La Fiera di Rimini. Cronache di un progetto anomalo

La vicenda della costruzione della Fiera di Rimini è, per l’Italia, un caso singolare ed anomalo. Anomalo perché si tratta di un’opera pubblica progettata, realizzata e resa funzionante in poco più di quattro anni. Anomalo perché si è riusciti a realizzare contestualmente ai nuovi padiglioni espositivi anche tutte le opere collaterali come viabilità, parcheggi, opere a verde, arredi, segnaletica e perché la committenza ha dimostrato un interesse per la qualità architettonica sconosciuta per buona parte delle amministrazioni pubbliche. Anomalo perché sono state utilizzate tecniche costruttive innovative e si è reso evidente la difficoltà delle imprese italiane a realizzare edifici che non rientrano nelle abituali tecniche costruttive.La Fiera di RiminiQuello che in altri paesi europei è quindi la normalità appare invece per l’Italia come una singolare eccezione.
Altra anomalia è poi il fatto che la Fiera di Rimini sia stata realizzata da uno studio di architettura tedesco. Mentre negli ultimi anni i maggiori architetti italiani sono dovuti andare all’estero per vedere realizzare i loro progetti era quasi impensabile che uno studio straniero si affacciasse con interesse sul mercato italiano.

L’interesse per l’Italia dello studio von Gerkan, Marg und Partner ha trovato una concreta occasione quando nel 1997 l’Ente Autonomo Fiera di Rimini gli affida, in seguito ad una gara a livello europeo, la progettazione del nuovo quartiere fieristico.

Lo studio porta con se ottime referenze nel settore della progettazione di fiere avendo realizzato il nuovo quartiere fieristico di Lipsia e diversi padiglioni alla Fiera di Hannover.

Fin dalle primissime idee progettuali di Volkwin Marg, che ha seguito il progetto della Fiera di Rimini con grande entusiasmo per tutto il suo sviluppo e ha dovuto ignorare non pochi consiglieri che gli suggerivano di non perdere il proprio tempo e le proprie energie nell’intricato e poco “edificante” campo delle opere pubbliche in Italia, prende forma una impostazione in linea con l’evoluzione dei progetti fieristici recentemente realizzati in Germania.

L’esperienza tedesca ha infatti portato alla definizione di una tipologia di quartieri fieristici (in particolare i recenti progetti per Monaco e Lipsia) con una disposizione monoplanare a doppio pettine dei padiglioni, con corti di servizio sui due lati lunghi dei padiglioni.

Il quartiere fieristico di Rimini
Scorcio della Fiera di Rimini

Questa disposizione permette di prevedere un’aggregazione dei padiglioni a seconda della manifestazione o di più manifestazioni contemporanee e, fra i singoli padiglioni, spazi di manovra per i mezzi durante l’allestimento e il disallestimento delle manifestazioni fieristiche – la cui durata deve essere sempre più ridotta per motivi di calendario – che non interferisce con il percorso dei visitatori.

A Rimini i 12 padiglioni privi di pilastri, per garantire la necessaria libertà di allestimento, si articolano simmetricamente intorno ad un corpo centrale accessibile dalla via Emilia attraverso un sottopasso ferroviario.

Nel corpo centrale della Fiera di Rimini, segnalato da alte torri luminose, sono disposte le funzioni generali quali il centro congressi, la ristorazione, gli uffici, ecc.

Il linguaggio architettonico fa direttamente riferimento alla tradizione costruttiva italiana. La convinzione di Volkwin Marg è che i grandi spazi collettivi abbiano bisogno di un linguaggio chiaro, facilmente comprensibile e caratteristiche di ampiezza e generosità degli spazi alla pari delle più importanti testimonianze dell’architettura del passato.

Ciò non significa quindi anonimi contenitori che vengono allestiti a seconda della manifestazione ma neanche un riferimento formale all’architettura del passato. Il legame con la tradizione viene cercato invece con i principi di assialità, simmetria e ripetizione e con la creazione di spazi quali i portici, le corti, i colonnati e gli ambienti voltati con le spettacolari coperture in legno che sono l’elemento caratterizzante e ricorrente dell’intero quartiere.

La progettazione del quartiere fieristico cosi delineato avviene a tappe forzate: nel settembre del 1997 viene presentato il progetto preliminare.

Successivamente viene elaborato il progetto definitivo che viene approvato in tempi record nell’estate del 1998. Nel frattempo si è proceduto con la progettazione esecutiva e avviate le procedure per l’appalto che viene aggiudicato all’inizio del 1999.

La realizzazione del quartiere fieristico ha evidenziato fin dall’inizio la condizione nella quale si trova il mondo dell’edilizia pubblica in Italia, dove le modalità di aggiudicazione degli appalti al massimo ribasso costringe le imprese ad offrire percentuali di ribasso molto elevate per aggiudicarsi le commesse.

