Le lampade della memoria

Nel titolo di questo contributo non a caso si fa riferimento alle “Sette lampade dell’architettura” di Ruskin: il patrimonio storico delle città è da intendersi come insieme indivisibile di oggetti materiali e al contempo oggetti immateriali.
In quanto materia sono soggetti a processi di degrado e di trasformazione, e come oggetti intangibili testimoniano un complesso di idee, di valenze e di culture presenti in un dato ambiente e in un determinato periodo storico.
In questo senso si afferma il dovere di fruire e insieme trasmettere questi valori, operazione per cui occorre riconoscerli e renderli riconoscibili.
In questo senso, un corretto e compatibile uso della luce e dell’illuminazione naturale ed artificiale, può decisamente concorrere al raggiungere l’obiettivo del riconoscimento dell’architettura storica, e concorrere quindi a definire la sostenibilità di ogni operazione di conservazione de patrimonio, in cui peraltro rientrano gli stessi elementi di
illuminazione. Occorre chiarire che si ha qui intenzione di affrontare la questione della luce nello spazio urbano senza circoscriverla a quello che è comunemente individuato come centro
storico, ossia il nucleo più antico della città, ma di estendere la problematica anche alle addizioni nonché al paesaggio storico culturale nel suo complesso, anche perchè è proprio in questa porzione della città contemporanea che venne sviluppata la problematica della luce nel contesto urbano.
Recenti progetti incentrati sull’illuminazione degli spazi pubblici o di relazione delle città sono utili a mostrare tali aspetti.
In particolare, tra i casi studio offerti da recenti progetti di illuminazione di luoghi storici di città “minori” si può far riferimento a titolo di esempio, ai recenti interventi adottati dal Piano di valorizzazione dell’assetto e dell’arredo urbano del centro storico della città di Chieri (TO), redatto nel 2002, che prevede, oltre al censimento dei sistemi e tipi di elementi illuminanti presenti, una riproposizione di nuovi lampioni, su tutta l’area dell’abitato storico, proponendo l’effetto “in stile” di un immediato e fasullo ritorno d’immagine, e dimostrando un rapporto critico con l’architettura storica nel suo insieme, con alcune scelte (si veda l’Arco monumentale di piazza Umberto I) di impatto esclusivamente e violentemente scenografico.
Gli aspetti qui evidenziati criticamente sono in realtà oggi frutto di un atteggiamento assai comune nei confronti dell’architettura e degli ambienti storicamente connotati.
Per il delicato equilibrio di forme e colori del paesaggio di una città storica come Chieri, e di altre realtà analoghe, si dovrebbe raccomandare invece che l’illuminazione rifugga almeno da ogni effetto di enfatizzazione e dai giochi di violenti contrasti tra ombre e parti in luce: il ruolo connettivo dell’edificato comporta maggiori esigenze di congruenza e compatibilità, anche con l’uso, oggi necessario, di elementi nuovi, riconoscibili come tali e non camuffati da antichi.
Oggi molta parte del riconoscimento delle potenzialità intrinseche della luce viene direttamente dai “recenti” contributi legislativi (in particolare: “Nuovo Codice della Strada”, L.30 aprile 1992 n. 285; “Norme per l’attuazione del nuovo piano energetico nazionale”, L.n. 910 gennaio 1991, “Norme tecniche europee e nazionali tipo CEI, DIN e UNI”) volti ad una maggiore attenzione al ruolo dell’illuminazione pubblica nelle città, che prevedono la redazione di piani di illuminazione comunale tesi alla definizione di un progetto unitario di illuminazione integrato al tessuto urbano che segua criteri ordinatori e propositori di scenari notturni realmente fruibili e significativi.
Esempi applicativi di sicuro interesse derivano inoltre dai progetti di illuminazione che hanno
riguardato finora a dire il vero non tanto complessi urbani o di ampia scala, quanto piuttosto le singole architetture e i cosiddetti “monumenti” più simbolici e rappresentativi, si pensi ad esempio all’illuminazione del Colosseo e dei numerosi siti archeologici di Roma, al campanile di San Marco a Venezia, all’illuminazione del complesso di villa Adriana a Tivoli, esempi di singoli oggetti, in cui tuttavia appare evidente come l’illuminazione artificiale tenda ad assumere un ruolo da protagonista non solo per il monumento in sé ma anche per l’ambiente circostante e per la città tutta.
