Le rivoluzioni in architettura

Non potevo dimenticarmi di Michelucci.
Per lui il bello è verità e la verità è da cercare con l’anima, nell’anima. Nessuna concessione alla forma come gusto, come moda, come tendenza, come mezzo per allinearsi e restare nel branco, come modo di interpretare l’attualità.
Per lui progettare era ogni volta un’avventura che si svolgeva insieme alla ricerca dell’ordine giusto per risolvere un problema pratico. Né terminava lì: era l’inizio di una discesa nella profondità dell’oggetto in gestazione prima di portarlo alla luce.
Non posso nascondere il fascino del personaggio Michelucci, non facile nei rapporti personali, ma gradevole ed eccitante nei rapporti con gli studenti.
Di lui mi ha affascinato la fecondità delle idee, la facilità con cui riusciva a trasformare l’immagine ch’era possibile farsi di un oggetto, quel vederci dentro qualcosa che poteva essere l’inizio di una nuova avventura o di una scoperta. Per noi studenti un oggetto era una ben determinata cosa, per lui ne potevano essere mille.
Eppure, in quella insospettabile varietà di immagini costruite con tanta facilità, non c’era nulla di gratuito. Egli traeva la sua ispirazione dalla vita, e alla vita si affidava per le sue verifiche. Nulla che alla vita fosse estraneo riusciva a occupare la sua mente.
Su Michelucci architetto e docente ha prevalso il desiderio di una testimonianza viva dello spirito con cui ha operato da uomo innamorato del suo mestiere e tormentato dal costante timore di non averlo esercitato nel migliore dei modi. Tentare di illustrare le sue idee di architetto e di uomo, è stato un faticoso tornare indietro nel tempo, rinverdire ricordi che si stavano spegnendo, ma che avevano lasciato un profondo solco nel mio modo di vedere il mondo, l’architettura e la città.