Questa situazione eleva la conflittualità e crea le condizioni per le quali le imprese, nel corso dei lavori, cercano di recuperare i margini di utile non garantiti dall’offerta attraverso varianti progettuali, riserve o trasferimento del rischio d’impresa ai subappaltatori che difatti realizzano la gran parte dell’opera. Questa conflittualità viene poi accentuata se l’impresa si trova di fronte ad un progetto esecutivo con l’assoluta definizione dei dettagli, così come viene peraltro definito dalla legge Merloni, e un’indisponibilità da parte dei progettisti nell’accettare varianti per quanto riguarda la scelta dei materiali e la definizione dei dettagli costruttivi.

Anche nel caso di Rimini questa idiosincrasia tra impresa e progettisti ha comportato notevoli difficoltà, evidenziandosi in maniera particolare sulle coperture in legno, con discussioni estenuanti sulle modalità di calcolo e la normativa di riferimento (in mancanza di una normativa italiana per la costruzione in legno lamellare il calcolo era stato eseguito dallo Studio Favero & Milan, associato allo studio gmp per il progetto strutturale, secondo le DIN tedesche), sulla definizione dei particolari costruttivi e sulle modalità di montaggio.

Nonostante le difficoltà nell’aprile 2001 viene consegnato un primo stralcio e nel settembre 2001 vengono completati i 12 padiglioni e allestita la prima manifestazione che interessa tutto il quartiere. Si conclude cosi la vicenda “anomala” di un’opera pubblica italiana con l’augurio che tale anomalia possa ripetersi e diventare normalità.

Il progetto architettonico della Fiera di Rimini

Fin dalle prime considerazioni, il progetto della Fiera di Rimini prende forma secondo un’impostazione in linea con l’evoluzione dei progetti fieristici recentemente realizzati in Germania, già peraltro individuate dall’Ente Fiera come riferimenti tipologici.

L’esperienza tedesca ha infatti portato alla definizione di una tipologia di quartieri fieristici (in particolare i recenti progetti per Monaco e Lipsia), con una disposizione monoplanare a doppio pettine dei padiglioni, con corti di servizio sui due lati lunghi dei padiglioni, serviti da una strada ad anello e una spina centrale di distribuzione.

Questa disposizione permette di prevedere un’aggregazione dei padiglioni a seconda della manifestazione, o di più manifestazioni contemporanee e, fra i singoli padiglioni, spazi di manovra per i mezzi durante l’allestimento e lo smontaggio delle manifestazioni fieristiche – la cui durata deve essere sempre più ridotta per motivi di calendario – che non interferiscono con il percorso dei visitatori.

L’intenzione dei progettisti è stata quella di coniugare questi aspetti funzionali con un’architettura che facesse diretto riferimento al “genius loci” dell’Emilia Romagna e, più in generale, alla tradizione costruttiva italiana d’ispirazione classica.

La convinzione di Volkwin Marg è che i grandi spazi collettivi abbiano bisogno di un linguaggio chiaro, facilmente comprensibile e riconoscibile e caratteristiche d’ampiezza e generosità degli spazi alla pari delle più importanti testimonianze dell’architettura del passato

Ciò non significa quindi anonimi contenitori che vengono allestiti a seconda della manifestazione, ma neanche un riferimento formale all’architettura del passato. Il legame con la tradizione costruttiva viene cercato invece con i principi compostivi dell’assialità, della simmetria e della ripetizione e con la creazione di spazi quali i portici, le corti, i colonnati e le forme delle cupole, delle torri e degli ambienti voltati.

Il quartiere fieristico si articola in un corpo centrale, otto padiglioni standard di 6.000 mq e due copie di padiglioni, alle estremità est e ovest, che formano un’unica superficie espositiva coperta priva di sostegni intermedi di 13.500 mq ciascuna.

I padiglioni si dispongono in maniera simmetrica rispetto al corpo centrale intorno a vasti cortili porticati, che possono essere anche trasformati in grandi vasche d’acqua.

L’accesso al quartiere è garantito attraverso tre ingressi, ciascuno con la sua area di parcheggio di pertinenza, per garantire così la massima flessibilità d’uso anche per più manifestazioni contemporanee. In prossimità dell’ingresso principale, al centro del complesso, è prevista anche la fermata ferroviaria dedicata alla Fiera di Rimini.

Un’attenzione particolare è stata posta alla scelta dei materiali tesa a realizzare un ambiente armonico caratterizzato dai colori naturali dei diversi materiali. L’elemento che contraddistingue e caratterizza l’intero quartiere fieristico è sicuramente l’uso del legno per le coperture.