Esempi di questo genere mostrano infatti come, attraverso la luce, si possa creare un’idea di insieme dell’organizzazione spaziale, evidenziando anche solo effimeramente i luoghi e gli elementi principaliche li compongono, nonché guidare i percorsi, evidenziare le zone significative; gli stessi esempi mostrano anche come l’uso di luci di colore diverso potrebbe essere utilizzato per evidenziare edifici di epoche differenti o con diversi significati.
In prospettiva urbana quindi, e anche territoriale, la luce diventa elemento essenziale al fine del riconoscimento dei beni che si trovano su di essi.
Al di là dell’illustre esempio di Roma vengono in mente “monumenti” e siti archeologici minori ma diffusamente presenti, tra cui, in Piemonte e Liguria (aree principali dei miei studi), si possono citare quelli di Bene Vagienna, Libarna, Acqui Terme, Susa, Albenga, Ventimiglia, tutti luoghi oggi privi di illuminazione, che non solo non rendono visibili testimonianze di assoluto pregio, anche in luoghi a chiara vocazione turistica, ma che frequentemente, causa del buio diventano anche luoghi pericolosi e poco o per nulla frequentati. Si profila per questi luoghi e ancor più ragionando alla scala urbana e territoriale, in cui queste testimonianze di pregio si collocano, la necessità di un approccio non parziale, e non improvvisato, alla progettazione dell’illuminazione della scena urbana, ma necessariamente di tipo specialistico e scientifico, considerando insieme “tanto l’architettura illuminata quanto quella luminosa come due aspetti fondamentali dell’arte del costruire” (Gillo Dorfless).

L’approccio metodologico alla progettazione della luce: le ragioni del nuovo e dell’antico in contesti storicamente consolidati
Per raggiungere un buon livello progettuale nell’approccio metodologico al progetto della luce in contesti storici ritengo che occorra, preliminarmente ad ogni altra azione, indagare il sistema storico della città, non come dato di fatto immutabile nel tempo, ma piuttosto come tessuto in continua evoluzione e trasformazione: la storia delle città da sempre e’ stata segnata da discontinuità, basti pensare, sempre restando a Roma, agli interventi di Michelangelo al Campidoglio, oppure a quello del Borromini che trasforma la basilica di san Giovanni in Laterano. Interventi questi tra i più noti della storia dell’architettura, cui però si aggiungono altri innumerevoli esempi compiuti in ogni città italiana e, ancora di più se si guarda alle città europee: città come Parigi, Barcellona, Amsterdam, Berlino, hanno proposto nel passato e continuano a proporre nell’attualità segni contemporanei anche forti con risultati spesso ben riusciti e che vanno ad aggiungere valore al patrimonio già presente. Non si può in genere accettare l’idea che l’architettura contemporanea sia anti-storica e quindi da evitarsi nei
contesti antichi.
Detto questo, appare chiaro anche che più il tessuto è di qualità più l’intervento deve necessariamente essere attento, improntato alla semplicità ed alla continuità con l’ambiente in cui si colloca.
Spesso si pretende di rispettare la storia con progetti di elementi di illuminazione in stile finto Ottocento: è accaduto a piazza Navona a Roma così come nella maggior parte delle città italiane.
Questi interventi sono concettualmente scorretti, poiché negano il diritto alla contemporaneità – problema generale di matrice culturale- degli inserimenti, tranquillizzandosi piuttosto con l’uso di “feticci” antichi, che spesso tra l’altro nascondono e offuscano per il loro ingombro presenze architettoniche di pregio ben maggiore, poiché autentiche, e che dovrebbero semmai essere rivelate e valorizzate da un uso intelligente della luce e dell’elemento illuminante.
Altro aspetto da considerarsi è inoltre il conseguente rischio di omologare la percezione fisica, e non solo, dei luoghi storicamente connotati: la storia è sempre un fatto complesso e non riducibile a stereotipi o modelli. La città è da sempre stata un luogo di contraddizioni dove si sono scontrate e mediate ipotesi di spazio e di uso tra loro alternative: per questo non si può parlare di città per parti da trattare a seconda del loro pregio architettonico e della loro antichità, né si può accettare l’idea di città come museo immutabile in cui conservare astratti valori culturali ed estetici.
La capacità di invecchiare e di variare della città del passato, come realtà viva chesi modifica e si trasforma mantenendo le proprie caratteristiche, deve essere invece di insegnamento al progetto contemporaneo.
