommessa nuova. Infatti, il problema dell’interdisciplinarità sarà nei prossimi anni l’elemento cardine della professione. Creare un centro dipartimentale che mette insieme ingegneri strutturali, professori di restauro e professori di diagnostica e analisi, tutti insieme a lavorare sulla lettura del manufatto architettonico, è la chiave di volta per vedere finalmente un modo nuovo per rapportarsi alla lettura dello spazio.
È il filone di collegamento che ha creato due anni fa questo centro dipartimentale che trova un gruppo scientifico di coordinatori molto ampio, partendo dal professor Carbonara di Roma, per trovare poi altri collegamenti internazionali, e che ha fondamentalmente delle linee di sviluppo che riguardano sia le metodologie di acquisizione – la mia comunicazione di oggi tratterà in maniera specifica cosa significa oggi acquisire morfologia tridimensionali, metriche e perché – e vedere come queste analisi qualitative e innovative possono diventare utili in un futuro anche molto prossimo a quello che è il controllo e la qualità del costruito.
C’è una problematica che riguarda in maniera specifica il concetto di banca dati: quando ci approcciamo a un manufatto abbiamo bisogno di relazionarci avendo un supporto di conoscenze metriche tridimensionali, e non più bidimensionali, all’interno del quale si possono trovare delle connessioni tra le diverse specificazioni professionali, anche in una logica di controllo e monitoraggio gestionale durante le fasi di progetto. Proponiamo l’idea che dal rilievo tridimensionale integrato si possono trovare dei sistemi di lettura e di analisi per poter poi sfruttare queste informazioni per fare analisi strutturali, analisi delle superfici, verifiche preventive delle simulazioni strutturali prima delle certificazioni anche qualitative delle nuove funzionalizzazioni del fabbricato per nuove destinazioni d’uso, e potere continuamente tenere sotto controllo il capitale conoscitivo senza il quale spesso è molto difficile dare informazioni vere. Il rilievo da sempre è stato un atto discreto. Si rilevava finalizzato ad uno scopo. Quel rilievo dopo qualche anno raramente può essere riutilizzato. Le condizioni geometriche acquisite sono talmente poche e limitate nel tempo che ci pongono sempre l’obbligo di ritornare a prendere le misure o spesso non conservare la qualità della morfologia che viene prelevata.
Oggi abbiamo a disposizione delle tecnologie che permettono di prelevare milioni di coordinate tridimensionali metriche nello spazio con errori millimetrici e da queste poter collegare elementi qualitativi delle superfici in una continua verifica anche del livello di gradazione informativa che viene generata nella fase di acquisizione. Questo schema rappresenta in parte il modello di connessione tra caratteristiche informative dell’analisi strutturale del fabbricato prelevato con tecnologie digitali e si comincia a vedere come un server di riferimento l’elemento di estrazione delle informazioni.
Un primo caso di studio si collega ad un tema molto classico, un manufatto edilizio all’interno di un centro storico nel cuore di Ferrara, il palazzo comunale, un fabbricato edilizio che nel tempo subisce modificazioni: c’era una chiesa e viene poi fatto un teatro in epoca liberty. Una tecnologia che abbiamo cominciato ad utilizzare dal ’96 permette l’uso di laser scanner tridimensionali. Sono delle tecniche che permettono in tempi molto rapidi, parliamo di duemila punti al secondo, ma le nuove generazioni rilevano fino a cinquecentomila punti al secondo di coordinate XYZ nello spazio, con errori che stanno nell’ordine di millimetri. Da questo si possono poi estrarre geometrie per poter valutare il dato. Il laser scanner non è niente di più di un distanziometro laser integrato all’interno di una griglia geometrica di specchi di rotore, ovviamente molto sofisticati, che sfrutta la legge della trasformazione del tempo in misura. La metodologia sfrutta delle regole naturali del prelievo, campi di ripresa orientati che vengono registrati con l’uso di target applicati anche in adesivo sul fabbricato, processi di automazione che noi abbiamo elaborato con delle banche dati a schedatura – per cui controllo digitale in rete di database digitali – e quindi i dati possono essere estratti continuamente. Dalle nuvole di punti possiamo estrarre in Autocad tutte sezioni che ci interessano rispetto ai piani di riferimento. Queste sezioni vengono esportate e elaborate nelle tradizionali dimensioni bidimensionali.
