Spazio reale, immaginato, empatetico: luce e ombra nella scultura monumentale

Generalmente li ritroviamo in posizioni ben visibili – a grandezza naturale e seminaturale – nelle navate, nel transetto o nelle cappelle delle semplici chiese di campagna, nelle grandi cattedrali, nelle abbazie, negli oratori e sono predestinati ad essere comunque coinvolti in un dialogo con l’osservatore.
A ciò si aggiunge che tramite loro le persone raffigurate sono, per così dire, presenti.
Lo scopo dell’intervento è quello di confrontare e avvicinare due universi culturali e concettuali tra loro lontani: da una parte il mondo artistico ed extrartistico (fonti letterarie, d’archivio, devozionali) che si concentra tutto in questa particolare tipologia d’arte, spesso banalizzata, dall’altro il mondo della progettualità illuminotecnica che talvolta rischia di ignorare la ricchezza di queste tracce e segni.
La parte più critica, che pure vogliamo porre alla riflessione, riguarda le modalità percettive di una statuaria che doveva essere colta con un approccio coinvolgente per l’osservatore, in particolari momenti dell’anno liturgico.
Proprio attraverso la realtà della visione plastica avveniva uno spostamento verso altri piani di sublimazione emotiva, spirituale e immaginaria tali da generare una sorta di immedesimazione fisica e partecipativa alla scena stessa.
D’altronde la verifica della presenza sul territorio italiano di un notevole numero di tali manufatti illuminati in modo fisso da sorgenti luminose artificiali, o resi illeggibili da fenomeni di abbagliamento, pone il problema di come illuminarli oggi, soprattutto con quale interpretazione.
Fine dell’indagine è dunque inizialmente valutare le modalità di fruizione delle opere, individuando attraverso la presentazione di un caso di studio, la possibilità di illuminare i gruppi plastici ipotizzando una nuova lettura, raggiunta attraverso l’attività sperimentale, senza ignorare la corretta percezione dell’oggetto tuttavia cercando di restituire, con una tecnologia moderna non invasiva, quel meccanismo di illuminazione teatralmente “drammatica”.

Il “Compianto”: lineamenti di una tipologia artistica nella scultura italiana tra Quattrocento e Cinquecento
La fortuna critica
I termini usuali di “Pietà, “Deposizione”, “Sepolcro”, “Compianto” “Mortorio”, “Mise au tombeau” non ancora pienamente codificabili definiscono tuttavia alcune funzioni di questi gruppi scultorei con declinazioni spesso contaminate; la loro forma materiale non è preferibilmente il nobile marmo, piuttosto la creta, la pietra tenera o il legno.
Di questa profusione, oggi, non sussiste che un numero minimo poiché la maggior parte è andata distrutta a ragione della loro grande vulnerabilità, delle dispersioni dovute a eventi bellici e soprattutto della perdita di interesse per un genere che ad esempio nell’Ottocento non è più di moda, a seguito di rinnovate occasioni liturgiche e devozionali delle comunità religiose.
In realtà questa statuaria deve essere considerata come uno degli elementi costitutivi dell’arredo ecclesiastico, in particolare nel periodo di transizione tra il Gotico e l’inizio del Rinascimento.
L’inventario, ben lungi dall’essere completo, si rivela sorprendente per quanto può rivelare tra numero e qualità di oggetti ancora integri e altri sopravvissuti, anche se in modo frammentario.
Gli studi e i tentativi di ricostruire il percorso di questa tipologia artistica, per lungo tempo considerata minore nell’apodittico e cristallizzato dibattito sul primato tra le arti, hanno trovato solo di recente un interesse consapevole sia in contributi di carattere storico-artistico specie a seguito di campagne di restauro, sia soprattutto nelle fondative monografie di carattere sistematico di Adalgisa Lugli (1990) e Michel Martin (1997).
La materia non è affatto semplice. L’elaborazione dei modelli si interseca con i flussi culturali, la liturgia e il teatro sacro, le fonti letterarie e iconografiche, la committenza e il suo pubblico, le riflessioni teoriche dei trattatisti, i meccanismi della visione e della ricezione, l’insegnamento didascalico passaggi tutti su cui la letteratura è più ricca.
Emergono tuttavia ancora vistose lacune sugli artisti, sulle attribuzioni spesso incerte, sulla effettiva ubicazione dell’insieme monumentale – spostato nell’ambito dello stesso luogo e in tempi diversi per adeguarlo alle mutate ed effimere esigenze artistiche e alle diverse consuetudini cultuali che portavano ad una sorta di involontaria rotazione espositiva – e sulla stessa disposizione delle statue talvolta variata quando erano mobili; ancora lacune sulla perdita della policromia, la pelle ora quasi svanita che rivestiva queste sculture e che costituiva con la stratificazione dei colori un ulteriore elemento di mimesi.

Alcune vie della rappresentazione dei misteri della Passione di Cristo
Nell’ambito di un contesto così ampio si cercherà di cogliere il manifestarsi di alcune tipologie, qualche tratto dei percorsi e dei modelli iconografici inseguendo il rapporto tra figura e spazio, senza intavolare più ampi e complessi disegni, che esulerebbe dai limiti di queste note.