Il padiglione standard con una superficie di 96 x 60 m privo di pilastri intermedi è coperto con una volta in legno lamellare che forma una maglia di rombi di dimensioni regolari.

Si tratta di un sistema sviluppato dall’ingegnere tedesco Zollinger ma solo raramente realizzata con luci di queste dimensioni. Un altro segno distintivo dell’intero quartiere è la prevalente illuminazione naturale.

Nel padiglione viene garantita dalle facciate di testata, dal lucernario centrale e dalle fasce vetrate laterali che garantiscono anche l’effetto visivo di “sospensione” della copertura di legno dalle pareti longitudinali realizzate in pannelli di calcestruzzo.

L’illuminazione naturale, che generalmente non viene particolarmente apprezzata dagli espositori che preferiscono “mettere in scena” l’allestimento con propria luce artificiale, contribuisce invece notevolmente al benessere dei visitatori che non si trovano a dover attraversare, nel percorso di visita, zone espositive buie e zone di collegamento luminose.

A Rimini il percorso di visita dai tre ingressi si svolge “a pettine” attraverso in singoli padiglioni con costante riferimento alla corte colonnata centrale con le vasche d’acqua. I singoli padiglioni sono collegati fra di loro con padiglioni di collegamento che integrano la superficie espositiva e permettono la continuità del percorso di visita.
Il percorso trova possibilità d’interruzione e alternanza nelle corti, intorno alle fontane alle le zone verdi aree e nella rotonda dell’area centrale.

Nel corpo centrale si trovano, oltre all’ingresso e ai servizi per i visitatori, come guardaroba, sportelli d’informazione e bancari, attività di commerciali, le diverse zone di ristorazione, l’area congressi collocata al primo piano sopra il ristorante principale e gli uffici amministrativi della Fiera di Rimini che affiancano la piazza d’ingresso con le torri vetrate.

Una Fiera italiana o le tracce del Palladio portano ad oggi

di Volkwin Marg, Amburgo, 12.09.2002

La cultura architettonica d’Europa si fonda sull’antichità e l’Italia è il paese che ha ripreso la tradizione dell’antichità classica e l’ha trasmessa a tutta l’Europa.

Questa referenza fa si che per l’architetto del nord il costruire in Italia rappresenti un segreto desiderio. Dopo la realizzazione della Fiera di Lipsia, che è stata scelta per la mostra “Costruire secondo natura – gli eredi del Palladio nel nord Europa” e per la Biennale del 1997 come esempio significativo di continuità architettonica e perché in essa veniva combinata, in una situazione contemporanea dominata dalla confusione del linguaggio, la cultura della tradizione con la tecnologia del futuro in una maniera semplice e funzionale, non potevo desiderare null’altro che costruire nuovamente una fiera, e questo preferibilmente nella patria del Palladio.

Solo così ci si poteva sentire veramente come continuatore della diffusione dell’esperanto architettonico, divenuto una sorta di lingua franca del nuovo mondo, compresa e parlata ovunque, innescata proprio dal Palladio. Il mio segreto desiderio venne effettivamente esaudito.

Da una concatenazione di condizioni fortunate tutto si svolse nel giusto momento: in una gara a livello europeo venimmo scelti fra diversi progettisti e quetso verosimilmente per le nostre specifiche esperienze nella progettazione di fiere.

Nel 1997 ottenemmo l’incarico e formammo un appassionato gruppo di progettazione italo-tedesco di architetti ed ingegneri e ci alleammo con il nostro collega Clemens Kusch di Venezia, con il quale eravamo in amicizia sin dalla Biennale e che divenne, essendo italiano di nascita ma tedesco di origine, il nostro referente locale.

Venimmo anche subito a conoscenza dell’entusiasmo e della determinatezza del nostro committente, il presidente della Fiera Lorenzo Cagnoni, che ci forniva costante motivazione per prestazioni eccezionali e al quale va buona parte del merito della realizzazione, veloce e con una particolare attenzione alla qualità, di questa fiera.

Con la progettazione di questa fiera in Emila Romagna ci demmo l’obiettivo di ripagare, almeno parzialmente, gli interessi per i crediti di architettura avuti dall’Italia, a dispetto di tutta la dimenticanza culturale. In questo il nostro credo divenne la frase del filosofo Carl Friedrich von Weizäcker: “La tradizione è progresso comprovato, il progresso è tradizione continuata”.

L’obiettivo principale del nostro lavoro progettuale era duplice:

  • da un lato una concezione funzionale ottimale per l’organizzazione fieristica, con adeguate potenzialità di crescita e per lo svolgimento di manifestazioni in rapida successione diverse per tipo e dimensione;
  • dall’altro lato un’architettura ideale per il “genius loci” dell’Emilia Romagna, non lontana dai significativi esempi dell’architettura del passato, come il Tempio Malatestiano e l’Arco e il Ponte di Tiberio di epoca romana.