È un riferimento anche democratico perché chi verrà dopo di me, che non ha fatto quel rilievo, un altro ente, un altro professionista, può accedere a questa banca dati con lo stesso livello di accuratezza e di precisione scientifica del rilievo con la quale è stata fatta, senza dover tornare indietro a porsi il problema metodologico.
Il modello tridimensionale può essere sezionato per parti e produrre delle sezioni coerenti con le vere morfologie del fabbricato, anche rispetto a delle condizioni di giacitura degli architravi, dei punti d’appoggio dei solai, delle configurazioni delle realtà e da quelle geometrie strutturali e morfologiche tridimensionali, produrre dei risultati di analisi preventive di simulazione su le nuove rifunzionalizzazioni del fabbricato che sono però coerenti con le visualizzazioni generate dalla lettura dinamica e geometrica del fabbricato.
Una cosa nuova è che da quel dato tridimensionale posso estrarre, attraverso le stampanti tridimensionali, anche dei plastici. Posso estrarre dal modello 3D un plastico sezionato del punto che mi serve della simulazione, per cui avere in mano un pezzo di architettura.
Adesso mi prendo un altro segmento di tempo collegato agli elementi di superficie, perché si lega all’idea della superficie stesso. Al rilievo tridimensionale si possono collegare anche qualità materiche del campo di prelievo.
Un caso molto tipico italiano è quello del monastero storico di Ferrara San Giorgio, il cuore della città antica di Ferrara.
Avrete notato come queste geometrie tridimensionali si portano dietro un colore. Le nuvole di punti hanno una valenza cromatica diversa, ovviamente lavorando sulla banda del verde perché sono laser verdi a tempo di volo, producono un ritorno di un numero in una tabella che si lega a una certa lunghezza d’onda. Questo dato che nasce all’interno delle strumentazioni per uno scopo tecnico di prelevare delle differenziazioni di riflettanza, sono state elaborate nel nostro laboratorio perché possano permettere di avere delle visualizzazioni qualitative del materiale associate a un dato metrico specifico. È un’indagine di tipo qualitativo che possiamo rapportare all’indagine fotografica e che ci viene collegato alla caratteristica della superficie nelle sue caratteristiche geometriche. Quel punto, una coordinata XYZ, ha una sua risposta di qualità selezionata sulla banda del verde, per cui non è specifica su tutte le caratteristiche colorimetriche e comportano anche una considerazione collegata alle caratteristiche del materiale e del suo stato conservativo.
Avendo parametrato una serie di elementi che partono da indagini visive, dalla conoscenza del manufatto, da letture storiche che il manufatto rappresenta, da materiali che adesso si collegano alla tradizione del modello costruttivo, permettono di associare alla banca dati tridimensionale elementi conoscitivi sullo stato conservativo delle superfici a elementi metrici, morfologici della forma.
Il modello, che non prescinde dall’idea di avere a disposizione il fabbricato e di poter collegare ad esso indagini conservative verificate prima e dopo gli interventi di restauro, ci pone in chiave teorica l’idea di poter tomatizzare il processo. Non è ancora un dato certo, il fattore di riflettanza è un fattore molto complicato perché collegato anche a condizioni ambientali, alla curva di incidenza, alle caratteristiche di umidità.
Non dovete però credere che gli scanner laser permettono di avere in mano la copia del reale o tutto il reale. L’oggettività del rilievo non esiste, è sempre errato perché dev’essere ovviamente finalizzato ad uno scopo specifico di acquisizione.
Preleviamo direzioni e distanze, il processo è uguale, esattamente come lo facevano i Romani. Solo che noi lo facciamo con molta più rapidità e con probabilmente un po’ più d’integrazione.