L’esigenza di attualizzare l’umanità del Redentore aveva portato in Occidente, almeno sin dal IX secolo, a visualizzare il luogo della sepoltura di Cristo – il sacello della chiesa gerolosimitana dell’Anastasis o del Santo Sepolcro a Gerusalemme6 – copiato, riprodotto nelle chiese intitolate al Santo Sepolcro o allestito come apparato effimero in cerimonie legate al triduo pasquale.
Nel tumulo, polarizzazione estrema, si “vedono” i misteri della vita, della morte e della resurrezione del Redentore vivificati da una forte intonazione affettiva poi elaborata dalla pietà francescana, capace di sintetizzare uno strumento di devozione più semplice e popolare.
Lo svolgimento articolato, narrativo e plausibile di questo immaginario, che comincia ad assumere statuto di realtà tangibile acquista, ad un certo punto, un’importanza tale da porre all’artista il problema di come presentarlo illusionisticamente.
Non esiste una univocità di sviluppo, piuttosto nei differenti paesi una lunga riflessione sui programmi costruttivi e le forme da conferire a queste rappresentazioni, quasi una nuova geografia descrittiva, nelle quali convivono simultaneamente il piano della historia sacra e la sua continua teatralizzazione liturgica e catartica.
A chiari manifesti di urbanism imaginaire, si ispirano le sistematiche riproduzioni dei luoghi santi, come dopo l’ultimo quarto del XV secolo il Monte di Varallo, più avanti la “Gerusalemme” di San Vivaldo, nel senese, entrambi prodotti dell’Osservanza francescana o in altri casi riconducibili al clima confraternitale come nell’oratorio della Maddalena a Novi Ligure, microcosmi in cui le scene della Passione e morte di Cristo assumono consistenza scenica in una suadente regia architettonica e plastico-pittorica.
Mentre il cammino spirituale della croce diviene un itinerario reale di pellegrinaggio nella modalità della stazione incentrata sulla via dolorosa di Gesù al Calvario, in area tedesca si diffonde tra XIV e XV secolo una particolare tipologi a di devozione itinerante, quella dell’heilge Grab , la statua di Cristo deposta in un’edicola aperta con i protagonisti della sepoltura e della resurrezione con l’uso, documentato anche nell’Italia alpina, di esporre durante il periodo pasquale sepolcri lignei contenenti un’effige del Redentore, affidando al l’intera figura tridimensionale la suggestione di un ruolo parlante.

Sul tema iconografico del Compianto Resta da spiegare perché il tema del Compianto, apparentemente il più difficile da realizzare plasticamente, sia stato scelto insieme a quello della Pietà – il più immediato emozionalmente in cui si racchiude l’intimo pianto della Madre sul corpo del Figlio – come prediletto rispetto agli altri episodi del dramma della Passione.
Non solo ragioni religiose, per la qualità degli insegnamenti legati alla contemplazione, ma anche la duttilità di un soggetto che costituisce un vero e proprio sistema di espressione in grado di affinare le capacità mimetiche e creative degli artisti.
La migrazione e la lunga elaborazione di questa immagine dal threnos bizantino, la veemente lamentazione funebre sul corpo di Cristo morto, attraversa dall’VIII secolo miniatura, pittura passando in età gotica all’arte plastica monumentale per costituire solo in epoca quattrocentesca un codice abbastanza stabile e nel Cinquecento un linguaggio in cui si condensa la poetica rinascimentale.

Il momento rappresentato è quello che segue la Deposizione dalla Croce dopo che il corpo staccato dal patibolo si offre al dolore della Vergine e di alcuni altri accoliti di Cristo, scatenando una gestualità libera e anticonvenzionale legata all’apprendimento del dramma in cui la Madre si china a baciare le livide gote, o si accascia priva di forze o è sorretta da Giovanni, la Maddalena è spesso con le braccia alzate percossa da un empito violento oppure composta ai piedi del cadavere in funzione di mirrofora, le Marie ricevono ed esprimono come bordone il moto convulso e aperto di forze, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, in posa più ieratica, assistono quasi come testimoni e nella funzione di inumatori; davanti a tutti l’immobilità spirante di Cristo steso al suolo su una base a guisa di lastra.
Questo schema (fig. 1) diffuso in ambito padano e lombardo tutto sommato abbastanza canonico nel numero, nell’ordine e nella disposizione delle figure, pur prestandosi a numerosi variazioni ed invenzioni artistiche, si differenza dalla Mise au tombeau – malgrado la separazione non sia così netta e anzi sembra palesarsi più come una declinazione della stessa radice – versione prevalentemente francese del tema tra Quattrocento e Cinquecento, ma non solo.
Esso rappresenta il momento del Seppellimento, quando i medesimi attori sacri si dispongono a semicerchio dietro al sepolcro isolato (un sarcofago o un banco) sul quale giace Cristo morto avvolto in un lenzuolo funebre.
I personaggi, più che un’onda vengono a comporre in questo caso un’unità abbastanza composta e chiusa di piccoli volumi verticali accostati, parattatici, rispetto al lungo volume orizzontale definito dal corpo di Cristo; l’atmosfera è grave e contenuta (fig. 2).
L’ampiezza della questione, certamente non affrontabile in questa sede per il respiro di molti e diversi ragionamenti, pone però necessaria la disamina di alcuni elementi cruciali per i nostri fini.