Un corretto progetto per l’illuminazione della città storica deve a mio avviso essere in grado di considerare e accogliere tutte queste istanze culturali, qui peraltro solo brevemente accennate, per essere realmente in grado di mettere “in luce” i valori della storia facendone risaltare le peculiarità senza mai prevalere sul contesto, ma in armonia con i caratteri corali dell’ambiente in cui va a collocarsi.

L’illuminazione come strumento di lettura e valorizzazione della città storica
La valorizzazione e reinterpretazione della pubblica illuminazione di tutto lo spazio urbano (e anche delle altre componenti, comprese le pavimentazioni stradali, la razionalizzazione viaria, gli elementi decorativi, insegne, cassonetti, ecc.) va ricercata attraverso una regolamentazione specifica.
Dall’ insieme di questi elementi, e da un’ operazione di restauro estesa a tutto il contesto cittadino, deve scaturire un nuovo “disegno urbano” che tenga conto, per prima cosa, delle specificità e delle particolarità del luogo. In questo modo questi elementi possono divenire nel loro insieme elemento di qualificazione, e non di semplice arredo anonimo e standardizzato.
Partendo dal presupposto prima chiarito che un luogo urbano sedimentato è leggibile come un’insieme di storie, si deve cercare di sottolineare insieme diversità e continuità, che possono rendere lo spazio pubblico un tessuto di relazione.
All’analisi storica e morfologica va per questo affiancata l’indagine sull’uso attuale degli spazi per misurare analogie e differenze tra l’equilibrio della tradizione ed il ritmo moderno di ogni centro urbano.
Da un punto di vista formale, la sistemazione dello spazio pubblico non deve però essere intesa come solo una riproposizione di elementi dalle forme tradizionali, come illustrato nei casi precedentemente citati, occorre invece ricorrere a conoscenze etecniche moderne per condurre nuovi interventi al dialogo con la cultura dell’organismo di cui saranno parte integrante, senza museificare il passato, ma continuandolo, suggerendo letture ed usi rispettosi delle forme antiche ma congrui alle esigenze di oggi: l’impiego di nuovi materiali, ad esempio, rappresenta sicuramente una linea di ricerca da approfondire.
Attenzione particolare merita tra tutte le componenti della scena urbana, proprio l’illuminazione della città, che ha la potenzialità di definire una nuova chiave di lettura dell’immagine urbana: attraverso la luce artificiale infatti, monumenti e tessuto urbano, piazze e giardini possono essere reinterpretati, scomposti e ricomposti variamente nel tempo, sia in relazione a diversi modi di porsi in rapporto con la città, sia per l’evolversi dei criteri illuminotecnici e delle esigenze energetiche.
Accanto alle problematiche più formali quindi, occorre considerare quelle più propriamente tecniche che anch’ess rivelano superficialità e carenze nella fase di progettazione: ad esempio gli impianti installati negli ultimi anni in molte città, sono spesso inappropriatamente rivolti verso il cielo, quando una corretta illuminazione dovrebbe essere mirata a diffondere i raggi luminosi in maniera soffusa o come si suol dire “a raso” dall’alto verso il basso, così da mettere in risalto le partiture architettoniche degli edifici.
Gli esempi che meglio descrivono una cattiva illuminazione sono i diffusissimi globi luminosi, lampade a forma sferica in cima ai pali presenti ed utilizzati in molti centri storici: elementi che non sono in grado di illuminare bene l’area sottostante, perchè la lampadina è schermata dal portalampada stesso, e illuminano in modo inutile e fastidioso lateralmente e verso l’alto, illuminando (o peggio abbagliando) quindi dove non dovrebbero.
Altro fattore di cui occorre tenere conto è il disturbo che si può creare all’ambiente ed alla sua percezione illuminando in modo eccessivo: spesso infatti si utilizza una potenza superiore a quella strettamente necessaria, mentre gli spazi della città dovrebbero preferibilmente mantenere un rapporto di equilibrio percettivo anche nelle ore notturne.
Si deve per questo pensare di rendere la luce e l’illuminazione partecipi dell’arredo urbano, sottolineando i percorsi, e individuando le diversità degli elementi della città, da evidenziare con illuminazione differente ma tra loro coordinata.
Sarebbero inoltre da studiare delle illuminazione apposite per indicare alcuni luoghi della memoria della città altrimenti irriconoscibili, poiché ormai scomparsi del tutto (si torna a citare i ritrovamenti archeologici, o i ruderi) o completamente nascosti.