Marcello Balzani è Docente di Rilievo Urbano e Ambientale dell’Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Architettura

Coloriture e intonaci per l’edilizia storica e l’architettura monumentale, metodi, strumenti ed esemplificazioni per la definizione del progetto di restauro
di Nicola Santopuoli
Uno dei punti cardine che ho inserito negli aspetti che vorrei approfondire velocemente durante il mio intervento è il ruolo che oggi il tecnico deve avere. Spesso non l’abbiamo, ci lasciamo trascinare dagli eventi burocratici, spesso non viviamo l’attività di cantiere e lasciamo agli altri la regia effettiva. Non andiamo a scegliere l’intonaco, è l’impresa che sceglie per noi, è l’azienda che ci prospetta. Dobbiamo essere attivi.
Spesso succede che noi come architetti deleghiamo. Arriva il geologo, ci fa il prelievo dove gli capita sulla base dei pochi dati che ha e poi se lo porta in laboratorio e ce lo caratterizza. Abbiamo una facciata di 10 metri rispetto ad un campioncino di mezzo centimetro sulla base del quale ci viene fatta la caratterizzazione. È una caratterizzazione impeccabile, dove possiamo conoscere tutto di quel campione. Possiamo conoscere stratificazione delle tinte, intonaci strati, reindividuare i leganti, gli inerti, fuso granometrico eccetera. Ma quel campione, se non è scelto in modo opportuno rispetto alla facciata, se non è in un punto rappresentativo, vengono fuori dei dati che non servono. L’architetto e l’ingegnere devono avere la capacità di fare un salto di scala dalla scala urbanistica alla scala architettonica alla scala di dettaglio. Se approfondiamo direttamente il discorso del campione, si apre una scala che conosciamo solo in parte.
La nostra civiltà è una civiltà mediterranea articolata, dove, rispetto a posizioni più rigide di altri paesi, con la cultura che abbiamo, possiamo avvicinarci maggiormente e in modo più efficace alla cultura araba. Per loro il valore del tempo è molto diverso, hanno la capacità di prendere le cose con molta più tranquillità.
Dovremmo avere una preparazione di tipo generale che ci consente di entrare nei vari approfondimenti.
Abbiamo materiali con moduli elastici, come l’acciaio che può avere uno spostamento del 2,5-5%, abbiamo materiali superelastici che è una lega ad esempio di nickel-titanio che abbiamo utilizzato nello sperimentare dispositivi d’ancoraggio per intonaci distaccati ed è una lega che ha una capacità reversibile, cioè varia forma secondo la temperatura. La reversibilità che è un concetto teorico dove alcuni settori della scienza della conservazione, in particolare chimica, sostenevano fino a poco tempo fa, che andava rimosso, che non aveva più senso parlare di reversibilità.
Un caso in cui mi sono trovato è un monumento funerario in Tunisia. È un monumento piuttosto importante. Facendo un’indagine storica si capiva che ciò che inizialmente sembrava una situazione dinamica molto pericolosa, era nient’altro che una situazione statica e che il monumento si trovava nello stesso stato conservativo di cinquant’anni prima.
Di fronte ad una facciata banale forse non mi chiedo neanche se tenere o non tenere l’intonaco o lo stesso fabbricato, ma osservando meglio si possono vedere le striature bianche che non sono altro che gli andamenti dell’imbianchino man mano che tinteggiava, si vedono le pontate e poi le pennellate che hanno un andamento non regolare, non esattamente verticale. Studiando lo spazio e la distanza che c’è fra una linea verticale e l’altra, siamo in grado di dedurre addirittura la dimensione dell’avambraccio e così l’altezza della persona. Viene fuori anche l’atteggiamento morale, probabilmente l’imbianchino quel giorno aveva litigato. Da un’osservazione che può durare trenta secondi, un minuto o mezz’ora, abbiamo delle informazioni che fanno parte della storia del fabbricato. Alla fine decidiamo se tenercele oppure no, ma non possiamo non impossessarcene.