In seno ai principali assi di dibattito, il rapporto tra Compianto e Mise au tombeau rimane un problema ancora aperto: Gentili coglie nelle due rappresentazioni la diversa successione sequenziale nel tratto dalla Croce al Sepolcro, Baron ipotizza differenze di temperamento e di contesto spiritualedottrinale, Martin riconoscendo nei Compianti italiani l’allargamento del campo di azione dei protagonisti, non più imbrigliati in una visione frontale gotica ma protesi verso una scena molto animata, ispirata alle attitudini delle vita umana con la predilezione per il tutto tondo anziché del mezzo tondo.
Di fatto una riflessione più ampia mette in evidenza l’unità nell’ispirazione di un tema di scultura relativamente omogeneo nell’insieme della cristianità occidentale europea, da cui dipartono due macrostrutture – Compianto e Mise au tombeaux appunto – con variabili e sincretismi infiniti.

Spazio artistico, spazio reale, “spazi” della visione
Le rare fonti archivistiche allorchè trattano dei Compianti, pur nell’ambiguità lessicale, utilizzano sovente il termine “Sepolcro”, così ad esempio nel contratto stipulato alla data del 148521 tra Guido Mazzoni ed i monaci di Sant’Antonio in Castello di Venezia per l’esecuzione di “uno sepulcro cum figure octo grande”, ora purtroppo allo stato di frammento presso i Civici Musei di Padova o per quello rimasto integro della chiesa delle Sante Agnese e Lucia di Portogruaro detta di Santa Agnese.
Il vocabolo “Sepolcro” rinsalda presumibilmente il legame tra figura e luogo, quest’ultimo citato sia come sineddoche nei Compianti o “Mortori” padani mediante la lastra sepolcrale su cui giace il corpo di Cristo, memoria della “pietra dell’unzione” della basilica gerolosimitana dove quella salma venne deposta e cosparsa di olii prima dell’inumazione, sia come evocazione della camera sepolcrale nelle Mises ai tombeau, commemorazione in ogni caso dell’ultima e intera sequela delle Passione a prescindere dai singoli momenti narrativi.
L’interazione tra i personaggi e lo spazio tocca altresì la riproposizione dell’ingrediente inatteso del paesaggio dipinto col Calvario, come sfondo e decoro murale della cappella che accoglie ad esempio il Compianto quattrocentesco di Lugo nella chiesa di San Francesco di Paola, a riproporre in epoca più tarda l’idea originaria di una scenografia d’ambiente che accresce la verosimiglianza.
L’evocazione spaziale dipinta e soprattutto architettonica del sepolcro – quest’ultima generata dalla cappella o nicchia ove le figure si trovano ad agire e ad interagire – doveva essere l’elemento costitutivo dei Compianti.
Ma anche questo elemento, parte di un allestimento avvolgente, è andato perduto riducendo per tali opere lo spettro di una lettura visiva più complessa di cui non ci è possibile dare una risposta adeguata.
Altrettanto esile rimane la questione di come questi stessi gruppi venissero predisposti alla visione e secondo quale punto di vista.
Gli studi in questo senso non dispongono di modelli sufficientemente provati perché le variabili sono numerose: dal possibile cambiamento della loro ubicazione a causa delle frequenti ristrutturazioni degli edifici sacri, alle consuetudini di culto così interconnesse con la fruizione, alle modalità prospettico-visive “interne” con specifici meccanismi costruttivi di cui non conosciamo gli strati di senso.
Le statue, probabilmente in epoche diverse, erano accessibili da tutte le parti inglobando così nella scena il fedele, o scalate in profondità, oppure disposte su un piano rialzato e in certi momenti precluse alla vista da un tendaggio o invece nettamente separate dal flusso di comunicazione diretta.
L’aggiunta di una pesante grata davanti al Compianto di Santa Maria della Vita, a Bologna, nel 1586 in pieno clima controriformistico, maturata forse dalla necessità di limitare o meglio contenere la grande affluenza di fedeli che potevano toccare le statue, pur escludendo lo spettatore dalla scena lo ammetteva all’esterno, in atteggiamento genuflesso, come risulta dal gradino-inginocchiatoio di un disegno secentesco.
Eppure il “Compianto”, quel luogo che in forma di tragedia profana o di corteo funebre si apprestava a rappresentare i misteri della Passione di Cristo, raccoglieva in sé, con la diversa mimica facciale e gestuale dei suoi personaggi, con lo spirito dell’arte infuso nella materia sino a creare l’illusione di persone viventi, quel luogo riusciva ad avvicinarsi, a sfiorare e a raggiungere l’esperienza personale e affettiva dell’osservatore, suscitando il suo coinvolgimento e appellandosi alla sua compassione.

Il caso del Compianto della chiesa delle Sante Agnese e Lucia di Portogruaro: gradiente narrativo dell’illuminazione e livelli della fruizione
La ricerca è stata finalizzata a chiarire le problematiche emerse dallo studio storico-artistico, percettivo e funzionale di un manufatto realizzato tra fine Quattrocento e inizi Cinquecento nel Veneto orientale e a fornire dati utili a fini di interventi di progettazione illuminotecnica per questa tipologia di oggetti.