Ad esempio potrebbero essere proposte delle indicazioni tematiche suddivise e differenziate in base ai diversi momenti della storia cittadina (età romana, medievale, barocca,ecc.). Con questi interventi, da pensarsi, anche in scala di dettaglio non separatamente, intendiamo non ricreare alcun ambiente “storico”, ma rafforzare il carattere dello spazio pubblico come spazio di relazione, promuovendo un dialogo tra spazio e socialità, che stanno in stretto rapporto nel divenire della città.
Ognuna di queste, o di altre, operazioni deve essere sempre sostenuta dall’idea di perseguire una continuità semantica ed evolutiva (e non pittoresca) con il contesto costruito.
La proposta quindi di adottare dei “piani di qualità della luce” deve essere interpretata come una guida che attribuisce alla luce artificiale non solo il ruolo di “tecnico”, ma anche di momento essenziale del modo di presentarsi della città, occasione di rimodellizzazione dello spazio urbano stesso in funzione digiuna (o più) sua corretta lettura.
L’illuminazione è in tal senso adottata quale elemento unico,in grado di ricreare l’immagine specifica e riconoscibile del tessuto urbano, superando la logica dell’illuminazione decorativa puntuale e sporadica e definendo una programmazione complessiva di interventi sull’intero territorio urbano ed extraurbano.
Uno strumentoin grado di pianificare l’uso della luce artificiale, finalizzato a restituire alla dimensione urbana gli elementi storici, a rivelare i segni generatori della forma attuale, peraltro in molti casi ancora riconoscibili, come ad esempio i resti delle antiche mura, ma del tutto privati di significato e di pregnanza nella città attuale.
La ricerca di nuova qualità urbana non può rinunciare a poggiare sulle antiche presenze e vocazioni, sulle quali ritrovare un’identità-collettiva, caricandole però di nuovi significati senza snaturarne il significato e senza ripristini esclusivamente rievocativi.
In questo senso, gli elementi di illuminazione, e più in generale tutte le attrezzature necessarie alla fruizione degli spazi urbani, essendo gli elementi che più direttamente e entrano in rapporto con il cittadino, con la sua vita quotidiana, e che influenzano l’immagine della città, dovrebbero essere attentamente regolamentati e controllati, non come singoli oggetti, ma come facenti parte dell’insieme in cui si collocano.
Si dovrebbero stabilire chiare correlazioni fra le esigenze funzionali e la progettazione della scena urbana, in modo da riuscire a cogliere realmente le peculiarità del contesto storico e delle sue caratteristiche identitarie.
Lo spazio pubblico della città storica è cosparso di attrezzature che si sovrappongono, si integrano, decadono e che raccontano una loro storia della città.
Con l’avvento dei prodotti realizzati serialmente con tecnologie industriali si ha l’appiattimento dell’ immagine cittadina, da una parte, e il disordine dall’ altra, per la nuova moda di arredare lo spazio urbano affastellando oggetti, laddove, per lo più, non si tratta di appoggiare oggetti in un luogo definito ma, spesso, di definire il luogo.
Occorrono quindi prodotti di buona qualità, di facile manutenzione e funzionali all’uso.
L’immagine urbana la memoria storica dell’ambiente urbano sono profondamente legate ai materiali della città, all’uso del colore, alla stessa illuminazione, parte integrante dello spazio vissuto quotidianamente e non solo durante eventi o occasioni particolari ed eccezionali.

Criteri e linee guida per la realizzazione di piani di qualità del paesaggio urbano
I criteri ispiratori delle scelte di pianificazione ipotizzate dovrebbero far sempre riferimento al perseguimento di alcuni importanti obiettivi, soprattutto, oltre agli aspetti tecnici e funzionali (tra i quali: sicurezza, visibilità dei percorsi e della segnaletica, comfort visivo, inquinamento luminoso, spettacoli e eventi espositivi, compatibilità con i piani del traffico, risparmio energetico, razionalizzazione di impianti e componenti, ecc..) ad aiutare la riconoscibilità e comprensione dei valori storici, quindi dell’identità, del luogo.
Agli aspetti esclusivamente tecnici, vanno pertanto aggiunti la valorizzazione dei luoghi urbani, strade, piazze, aree pedonali, aree verdi, nuclei storici, piste ciclabili, e insieme la conservazione degli elementi tradizionali presenti.