A Bologna ho curato un progetto colore dove in circa 10 anni abbiamo, con il nostro centro, indagato e rilevato sui sistemi di coloritura. Abbiamo rilevato e studiato circa 3.000 facciate. Da tutto ciò, il risultato era una manualistica di riferimento che adesso sto completando. Ci vuole un indice di qualità, di conservatività se siamo nell’ambito storico in modo che ogni tecnico faccia le sue scelte.
Oggi la maggior parte dei tribunali accettano anche i file digitali. Se abbiamo un problema con il colore nel nostro cantiere e abbiamo una foto, questa in una perizia ha il suo valore. Poi scattano i livelli più professionali. Abbiamo l’atlante Munsell, che è un atlante scientifico, poi c’è l’NCS e poi ci sono i cataloghi commerciali. Non faccio altro che raccogliere 3000 cromie, lo comincio ad aprire finché non trovo una cromia simile e mi segno i codici. Altrimenti utilizzo lo spettrofotometro che in base alla luce riflessa del materiale indica una sorta di carta d’identità dal punto di vista colorimetrico e sono in grado di riprodurlo.
Qual è il processo che noi attiviamo in un cantiere? Scelgo i campioni che devono essere rappresentativi, ma devo fare io la scelta, e poi apriamo un confronto direttamente con l’esperto. Se abbiamo la fortuna di lavorare con un’azienda che sia seria, pretendiamo da loro la qualità del materiale, e che loro entrino nel mio cantiere. Come tale devono darmi delle risposte tecniche.
Faccio vedere un cantiere del nostro centro DIAPREM e della facoltà di architettura a Pompei, dove da tanti anni collaboriamo con la sovrintendenza. In quel cantiere lavoriamo da una decina d’anni in una serie di case facendo del restauro concreto. È un cantiere condiviso ed è molto difficile perché abbiamo a che fare con cinque, sei esperti. C’è l’archeologo responsabile dei restauri delle architetture, l’archeologo responsabile del restauro delle pitture, l’archeologo responsabile del verde, l’architetto responsabile del restauro, però va fatto con grande sforzo, con interazione e collaborazione è vincente. È un cantiere completamente sponsorizzato, per esempio anche dalla Fassa Bortolo. Noi siamo interessati soprattutto alla collaborazione, perché siamo convinti dell’approccio scientifico. In tutto questo subentra una fondazione americana collegata con l’azienda madre che ha realizzato lo scanner laser che noi utilizziamo, abbiamo altre due aziende italiane e in più la Fassa Bortolo che ci finanzia il lavori e in più c’è una collaborazione scientifica nell’analisi dei materiali. A Pompei, oltre agli intonaci, i materiali archeologici, ci sono interventi di restauro che sono stati fatti dalla scoperta in poi.
Nicola Santopuoli è Architetto Professore a contratto presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara, centro DIAPREM

Il ripristino di superfici esterne: interventi con intonaci e finiture colorate
di Nicola Ravagli
Uno degli elementi che principalmente creano problemi in edilizia, è l’acqua. È stata individuata come killer nelle problematiche generali. A noi interessa in modo particolare l’aspetto relativo alla tensione superficiale. Posso alterare questa proprietà fisica dei liquidi, basta aggiungere un po’ di sapone ottenendo dell’acqua saponata. È sufficiente una forza abbastanza esigua quale quella di un soffio tramite una cannuccia e posso ottenere delle lamine che sono stabili ma che sono sempre acqua che intrappolano dell’aria. Sono interessato a sapere quant’è la pressione interna, esterna e la tensione superficiale, cioè quella che cerca di comprimere la bolla. Jung e La Place hanno stabilito l’equazione che regola l’equilibrio di quelle lamine. Il Dp, pressione interna meno esterna, è direttamente proporzionale alla tensione superficiale e inversamente al raggio. Sono dei principi che servono per capire il degrado dei materiali. Tanto più piccolo è il raggio, tanto maggiore è la differenza di pressione. Significa che avendo due bolle, una a raggio piccolo ed una a raggio maggiore, nel momento in cui si aprono i rubinetti la bolla che ha pressione maggiore trasferisce aria dall’altra parte e gonfia la bolla più grande. La stessa cosa succede a due palloni. Togliendo il fermo il pallone più grande continua ad aumentare e quello più piccolo si sgonfia perché lui ha una pressione interna maggiore. Se si applica a dei capillari interessati da una presenza di acqua ottengo la vecchia equazione di Borelli-Jurin con la quale si può calcolare l’altezza della risalita capillare all’interno di un cilindro. Con un centesimo, sostituendo le costanti note, vediamo che una risalita di un metro e mezzo è una risalita perfettamente fattibile. Stiamo parlando di un fenomeno di umidità di risalita, di degrado. Oltre al principio di abbassare l’acqua come risalita, esiste la possibilità di contenere questo fenomeno utilizzando intonaci macroporosi, cioè capace di trattenere i sali in fase di sviluppo.