Tale fase si è articolata nei seguenti momenti:
a) Individuazione di un caso di studio
b) Analisi dei dati archivistici relativi all’illuminazione
c) Sperimentazione: descrizione delle fasi progettuali
d )Valutazione dei risultati e discussione
a) Individuazione di un caso di studio. Quasi vent’anni fa in un memorabile contributo di Massimo Ferretti sul Compianto bolognese di Santa Maria delle Vita di fatto ci si era accorti, pur nell’ambito di poche ma significative righe, e vale la pena citarle, che quel gruppo “va immaginato in una luce non eccessiva, tagliata, esterna e vibrante per l’aggiunta di candele; ben diversa dall’illuminazione largamente diffusa, spiovente e ferma che abbiamo qui: luce che contribuisce moltissimo alla solitudine spaziale di ciascuna figura”. Più di recente Martin, ha ipotizzato per le Mises au tombeaux, un “clair-obscur” che doveva suggerire quella nuda e severa penombra – non senza un retaggio tutto francese all’approccio, improntato sulla perenne essenzialità romanica – che doveva restituire l’atmosfera di raccoglimento dei fedeli, a maggior ragione per quei gruppi plastici, come quello di Chaource e Chaumont, che erano destinati a divenire, tra l’altro, le capelle funerarie dei donatori.
Molto di più non è stato scritto su questo tema. Anche per questa ragione il Compianto della chiesa di Sant’Agnese di Portogruaro risulta interessante e problematico, pur essendo di non elevata qualità artistica.
Pur essendo in area italiana è di fatto una rara Mise au tombeau a grandezza seminaturale (altezza dell’insieme 117 cm, larghezza 187 cm, profondità 50 cm), in terracotta policroma, inserita in una nicchia entro l’ancona di un impianto barocco a circa 250 cm di altezza, che ricrea un contesto non originale (fig. 3). Il gruppo è illuminato attualmente da due sorgenti fluorescenti compatte posizionate ai lati, il cui incrocio dei fasci luminosi determina sulla parete di fondo ombre troppo accentuate e allungate, a ciò si aggiunge l’esigua illuminazione naturale proveniente dalle vetrate laterali dell’edificio (fig. 4). Il disturbo visivo risulta notevole, unito alla difficoltà di adattamento dell’occhio.
D’altronde la letteratura artistica ha solo da pochi anni in parte dipanato la questione attributiva della nostra opera: dopo un primo indirizzo riferito all’ambito mazzoniano, la Lugli lo ha inquadrato in seno alla scuola veneta, anzi padovana, accomunandolo all’analogo gruppo del monastero di San Benedetto (fig. 5), ora conservato in stato di frammento nel museo diocesano di Padova.
Gentilini ha ulteriormente rafforzato questa tesi con una serie di confronti pertinenti e tali da ipotizzare nell’anonimo plasticatore la figura di Domenico Boccalaro, scultore della città patavina agli inizi del ‘500.
Se l’alveo storico-artistico e temporale appare plausibile più fragile sembra la personalità di chi pur avendo ben presente il modello iconografico e stilistico di San Benedetto, la cui attribuzione si sta discutendo, lo importi con più tiepida rustichezza su un altro sostrato.
Terreno questo per altre e diverse discussioni, una tra tutte la necessaria risistemazione degli studi sulla plastica padovana.
La focalizzazione sul tema della morte e resurrezione di Cristo attraverso l’atto vero e proprio del Seppellimento, dopo la Discesa dalla Croce, sposta l’accento su un livello umano dei sentimenti che diventa trasparente, con tratti realistici dei protagonisti/attori non più calati in una fine crudele e dolorosa ma immessi verso una nuova vita futura, promessa e annunciata dalla resurrezione pasquale nella quale ricadono per immedesimazione gli spettatori/devoti.
Ecco che le nuove creazioni della scultura devozionale si arricchiscono di eloquenza, di caratteri, di emozioni e di attitudini che traggono i propri mezzi stilistici da un formidabile sistema retorico.
Lo schema geometrico del Compianto portogruarese è costruito sul triangolo isoscele che ha come base maggiore il corpo morto giacente, su cui agiscono per antitesi i gesti e i movimenti digradanti degli astanti, in un crescente effetto amplificativo che ha voce oltre che vista.
E queste “parole” attingono al vastissimo repertorio retorico della letteratura ecclesiastica (testi mistici, devozionali e teatrali, prediche, sermoni, etc.) e a rimandi più lontani, a comporre un’unica frase in cui le fonti non sono necessariamente distinguibili o vanno, dove è possibile, cercate e interrogate.
L’individualizzazione della figura si correda altresì di dettagli. Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea sono gli inumatori (il tipo) ma anche precisi personaggi che verosimilmente indossano le calzature a due fasce simili agli zoccoli dei frati minori osservanti (il ritratto), i frati che realmente si insediarono dopo le monache benedettine nella chiesa di Sant’Agnese di Portogruaro nel 1481, per consacrarla nel 1496.
Dettagli che con l’artificio naturalistico della tenera terracotta e della cromia diventano più veri del vero, con la conseguenza di una traslazione diretta dell’ambiente contemporaneo o del committente stesso nel meccanismo della rappresentazione artistica, oggetto di una fruizione pubblica ma anche del riconoscimento sociale.
Non si può non pensare anche per gli scultori di genere un contatto o perlomeno un “rimasticamento” delle opere dei grandi trattatisti tradotte piuttosto in qualche pratica di bottega nel tentativo di imitare la natura con l’arte del disegno o vulgate in altri testi, come il diffusissimo e più tardo De armonia mundi totius del veneziano Francesco Zorzi, contenente il De Statua dell’Alberti.