Queste considerazioni, estendibili a tutti i luoghi, valgono se affrontano caso per caso le peculiarità della città stessa, attribuendo all’illuminazione il giusto ruolo all’interno del costruito: premessa indispensabile al riconoscimento dell’importante ruolo della luce nella città è quindi che si consideri l’illuminazione stessa come un fatto culturale prima ancora che tecnico.
Le variabili in gioco sono molteplici e strettamente interrelate con le caratteristiche formali, estetiche ed artistiche del tessuto edificato: ogni città storica ha una precisa individualità che richiede una progettazione basata su attente analisi e valutazioni, al fine di definire il carattere generale, le emergenze monumentali ed ambientali, i caratteri materici e tessiturali.
Valutando inoltre la peculiarità della luce di offrire differenti possibilità cromatiche, si è visto che spesso è possibile attribuire al colore stesso della luce un importante ruolo progettuale: esso è in grado di differenziare i ruoli, le funzioni, le destinazioni spaziali, rappresentando dunque un ulteriore elemento di definizione della città notturna invitando a cogliere il nesso che lega le scelte progettuali per le quali i requisiti funzionali dell’illuminazione si integrano con quelli estetici e della comunicazione visiva.
È inoltre fondamentale che il “Piano di qualità della luce urbana” sia corredato di un programma di manutenzione che costituisca il principale strumento di gestione degli interventi manutentivi pianificabili nel tempo, in modo da ottimizzare le economie gestionali e organizzative, innalzare il livello di prestazionalità dei beni, ottimizzarne l’affidabilità complessiva del sistema di illuminazione pubblica.
Un ulteriore elemento di valutazione che appare indispensabile integrare nella scelta definitiva della collocazione degli apparecchi e dell’impianto è quella dell’impatto conservativo che essi hanno, intendendo non tanto la conservazione dell’immagine della città storica, quanto della sua consistenza fisica: collocare attentamente apparecchi e sostegni in modo da limitare al massimo l’asportazione di intonaci, pavimentazioni, porzioni di muratura, decorazioni, e prevedendo un margine di reversibilità, appare in linea con una filosofia di valorizzazione moderna e sostenibile.
Attenzione particolare meritano anche l’illuminazione di tipo commerciale le insegne, e gli elementi più “provvisori” della scena urbana pubblica.
E’ solo attraverso un ripensamento della attuale metodologia del progetto di illuminazione che tenga conto delle molteplici ed articolate variabili che qui abbiamo tentato di definire senza approfondire più di tanto le loro intricate connessioni, che si potrà veramente avviare una linea corretta e coerente per il futuro nel processo di valorizzazione del patrimonio storico-artistico.
Il piano di qualità della luce urbana dovrà essere inoltre integrarsi appieno con i già esistenti PRG, comunque in accordo con gli strumenti di pianificazione del territorio, oltrepassando i limiti diuno strumento esclusivamente tecnico per diventare un programma architettonico/urbanistico.
Un programma destinato a regolamentare gli interventi di illuminazione pubblica e privata, riguardante sia gli impianti di futura realizzazione, sia gli interventi per la sostituzione programmata e l’adeguamento degli impianti già esistenti, finalizzati alla tutela sia diurna che notturna del territorio e della sua immagine.
La sistematicità è quindi una prima caratteristica necessaria per ottenere un sistema coordinato (e non omologante) di apparecchi di illuminazione, che derivino da radici storiche rilette e rivisitate in chiave contemporanea e, soprattutto, in chiave tecnologica, con innovazioni illuminotecniche sia legate alle sorgenti luminose, quindi con lampade di ultima generazione, sia con l’introduzione di effetti, come le variazioni cromatiche, che possano qualificare di più il sistema di illuminazione.
Il sistema coordinato può ad esempio prevedere sia pali a più bracci, per l’illuminazione di piazze e spazi ampi, sia altri pali di illuminazione funzionale stradale o pedonale, lanterne, che possono essere inserite all’interno dei portici, e sistemi differenziati per l’illuminazione del verde e dei parchi.
L’illuminazione di tipo funzionale, fatta per garantire la circolazione dei veicoli e delle persone, che segue alcune norme stabilite, deve integrarsi a quella “decorativa”, fatta in modo da che non compromettere la visibilità degli spazi e delle architetture, ma al contrario per arricchire –e non sottolineare- la percezione ed il riconoscimento di questi oggetti.