Altre problematiche che possono insorgere sono gli attacchi solfatici, addirittura nel calcestruzzo. Possono anche succedere altre problematiche, come per esempio l’essiccazione rapida nel momento dell’applicazione dell’intonaco. Questo fenomeno è sempre collegato alla formula di Jung-La Place. Una rapida essiccazione tendono ad avvicinare le particelle, si formano dei menischi nel momento in cui evapora l’acqua e parte un processo di scollamento in ritiro plastico. Avviene questo fenomeno nelle prime ventiquattro ore dall’applicazione del materiale cementizio.
L’altro fenomeno che molte volte viene considerato causa di cattiva qualità dell’intonaco e dovuto a dilatazioni termiche che sono determinate dal tipo di materiale utilizzato al di sotto dell’intonaco. Esistono prodotti per evitare la formazione di queste dilatazioni perché fanno si che non si assorba umidità in eccesso e quindi la parete rimane sicuramente più stabile. Anche sulle pitture può succedere la stessa cosa. Chi vuole alterare il processo lo può fare anche con addittivi, per poter realizzare film che possono permettere il passaggio di umidità. È importante perché se si vuole fare una scelta dal punto di vista della perfetta risposta della corretta applicazione dei materiali, occorre valutare la traspirabilità e l’idrorepellenza dei materiali stessi. Kunzle ha dato la sua teoria e poi il fulcro cui attornia la normativa tedesca DIN18550, il quale dice: affinché un’opera muraria finita sia adeguatamente traspirante e idrorepellente, i valori di permeabilità al vapore acqueo e di idrorepellenza all’acqua liquida devono rispettare le seguenti condizioni: SD che è uno strato equivalente, deve essere inferiore a 2 metri. Non è altro che il fattore che esprime la resistenza al passaggio del vapore acqueo moltiplicata per lo spessore applicato espresso in metri. Il W è l’assorbimento di acqua e più grande W tanta più acqua assorbe. Kunzle ha detto che per metro quadrato di superficie sulla radice quadrata del tempo, non possono assorbirsi più di 500 grammi di acqua nell’arco ad esempio di 24 ore come la normativa riporta. Il prodotto dei due deve essere inferiore a 0.2. Il miglior risultato si ottiene dove si ha una grandissima idrorepellenza e al tempo stesso si ha una buona permeabilità al vapore acqueo. In questo settore si collocano le pitture silossaniche le quali mantengono un’alta traspirabilità e un basso assorbimento d’acqua.
All’interno di una pittura idrosiliconica c’è una resina siliconica, un’emulsione organica, si parla quindi sempre di resine acrilsiliconiche. Il quarzo viene modificato in laboratorio e quindi si rendo più idrofuga la resina stessa. La pittura ha la capacità di far evaporare l’acqua sotto forma di vapore e bloccare l’acqua allo stato liquido.