Godevano forse di maggior fortuna presso il pubblico le raccolte, anzi quasi le sceneggiature delle meditazioni di Cristo pensate con un realismo tale da produrre nella mente del contemplante non edotto nel latino le immagini stesse di quegli eventi vissuti attraverso l’orazione, che fa parlare l’anima con Dio, come nel noto Zardino de oration fructuoso , stampato in Venezia nel 1494 e che trova un’affinità in pittura nelle Sacre Conversazioni di Vincenzo Catena, spostando l’accento sulla devozione privata.
b) Analisi deidati archivistici relativi al’iluminazione.
Una sistematica ricognizione archivistica relativa ai Compianti (per alcune opere il corredo documentario è già esistente e andrebbe solo letto con una prospettiva più ampia) potrebbe essere estremamente utile per ricostruire la storia a più livelli di questa speciale statuaria, incrociando in particolare i dati relativi alla manutentio.
Il termine, “manutenzione”, è assai diverso da quello che noi oggi intendiamo, esso comprendeva infatti la serie di operazioni utili a mantenere il decoro di una cappella, di un altare, di una statua, di un dipinto provvedendole del necessario: candele, lampade, fiori, etc. ma è anche l’impegno che il donatore aveva nei confronti del bene oggetto della sua devozione, impegno che aveva valore giuridico-ecclesiastico e poteva talvolta essere trasmesso agli eredi.
In un documento rogato nel 150630, nel contrattualizzare un nuovo impegno si ricorda il precedente: “cum alias dedicatum fuisset, et concessum altare sacratissime Pietatis, ac beate Lucie positum in ecclesiam sancte Agnetis extra muros per Reverendos Patres Monasterii quondam ser Domenico de Cordonato”.
Domenico de Cordonato, un nobile da come si evince dall’appellativo “ser”, aveva chiesto e ottenuto dai frati del monastero di poter erigere un altare in onore della Santissima Pietà e di Santa Lucia.
Da qui apprendiamo, inoltre, che davanti a quell’altare era sepolto il suddetto Cordonato a quella data evidentemente morto.
Gli eredi presenti e futuri si impegnano a provvedere all’illuminazione dell’altare versando ogni anno, in occasione della festa di Santa Lucia, “mirum unum olei, et candelas cereas libras sex” insieme a una “ellemosinam” per celebrare annualmente, nel giorno di venerdì, una messa “pro salute animarum defunctarum”.
Dalle informazioni, che sono straordinariamente ricche, veniamo a sapere che il committente era devoto alla santa martire siracusana, che è tra l’altro contitolare della chiesa portogruarese, ma anche della “Pietà”, aspetto quest’ultimo ribadito dall’ulteriore richiesta di celebrare una sacra funzione proprio di venerdì, che coincide liturgicamente col giorno della morte di Cristo.
La quantità di cera e olio elargita è cospicua da un punto vista economico, dati i prezzi di allora: un miro di olio per le lampade, corrispondente circa a sedici litri e sei libbre di candele di cera, pressappoco un kilogrammo e otto etti l’anno.
Invece la quantità di luce sponsorizzata sembra produrre un’illuminazione assai fioca, soggetta comunque nell’arco dell’anno a frequenza variabile in concomitanza con eventi ordinari e straordinari del culto.
L’illuminazione è inoltre mista, olio della lampada e cera della candela, con una diversa durata delle due sorgenti.
In un successivo legato del 1524 un altro Domenico de Cordonato, un parente, testando da vivo rinnova la proprietà, rivendicando il diritto di essere sepolto davanti al famoso altare “eius”, il suo altare “sepulchri Domini Nostri Jesu Christi”, confermando qualcosa che poteva sembrare solo un’ipotesi: l’esistenza di un altare che conteneva il “Sepolcro”, ovvero il Compianto di Cristo morto.
Il solerte erede prescrive infine una riduzione delle messe, forse per risparmiare sui costi, predisponendo però un raddoppio della quantità di olio “duos miros”, che comunque dura di più rispetto allo stoppino.
Per quanto l’anagrafica dei Cordonato sia ancora da rintracciare unitamente ad altri dispersi fili, sappiamo che il Domenico del primo legato era morto prima del 1506 quindi quella data è un termine ante quem entro cui si può collocare l’esecuzione del Compianto; anche l’attribuzione, malgrado sia da ripensare, rimanda per dati di stile e confronti a opere padovane collocabili tra fine XV e inizio XVI secolo, periodo che coincide più o meno con l’assestamento dei frati minori nella nuova realtà francescana di Sant’Agnese.
c) Sperimentazione: descrizione delle fasi progettuali
Lo studio precedente ha posto in evidenza come la progettazione illuminotecnica della scultura sacra monumentale non possa essere condotta omettendo la conoscenza delle tipologie, della liturgia e della specifica percezione che di essa aveva lo spettatore/devoto.
Si è scelto pertanto di sperimentare alcune letture critiche. Le prove sono state effettuate non sul soggetto reale ma su una riproduzione della scultura in creta dipinta a tempera, data l’impossibilità di operare dal vero e secondo lunghi tempi di sperimentazione in situ, inidonei per un luogo di culto.
c.1.Grado di fedeltà del modello e scelta delle fonti luminose: il gruppo scultoreo di Portogruaro è stato modellizzato in scala 1:3 unitamente alla nicchia (fig. 6).
Le altezze delle figure variavano da un minimo di 30 cm ad un massimo di 36 cm, la profondità media era di circa 9 cm e la larghezza dell’insieme di 68 cm.
