Proposta e validazione di un procedimento statico non lineare per la progettazione di strutture antisismiche ad elevata duttilità

Ma questi, come tutti quelli che si susseguirono fino all’inizio del ventesimo secolo (regolamento pontificio edilizio per la città di Norcia, 1860; prescrizioni edilizie per l’isola d’Ischia, 1883; norme per la costruzione ed il restauro degli edifici nei comuni liguri danneggiati dal terremoto del 22 febbraio 1887; norme per la costruzione ed il restauro degli edifici danneggiati dal terremoto nelle province calabresi ed in quella di Messina, 1906) si limitavano a prescrizioni costruttive e limitazioni dell’altezza degli edifici.
Solo dopo il terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 venne promulgata una norma (R.D. 18 aprile 1909, n. 193) che prevedeva esplicitamente la necessità di tenere conto nei calcoli di stabilità e resistenza delle costruzioni di “azioni dinamiche dovute al moto sismico ondulatorio, rappresentandole con accelerazioni applicate alle masse del fabbricato”.
L’entità delle massime accelerazioni prodotte da un terremoto era, all’epoca, oggetto di discussione.
La scala sismica proposta dal giapponese Omori considerava possibili accelerazioni massime superiori a 4 m/s2 e questo valore veniva posto a base dei calcoli da alcuni autori.
Ciò nonostante, la commissione incaricata di predisporre le norme del 1909 sottolineò le incertezze esistenti su tale punto e l’improponibilità di usare tali accelerazioni nel progetto, perché esse avrebbero portato “a risultati praticamente inattendibili a cagione delle eccessive dimensioni che ne scaturirebbero adottando gli abituali carichi di sicurezza datici dalla scienza della resistenza dei materiali da costruzione”.
Si decise quindi di “dedurre direttamente per determinati tipi di fabbriche, di cui siasi constatata l’incolumità in un numero abbastanza grande di casi, quali siano le forze massime che … avrebbero potuto essere sopportate dall’edificio, per servirsene poi nel calcolo di fabbricati nuovi”.
Gli studi svolti portarono alla conclusione che “le forze convenzionali da introdurre nei calcoli … corrisponderebbero ad una accelerazione di 700 ad 800 mm per secondo”.
Si propose quindi di utilizzare forze orizzontali pari a “1/12 dei rispettivi pesi per le strutture dei piani inferiori”, aumentate a “1/8 per quelle del piano superiore” per tener conto del fatto che “l’ampiezza delle oscillazioni provocate dai terremoti negli edifici aumenta dai piani inferiori ai superiori”.
C’era comunque la consapevolezza che “un edificio calcolato per l’accelerazione sopra indicata, secondo gli ordinari carichi di sicurezza, si dovrà considerare come resistente in buone condizioni ad una scossa di accelerazione doppia, la quale non dovrebbe provocarvi tensioni unitarie superiori ai limiti pratici di elasticità dei rispettivi materiali, e darà garanzia contro il pericolo di uno sfasciamento disastroso anche per scosse di intensità quattro o cinque volte più grandi”.
Come si vede, fin da allora erano presenti, in nuce, i concetti base dell’analisi sismica: comportamento elastico lineare per terremoti deboli, comportamento non lineare per terremoti più forti, uso di forze statiche per simulare gli effetti del reale comportamento dinamico.
Solo dopo la metà del ventesimo secolo il progresso teorico e la disponibilità di mezzi di calcolo più potenti consentirono una migliore comprensione, anche dal punto di vista numerico, del problema.
L’analisi della risposta sismica di oscillatori elastoplastici mostrò che una progettazione basata su un’analisi lineare con forze ridotte può garantire una sufficiente sicurezza nei confronti del collasso solo se la struttura possiede un’adeguata duttilità.
Le normative più recenti, come l’Eurocodice 8, o la norma italiana del 2003, hanno quindi previsto criteri per conferire un buon comportamento globale (capacity design, o criterio di gerarchia delle resistenze) e hanno indicato dettagli costruttivi per incrementare la duttilità locale.
Rimane tuttavia, come punto debole, il fatto che non sia previsto un esplicito controllo della duttilità della struttura.
La garanzia di un buon comportamento ultimo è quindi basata sull’estrapolazione di risultati teorici alle strutture reali, spesso ben diverse dai modelli di calcolo.

* Professore ordinario, Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale, Università di Catania.
** Dottore di ricerca, Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale, Università di Catania.
*** Ricercatore universitario, Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale, Università di Catania.

Bozza di articolo pubblicato successivamente su "Ingegneria sismica" (Ingegneria sismica, anno XXII, n.2, pp. 30-43, 2005)

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