Nel progettare adottammo il metodo consolidato del principio del dialogo, dove per la composizione vengono intraprese due differenti strade, che devono essere portate ad una sintesi compositiva:

  • da un lato la strada della ricerca della forma dove in maniera razionale vengono derivate dalle destinazioni dell’attività, dalle condizioni locali e dalle possibilità costruttive la composizione più adeguata dell’insieme e la sua struttura tecnica e costruttiva più consona;
  • dall’altro lato la strada della definizione della forma, con la quale dare espressione in maniera emozionale, con i mezzi espressivi e comunicativi di un linguaggio formale dell’architettura generalmente comprensibile, alla percezione dell’uomo attraverso la capacità menmonica culturale, nonché all’esperienza tramandata dalla cultura con la definizione della percezione di spazio, forma, orientamento, luce, colore, materialità e adeguatezza.

Mentre il principio della razionale ricerca della forma corrisponde al procedere deduttivo dell’ingegnere che, seguendo la catena logica delle consequenzialità come risultato di un processo di selezione, sviluppa una macchina perfettamente funzionante, il principio associativo della definizione della forma corrisponde al procedere intuitivo dell’artista, che mobilita ricordi di percezioni sensoriali e sentimenti segnati dalla cultura e che necessità, per la capacità di convincimento della sua messa in scena, della condivisione del suo linguaggio compositivo.

Architettura come arte del costruire, a differenza del semplice costruire, vuole coniugare la tecnica con l’arte e pretende quindi dall’architetto entrambe gli aspetti: la disciplina razionale della ricerca della forma dell’ingegnere-costruttore e la fantasia dell’associativa definizione della forma dell’artista.

La ricerca della forma per l’opportuna disposizione dei corpi edilizi ad un insieme fieristico perfettamlente funzionante, nel caso di Rimini si è riferita alle esperienze partiche e verificate di quartieri fieristici, come quelli recentemente entrati in funzione, prima a Lipsia e poi a Monaco.

La loro organizzazione nella disposizione dei padiglioni è lineare e rigorosamente monoplanare, lungo un’asse distributiva centrale per i visitatori e una viabilità esterna di servizio per l’allestimento e lo smontaggio delle manifestazioni attraverso gli espositori.

La ricerca della forma per la costruzione più appropriata per la copertura delle grandi luce dei padiglioni, privi di sostegni intermedi, consegue parimenti in maniera razionale dalla logica costruttiva. La costruzione più economica per risparmio di materiale e di spazio apparve la consolidata forma dell’arco, sia per le coperture a botte sia per quelle a cupola. Questo corrisponde alla pratica costruttiva fin dalle volte in pietra, le volte in cemento armato del celebre ingegnere Pier Luigi Nervi e i molteplici capannoni industriali concepiti in maniera pratica ed economica dell’Emilia Romagna di oggi.

Differentemente dalla ricerca della forma definita dallo scopo e dalla tecnica costruttiva, la definizione della forma dell’architettura si orienta alla percezione intuitiva sensoriale dell’uomo.

La disposizione e forme dei corpi edilizi, derivati dalla funzione e dalla costruzione, ci servivano qui come pezzi di incastro per la composizione della messa in scena dell’architettura, attraverso riferimenti formali di tipo associativo.

Ma il mio particolare scopo, per la messa in scena, è stato quello di evocare in questo luogo la memoria dell’uomo del “genius loci” dell’Emilia Romagna, ossia l’architettura della fiera doveva rimostrare una referenza riconoscibile alla grande tradizione culturale che ha qui la sua patria.

Questa tradizione si definisce come un linguaggio formale classico direttamente comprensibile, che appare con le sue vive convenzioni del tutto consueto. Con queste convenzioni linguistiche abbiamo messo in scena l’architettura, con la sintassi della simmetria e della specularità e dell’allineamento assiale: con i termini architettonici di colonnato, corte, basilica, volta, cupola, torre; con le particolarità compositive dello stilobate, del pilastro, della colonna con capitello e travatura.

A questo linguaggio architettonico, generalmente comprensibile, può essere attribuito, in una comunità europea che si unisce ora finalmente anche dal punto di vista politico, un significato più esteso. Con tutte le differenze l’Europa è da sempre stata un’unità culturale.

La sua comune cultura occidentale fonda su una tradizione, che fin dall’antichità ha sempre trasferito la cultura del passato alla contemporaneità. La Fiera di Rimini offre per questo un contributo attuale all’architettura contemporanea.

Il linguaggio formale immediatamente comprensibile, concepito nel passato, viene riformulato con lo sviluppo tecnologico contemporaneo per un compito del futuro.



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