Considerando i problemi legati alla miniaturizzazione delle sorgenti luminose e alla difficoltà di far mutare il colore della luce, per l’illuminazione del modello sono stati scelti LEDs bianchi e colorati (blu, rossi e verdi) applicati entro una struttura-prototipo di sostegno, pensando all’applicazione reale.
I LEDs sono di dimensioni piccole, hanno bassissima emissione di IR/UV, presentano una notevole durata inoltre trattandosi di un oggetto tridimensionale permettono di orientare il flusso luminoso in una certa direzione, soddisfacendo alla necessità di una illuminazione puntuale.
c.2.Metodi sperimentali: la principale sfida data da questi manufatti è consistita nel comprendere se il concetto di dinamicità è applicabile alla scultura, in particolare a quella dei Compianti32, impostata secondo una progressione narrativa ed emozionale drammatica.
Dopo la prima prova con illuminazione di candele, che è servita per avere una visione “storicizzata”, si è giunti alle successive sperimentazioni utilizzando sorgenti moderne in miniatura:
c.3.Considerazioni preliminari, illuminazione con candele: si è scelto di cercare di simulare con una serie di prove la sequenza dinamica ottenuta con le candele, come si evince dai documenti, interessante per la capacità di plasmare i volumi mediante l’effetto vibratile delle fiamme.
Diversa era la loro durata che variava con la frequenza delle azioni liturgiche, il loro diverso numero influiva sulla quantità di luce.
Candele in miniatura sono state collocate al livello della linea di terra delle nicchia, partendo da un’illuminazione di 2 fino a un massimo di 10 unità (fig. 7).
Nelle prime due pose la statuaria si percepiva come monocromatica, la lettura dei colori si è raggiunta solo con un minimo di 6 candele.
Nelle ultime le ombre sullo sfondo possedevano contorni “sdefiniti” tali da non alterare il numero delle figure con un effetto simile all’ambliopia, molto marcato invece nell’illuminazione reale dell’opera. Nel modello il livello di luminosità rimaneva basso, ma l’occhio si adattava bilanciando adeguatamente i colori.
D’altronde come abbiamo constatato per l’osservatore del passato doveva essere importante non tanto “vedere” in dettaglio, quanto immaginare vedendo.
Per eseguire le prove volte a riprodurre un’adeguata lettura si sono realizzate tre percorsi progettuali (nn. 1, 2, 3) con lo scopo di perfezionare simultaneamente sia il miglior comfort visivo da un punto di vista tecnico che un’ipotesi di illuminazione dinamica capace di interpretare e “rivelare” l’approccio immedesimativo-espressivo dell’osservatore.
Questo processo ha cercato di cogliere le fasi di una possibile progressione: illuminazione dello sfondo, illuminazione di accento di Cristo, illuminazione generale, illuminazione puntuale dei volti.
c.4.Percorso progettuale 1: La struttura orizzontale con le sorgenti luminose è stata posizionata alla base del modello per simulare l’illuminazione delle candele.
Per lo sfondo la colorazione utilizzata ha comportato nel retro dell’opera l’inserimento di LEDs colorati (rosso, blu verde) che, seguendo una successione cromatica prefissata e ciclica, hanno variato la tonalità; l’eccessiva gradazione è risultata attenuata dall’aggiunta di LEDs bianchi, con l’inserimento di un filtro giallo all’interno di un tubo di plexiglas satinato, che richiamava la tonalità delle candele alla base della struttura del modello.
Si è adottata altresì un’illuminazione dall’alto in basso per la figura principale del gruppo, il Cristo, mentre si è pensato di illuminare puntualmente i volti applicando ai LEDs lenti ottiche, al fine indirizzare il flusso luminoso nelle aree di interesse, anche se non si è riusciti a farlo convogliare in modo esclusivo sui volti, a causa delle ridotte dimensioni del modello.
Il percorso progettuale ha previsto quindi quattro fasi di accensione in cui ogni prova è stata realizzata al fine di raggiungere come risultato finale complessivo una migliore illuminazione dell’opera, risultato ottenuto dalla sovrapposizione degli effetti luminosi di ognuna, esaltandone le qualità più evidenti riscontrate e correggendone, in parte, i difetti come la formazione di ombre allungate e molto evidenti sullo sfondo.
c.5.Percorso progettuale 2: l’illuminazione dello sfondo e quella di accento di Cristo sono rimaste nella stessa posizione, è stata invece modificata la collocazione dell’illuminazione generale e di quella di accento sui volti.
Il percorso progettuale ha previsto ancora quattro fasi di accensione in cui sono state sperimentate singolarmente le prove variate.
Le sorgenti luminose sono state posizionate non più in orizzontale ma in verticale, eliminando la zona d’ombra che risultava alla base del gruppo.
Malgrado si siano formate ancora ombre, ma di minore intensità, con la diversa posizione dei LEDs si è raggiunta tuttavia una sequenza dinamica globale nell’ultima prova.
c.6.Percorso progettuale 3: si è ritenuto necessario proseguire la ricerca, alla stregua dei positivi risultati ottenuti, per correggere ulteriormente le problematiche emerse.
