Tempo, città, architettura

“Così, di volta in volta ho raccolto e commentato le mie impressioni, senza troppo curarmi di un ordine logico, seguendo semmai l’incalzare di un evento. Chi ricercasse in questi scritti una continuità organica, resterebbe deluso. Nondimeno, mi auguro non si annoi troppo, giacché il quadro in cui questi appunti sono inseriti, è reale e gli spunti critici sono espressi apertamente, con la voglia di comunicarli senza acrimonia né risentimento. Semmai con qualche rammarico.
Specialmente quando le descrizioni riguardano Firenze, una città che avrebbe potuto fare molto, ma che per l’effetto immobilizzante dei “veti incrociati”, è riuscita a combinare ben poco. Oggi appare una città frustrata, mortificata in tutte, o quasi tutte, le sue iniziative, timorosa di avanzare qualsiasi proposta e perfino di “gestire” l’ordinaria amministrazione delle cose che funzionano bene.
Viene il rimpianto dei tempi in cui un giovane La Pira, tra il seggio alla Camera dei deputati e lo scomodo sgabello di Sindaco di Firenze, sceglieva senza esitazioni quest’ultimo e, da primo cittadino, spingeva lo sguardo lontano per sognare le sorti future della “sua” città. E, intanto, dava credito ai suoi più diretti collaboratori, concedendo loro la confidenza e la fiducia indispensabili a raccogliere le energie e fiutare il traguardo prima ancora di averlo intravisto.
Il futuro ha bisogno di sogni e di chi sa sognare: guai a cadere nella trappola di un falso e rigido ordine fatto di regole, di norme e di piani anch’essi rigidi e falsi. Spenta in noi ogni residua scintilla di libertà, finiremmo col trovarci arruolati senza avvedercene tra le schiere di una tecnocrazia di complemento, ove tutto è rigorosamente previsto e l’innovare – ma più ancora il pensare – viene altrettanto rigorosamente bandito”.