Ci resta solo da capire che cosa succede al campione che ci prestiamo a venire a prelevare nel momento in cui il nostro tecnico ci propone un’analisi. Abbiamo prodotto un film per poter seguire passa dopo passo quello che succede al campione che abbiamo prelevato in cantiere:
“Fassa Bortolo offre servizi avanzati di analisi e ricerca sui materiali al fine di migliorare e di facilitare gli interventi di recupero e di restauro. Il campione di materiale prelevato dal cantiere durante la fase di sopraluogo viene fatto pervenire in laboratorio per le analisi che vengono ritenute più opportune. L’obiettivo è l’identificazione dei componenti mineralogici tipici e in particolare di eventuali sostanze estranee che possono aver dato origine a fenomeni di degrado del materiale. Con il campione preventivamente macinato si confeziona una speciale pastiglia di composizione omogenea che sarà utilizzata per l’analisi per diffrazione ai raggi X e successivamente per fluorescenza sempre ai raggi X. Nell’analisi per diffrazione viene impiegata la legge di Bragg per individuare i composti di cristallini presenti. I risultati permettono di individuare i componenti del prodotto. Il campione è quindi sottoposto ad analisi chimica mediante la tecnica di fluorescenza ai raggi X, uno strumento che consente l’analisi di circa 100 campioni in sequenza e che permette di individuare i composti chimici presenti nel materiale sia in termini qualitativi che quantitativi, confermando o meno i risultati ottenuti precedentemente con la tecnica a diffrazione. L’analisi è espressa mediante le percentuali dei vari elementi chimici presenti, ad esempio silice, alluminio, ferro, calcio, magnesio, sodio, potassio e zolfo. Il campione può essere poi sottoposto ad analisi per microscopia elettronica a scansione. La superficie del materiale viene indagata mediante successivi ingrandimenti, fino a trecentomila, per spingersi ad individuare i diversi singoli cristalli presenti. Tali cristalli possono essere sottoposti a microanalisi per l’individuazione della loro composizione chimica. Questa serie di analisi consente di individuare in maniera precisa e veloce le soluzioni più specifiche per gli interventi di recupero e di restauro favorendo la scelta dei prodotti più idonei ad ottenere risultati di qualità.”
Nicola Ravagli fa parte dell’Assistenza tecnica, Fassa Bortolo

Analisi e progetto di conservazione dell’edilizia storica
di Marcello D’Anselmo
Insegno restauro e consolidamento alla facoltà di architettura di Pescara. I miei interessi sono concentrati sugli aspetti operativi della progettazione in relazione al costruito storico. L’oggetto è l’edilizia storica e il tema della trattazione è il binomio analisi e progetto. Nella fase precedente di questo seminario abbiamo visto in particolare i professori colleghi trattare soprattutto aspetti relativi al primo termine di questo binomio, cioè la fase di analisi. La fase di analisi in effetti mostra come l’attenzione da parte dei ricercatori si sia sempre di più rivolta a partire, dagli ultimi 30 anni, da una visione di tipo macroscopico ad una visione di tipo microscopico.
Il professor Balzani ha parlato del laser scanner e così il professore Santopuoli ha parlato delle questioni relative alle superfici intonacate dell’edilizia storica.
La materia dell’edilizia storica è la muratura con tutte le sue connotazioni: con finitura o senza finitura, con intonaco o senza, ma in ogni caso la materia è un solido e non si legge solamente sul piano cartesiano. Nel 1978 in un convegno in Belgio la ricercatrice docente universitaria Luigia Binda prospetta la possibilità di utilizzare i martinetti piatti, utilizzati in precedenza in ambiti non restaurativi, nell’ambito dell’edilizia storica. Questi furono utilizzati per la prima volta dal professor Marco De Zibardeschi nella fase di analisi del progetto di restauro relativo al palazzo della regione di Milano. Quasi contemporaneamente si svilupparono tecniche, quali la termografia, l’endoscopia. Tant’è vero che il corpo dell’edilizia storica è sembrata quasi un corpo malato simile a ciò che accadeva in un’ala di un ospedale.
La fase di analisi deve essere progettata ed è una sorta di pre-progetto. Se il progetto è fatto bene può portare a dei risultati che possono essere utilizzati per una successiva diagnosi, ma se questo progetto è fatto male la diagnosi sarà fallimentare. Il rapporto tra analisi e progetto è un rapporto articolato che non può essere definito come consequenziale. Il progetto sull’esistente è un progetto condizionato.