L’illuminazione dello sfondo è stata semplificata limitando la successione cromatica al blu. Per l’illuminazione generale si sono mantenute la collocazione verticale delle sorgenti del percorso 2 e il posizionamento delle sorgenti dall’alto per illuminare Cristo, come nei percorsi 1 e 2. In tal modo sono risultati attenuati notevolmente
i difetti principali, aspetto che ha consentito di sviluppare in dettaglio la sequenza globale dinamica.
d) Valutazione dei risultati e discussione.
La proposta emersa, come definitiva, che abbiamo ritenuto essere la più valida e che abbiamo chiamato “lettura liturgico espressiva” è costituita dalla dinamicità di accensione e spegnimento secondo le seguenti fasi: la prima prevede l’illuminazione del fondo della nicchia al fine di ridurre il più possibile le zone d’ombra con l’illuminazione del prospetto principale, realizzando un effetto scenico in cui l’opera, inizialmente percepita nei contorni, lascia all’osservatore la possibilità di intuire cosa accadrà in seguito, facendo intravedere solamente le sagome e lasciando in penombra i particolari.
Si tratta di un’accensione dinamica di LEDs posizionati dietro il modello, che varia di tonalità passando dal blu intenso al biancodorato (fig. 8), ricordando la successione del giorno e della notte, comunque il divenire del tempo.
La tonalità blu del fondo deriva, inoltre, dalla constatazione che in molti casi i gruppi plastici fossero ambientati su un fondale dipinto con tale colorazione dominante.
Dopo l’illuminazione dello sfondo si passerà alla successiva fase, in cui i LEDs, con apposita schermatura, sono collocati lungo la base del Compianto simulando l’effetto che originariamente era creato dalle candele accese con intento votivo.
Nelle fasi seguenti l’obiettivo sarà quello di enfatizzare il momento che rivela l’espressione dei volti e delle figure nella loro massima riconoscibilità, fatta di rughe, sopracciglia inarcate, accenni di emozioni. Viene così illuminato, tramite una riga di LEDs sistemati sulla sommità della nicchia, il corpo ed il volto di Cristo adagiato su sepolcro. In questo modo, con una sorgente che è l’unica ad essere posizionata dall’alto, viene esaltata la figura protagonista ad evidenziare nella verità del volto la natura sovrumana di Cristo.
A questo punto si avrà la visione delle sagome delle figure non ancora illuminate con al centro Cristo morto in cui la luce bianca, che si differenzia dalla tonalità delle altre sorgenti utilizzate, avvolge in una dimensione trascendente la pigmentazione chiara del corpo e del lenzuolo.
Si procede così all’accensione in successione dei volti il cui ordine sarà in funzione dell’importanza iconografica dei personaggi; si partirà dalla Vergine chinata sul Figlio, arrivando infine a Nicodemo e ad Giuseppe d’Arimatea.
Giunti al termine della sequenza di accensione l’opera risulta sufficientemente illuminata, permettendo la lettura completa dei dettagli senza l’interferenza dei fenomeni di abbagliamento (fig. 9).
La fase di spegnimento segue un percorso leggermente diverso: viene spenta prima l’illuminazione generale e poi quella di Cristo, ottenendo un effetto psicologico interessante.
Il volto della Vergine è infatti l’unico elemento ad essere illuminato in modo diretto per enfatizzare il più possibile l’espressione di scavata sofferenza, raccolta soprattutto lì (fig. 10). Come Cristo era la prima figura “ad entrare in scena” ora la Vergine è l’ultima “ad uscire”, effetto non solo teatrale ma devozionale, evocando l’unione dolorosa del Planctus Magnus , il momento del lamento straziante della Madre sul corpo del Figlio.
Per prima viene spenta la luce bianco-dorata dello sfondo e poi quella del volto della Vergine lasciando accese solo le righe di LEDs con tonalità blu; la scena viene riportata infine lentamente verso una gradualità luminosa e cromatica, che si spegne nel buio.
Un’interessante conclusione deducibile dai risultati esposti è rappresentata dalla corrispondenza tra l’azione dinamica narrativa e l’azione dinamica dell’illuminazione, dove quest’ultima sembra interpretare in modo soddisfacente la costruzione percettiva ed emozionale del racconto, insieme ad una fusa teatralizzazione drammatica.
Aspetto senz’altro da discutere è quello che attiene al ruolo della “lettura storicizzata”, riferibile alla prova con illuminazione a candele. Essa non rende completamente leggibili i dettagli per l’incrociarsi delle ombre, quindi non soddisfa i canoni del comfort visivo, ma era la semplice e originaria illuminazione dei Compianti che contribuiva a rendere vive le statue, dove “vedere” significava innanzitutto immaginare.
Volendoli illuminare oggi, così come erano interpretati e percepiti, si dovrebbe riproporre l’illuminazione a candele o si potrebbe sostituire con lampade ad incandescenza a bassa potenza, oppure con sorgenti con filtri applicati, scelte non improbabili ma in parte smentite dalla diffusa tendenza rappresentata dalle candele elettriche, riducendo anche il gesto ad un atto simbolico ancor più effimero.
Che senso ha oggi la lettura liturgico-espressiva? Addestrare gli occhi della fede a vedere oltre le apparenze del visibile fa affiorare numerose e delicate questioni, molte delle quali non sono di nostra pertinenza, tuttavia si consenta solo di notare che il consistente afflusso di visitatori nelle chiese ha determinato ai nostri fini due fenomeni: in primo luogo la separazione tra l’esperienza di fruizione artistica/turistica e l’esperienza religiosa/spirituale, in secondo luogo la musealizzazione dell’illuminazione spesso automatica, con tempi fruitivi brevissimi.