Una tale finalità progettuale deve inoltre consentire di accrescere un più razionale sfruttamento degli spazi urbani disponibili, tenendo conto della loro natura multifunzionale e multi culturale, operare opportune scelte cromatiche (per es. il giallo – oro delle lampade al sodio ad alta pressione risulta particolarmente adatto negli abitati storici), delle intensità e del tipo di illuminazione, senza creare contrasti con l’ambiente circostante (ad esempio con un’illuminazione troppo intensa), bensì conservare gli equilibri esistenti tra gli spazi urbani, tra quelli privati e quelli di relazione, e non ultimo, preservare la possibilità per la popolazione di godere del cielo notturno, patrimonio culturale primario.
Per ottenere questi risultati, è indispensabile, nello studio e nella progettazione di un piano di qualità della luce urbana, disporre di tutti gli elementi necessari a conoscere, in modo approfondito, la storia e le caratteristiche del luogo e delle sue componenti identitarie, da valorizzare attraverso una corretta illuminazione.
Operativamente si dovrà procedere partendo dalla verifica degli apparati d’illuminazione esistenti e della loro distribuzione nella città, per arrivare all’elaborazione di un progetto di integrazione e di intervento comprendente gli interventi di manutenzione e di recupero e i nuovi apparecchi.
Prima di passare alla progettazione vera e propria deve essere fatta un’analisi approfondita del sito e della sua storia in modo da essere consapevoli di quali elementi devono essere messi in rilievo, quali aspetti la luce può aiutare a cogliere, se il sito ha dei limiti che devono essere considerati prima di procedere agli interventi.
Successivamente occorre stabilire quali ruoli svolgerà la luce nel sito: il progetto deve essere studiato per essere funzionale, utile e integrato con il contesto, senza privilegiare gli aspetti puramente scenografici: la luce deve innanzitutto servire l’utenza, non stupirla. Inoltre occorre considerare che la luce può essere fattore di degrado in relazione alle caratteristiche degli oggetti illuminati.
Conviene conoscere la fotosensibilità dei materiali e dotare gli apparecchi di opportuni filtri, anche per evitare fenomeni di abbagliamento.
Le sorgenti luminose devono essere nascoste il più possibile alla vista, e non necessariamente una buona illuminazione si serve di un numero elevato di apparecchi: al contrario le sorgenti luminose devono essere limitate il più possibile, di piccole dimensioni e con fasci e intensità contenuti.
È necessario che tutti iI proiettori e le lampade scelti rispettino tutte le norme di sicurezza e vengano collocati fuori dalla portata dei visitatori, vanno comunque dotati delle opportune protezioni.
I progetti inoltre vanno pensati non solo in relazione alla loro durata nel tempo, ma anche rispetto a come nel tempo possono essere mantenuti.
La manutenzione ordinaria è un aspetto fondamentale per la buona riuscita nel tempo di un progetto.
Le soluzioni devono essere scelte in modo da limitare i costi di manutenzione e tenendo sempre conto del principio di reversibilità: le cose antiche restano, mentre quelle attuali potranno mutare.

A. RE
Laureato in architettura (Politecnico di Torino), dottore di ricerca in Restauro e Conservazione dei beni architettonici e del paesaggio (Politecnico di Torino), è attualmente assegnista di ricerca presso la sede di Mondovì del Politecnico di Torino, e cultore della materia in Restauro Architettonico.

Foto 1 Chieri (TO): lampioni tradizionali nelle vie del centro storico di impianto medievale
Foto 2 Rovigno (Croazia): piazza Valdibora, elemento tradizionale di illuminazione sugli antichi edifici nei pressi del porto di pescatori;
Foto 3-4 Barcellona (Spagna): esempio del frequente uso originale della luce e dei lampioni per l’abbellimento della città;
Foto 5 Sanremo (IM): illuminazione a terra inopportunamente e malamente incassata nella pavimentazione antica di piazza Eroi Sanremesi, a illuminazione della fontana centrale;
Foto 6 Bajardo (IM): i nuovi elementi di illuminazione e di arredo dal design contemporaneo e minimale inseriti nel borgo antico;
Foto 7 Torino:installazioni luminose dette “Luci d’artista” che ogni anno abbelliscono le vie e i
principali monumenti cittadini durante il periodo natalizio.

Tratto dal convegno internazionale “Luce e Architettura”, oganizzato dall’AIDI

Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici

Commenta questo approfondimento