L’edilizia storica è caratterizzata da due elementi: è realizzata con materiali tradizionali e con tecniche anch’esse tradizionali. Solamente per questi due elementi l’edilizia storica rappresenta un unicum nella sua interezza. Ci sono poi altri aspetti che attengono al fatto che la materia dell’architettura storica la leggiamo come colorata. In effetti la materia non ha colore, è buia se spegniamo la luce. Si colora in dipendenza della luce e dei raggi luminosi che incidono sulla struttura molecolare della materia, sia essa luce naturale o luce artificiale. C’è quindi un problema di massimo interesse sull’illuminotecnica per quanto riguarda gli interventi di restauro.
Ma se la materia dell’architettura storica è la muratura, questo material composito costituito la blocchi di pietra o di laterizio legati tra loro da malte di calcio, pozzolaniche o idrauliche naturali come quelle che utilizzava Palladio, con questo materiale sono state realizzate le architetture più imponenti che oggi conosciamo, tra cui gli edifici monumentali voltati. Ci sono altri materiali come il legno, ma con la muratura si sono fatte cose più incredibili come il Colosseo, San Pietro, Santa Maria del Fiore, eccetera. Sono state costruite delle strutture voltate che hanno sfidato le leggi della statica. In sostanza questo materiale non resistente a trazione, è stato definito da due personaggi: Salvatore Di Pasquale e Antonino Giuffré. Salvatore Di Pasquale lo ha definito come un “non solido”. L’altra definizione data da Antonino Giuffré è “la muratura è il materiale meccanicamente non controllabile”. Entrambe le definizioni sono condivisibili e quasi inattaccabili. La definizione che mi attrae di più è quella del “non solido”, perché significa dire esattamente il contrario di quello che ha detto De Saint Venant nell’800. La teoria della trave di De Saint Venant affronta il tema di un solido caratterizzato geometricamente in modo particolare con una dimensione preponderante rispetto alle altre due dal punto di vista geometrico. Il non solido rappresenta qualcosa che era precedente all’800 e può essere pensato se prendiamo un fazzoletto e applichiamo due forze autoequilibrate di trazione. Le fibre del tessuto vengono tirate, ma non tutte: i lembi che non sono tirati sono tessuto labile. Significa che solamente le fibre poste in corrispondenza della retta d’azione sono sollecitate da stati tensionali.
Se invece prendete una barretta d’acciaio e la sottoponete ad uno stato analogo e fate una lettura ai raggi X, si scopre che tutta la superficie della barretta d’acciaio è interessata da stati tensionali più o meno consistenti. La diversità tra il solido e il non solido è esattamente questa: il non solido si comporta diversamente dai materiali elastici isotropi omogenei e continui.
Con le diapositive voglio far vedere che cosa è successo dal ‘400 in poi: nel ‘400 si sta costruendo il duomo di Milano. Nel ‘700 c’è una disputa per quanto riguarda la costruzione della cupola di San Pietro ma nel frattempo accade che dal punto di vista teorico si ha a che fare con
Luigi Mascheroni emette un trattato relativo alla stabilità degli archi e delle cupole che tutt’oggi è validissimo. Dopodiché ci si ferma ed entra in campo la scienza della costruzione di materiali elastici e la ricerca si sospende. Queste ricerca viene ripresa dagli anni ’60, dopo il terremoto di Skopje, c’è un ritorno agli studi relativi alla murature, alle strutture voltate.
Si può fare restauro anche in zone sismiche di primo o secondo grado mettendo in conto che le tecniche utilizzate non sono neutrali, quindi si possono usare tecniche diverse.
Per elevare la qualità del prodotto architettonico, qualunque esso sia, ci devono essere contributi non solo dai professionisti, ma anche da committenza e industrie, perché senza di loro non possiamo camminare.
Marcello D’Anselmo è Docente di Restauro Università G. D’Anunzio, Facoltà di Architettura di Pescara

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