Non è facile valutare se ciò sia da addebitare all’esigenza pratica, a volte cogente, tuttavia essa sta determinando uno iato di non poco conto.
Riproporre la lettura liturgico-espressiva può sembrare un’anacronismo? Una ricostruzione storica?
Forse quel fluire empatico di luce e ombra viene a toccare una dimensione dimenticata, da proporre certamente non come uno spettacolo pirotecnico piuttosto un evento che ricorre, come nel lontano passato, in concomitanza col tempo liturgico ad esempio della Settimana Santa.
Tuttavia sembrerebbe delinearsi la necessità di studiare e di scoprire o riscoprire le modalità di visione dell’uomo moderno, che vive in una società ipericonica, all’interno dello spazio sacro.

La ricerca scientifica va stimolata attraverso la conoscenza che emerge dalla lettura di fonti trasversali: sarebbe pertanto auspicabile andare oltre la tradizionale “ricerca artistica” che spesso risulta nell’intervento progettuale più come un background, dando voce oltre alla specificità di ogni forma d’arte agli innumerevoli documenti extrartistici (letterari, archivistici, liturgici, etc.) che le vivono dentro, affianco e intorno.
Attraverso confronti e paragoni essi possono essere trasformati in interessanti segnali per un’approfondita conoscenza storica e quindi per un’adeguata e innovativa lettura dell’opera.
Su questo linguaggio a più voci si innesta il nuovo esercizio di devozione che l’immagine in parte riusciva a suscitare attraverso l’incontro di sguardi tra fedele e santo rappresentato.
La proposta liturgico-espressiva per i Compianti coinvolge oggi sia l’osservatore, preso da uno sguardo troppo spesso veloce ed effimero, sia il contenitore sacro, soggetto ai tempi della musealizzazione.
In particolare stimolando la collaborazione tra studiosi di diverse discipline il progetto illuminotecnico, che può esaltare appieno il suo carattere creativo, potrà tentare di recuperare una dimensione fruitivi “lunga”, oggi andata quasi perduta, contribuendo anche alla conservazione, alla salvaguardia e alla valorizzazione di un patrimonio artistico assai fragile, per troppi anni trascurato.
E’ altresì auspicabile che vi siano nell’immediato futuro condizioni ottimali per proseguire la ricerca, incrementando la casistica attuale.

Tratto dal convegno internazionale “Luce e Architettura”, organizzato dall’AIDI

Didascalie
Fig. 1 Agostino de’ Fondulis, Compianto, pieve di San Martino, Palazzo Pignano.
Fig. 2 George e Michel de la Sonnette, Mise au tombeau, Hôpital Notre-Dame de Fontenellis, Tonnerre.
Fig. 3 Anonimo scultore padovano, Fig. 4 Idem, particolare, illuminazione attuale con due Compianto inserito nell’altare barocco, sorgenti fluorescenti compatte posizionate ai lati. chiesa di Sant’Agnese e Lucia, Portogruaro
Fig. 5 Anonimo scultore padovano, Compianto, prov. dal monastero di San Benedetto, foto storica prima del bombardamento, ora Musei Civici di Padova.
Fig. 6, Modello in scala 1:3, prospetto frontale, con sostegni verticali.
Fig. 7 Illuminazione con candele (10 unità), lettura storicizzata.
Fig. 8 Illuminazione delle sfondo, lettura liturgico-espressiva.
Fig. 9 Illuminazione generale, lettura liturgico-espressiva.
Fig. 10 Illuminazione puntuale del volto della Vergine, lettura liturgico-espressiva.

Letizia Caselli
Letizia Caselli, nata a Ferrara nel 1962, si è laureata in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Bologna conseguendo la specializzazione in Storia dell’arte medievale e moderna presso l’Università di Udine. I suoi interessi di ricerca sono rivolti all’arte sacra e alla scultura monumentale che ha approfondito in ambito italiano e soprattutto francese nel gruppo di ricerca del prof. Michel Martin della Sorbona. E’ autrice di circa quaranta pubblicazioni scientifiche.
Elvia Mihalich
Nata a Venezia nel 1976, consegue la laurea in Architettura presso l’Università IUAV di Venezia nel gennaio 2004, con una tesi dal titolo Illuminazione dinamica di opere d’arte: il caso del Compianto di Portogruaro (VE), pubblicata nella rivista internazionale mensile di attualità e cultura “New York City Venezia”, Mazzanti Editori, n. 3, aprile 204. Nel 205 master “ Lighting Designer: Progettazione della Luce” presso IUAV con stage all’Agenzia Veneziana per l’Energia (AGIRE).
Nicola Zarantonello
Nato a Vicenza nel 197, consegue la laurea in Ar chitettura presso l’Università IUAV di Venezia nel gennaio 204, con una tesi dal titolo Illuminazione dinamica di opere d’arte: il caso del Compianto di Portogruaro (VE), pubblicata nella rivista internazionale mensile di attualità e cultura “New York City Venezia”, Mazzanti Editori, n. 3, aprile 204. Iscritto all’Ordine degli Architetti della Provincia di Vicenza (Sezione A/a). A ttualmente impiegato presso uno Studio di Progettazione svolgendo mansioni di pr ogettazione e di attività di cantiere.

Fonte: www.infobuild.it

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