La marcatura CE e la reazione al fuoco dei materiali

Nel caso della reazione al fuoco la necessità di  unificare i metodi di prova e le classificazioni ha comportato un’attività dei gruppi di lavoro del CEN/TC 127 particolarmente lunga (più di 10 anni) e complessa. Tutti gli Stati Membri dell’Unione prevedevano infatti, all’interno delle loro norme tecniche per la prevenzioni incendi, specifici metodi di prova per valutare la reazione al fuoco dei materiali sulla base dei quali erano state rilasciate omologazioni, certificazioni di idoneità, ecc. I metodi di prova in vigore, quasi sempre test di piccola scala, differivano notevolmente da un paese all’altro e l’equiparazione risultava impossibile. Per superare questo scoglio l’Unione Europea ha messo a punto un sistema di classificazione che comprende sette Euroclassi (v. schema) che vengono attribuite sottoponendo i materiali a test o combinazioni di test di vario tipo.

pannelli poliuretano espanso rigido

Queste metodologie di prova in parte sono state mutuate da norme ISO già esistenti, come ad esempio la valutazione del potere calorifico (EN ISO 1716) o la prova di non combustibilità per i materiali inorganici (EN ISO 1182); in altri casi sono stati ideati metodi completamente nuovi come ad esempio il metodo UNI EN 13823 (SBI – “Single Burning Item”) che permette l’attribuzione delle classi A2, B, C e D.
Questa nuova classificazione diverrà obbligatoria anche in Italia non appena verranno emanati i decreti del Ministero degli Interni che recepiranno la classificazione europea e fisseranno i limiti prestazionali dei materiali da impiegare in strutture soggette ai controlli di prevenzione incendi (scuole, teatri, alberghi, ecc.).
Il test di piccola fiamma
La rapidità di innesco di un materiale viene valutata utilizzando il metodo UNI EN 11925 (Kleinbrenner), la prova è molto simile a quella finora utilizzata in Italia (UNI 8457) e in Germania per l’attribuzione della classe B2 (DIN 4102).
La durata della prova varia in funzione della classificazione del materiale: 15 secondi per la Classe E, 30 per quelle superiori. Per superare la prova l’altezza della fiamma che si genera sul provino deve essere contenuta al di sotto del valore di soglia di 150 mm. In funzione del tipo di materiale la fiamma può essere applicata sul bordo o sulla superficie, nonché sui singoli componenti nel caso di materiali multistrato.
Il superamento della prova rappresenta, a partire dalla classe D fino alla A2, la condizione di accesso indispensabile per procedere al test SBI.

Il test SBI

Il test si propone di valutare il contributo all’incendio di prodotti sottoposti ad un attacco termico di 40 kW prodotto da un bruciatore a propano per una durata di 20 minuti.
I provini da sottoporre a test sono montati in modo da formare un angolo costituito da due ali di dimensioni 1×1,5 e 0,5×1,5 metri con giunti posizionati in punti stabiliti.
Con una notevole semplificazione si può affermare che con quest’apparecchiatura viene misurata l’energia, espressa in kW, generata dalla combustione del provino durante la prova; la misura di tale energia viene ottenuta indirettamente in funzione del consumo d’ossigeno che si registra durante la combustione. La curva dell’energia sviluppata in funzione del tempo viene definita RHR (Rate of Heat Release).

I parametri presi in considerazione per la classificazione finale sono:
FIGRA (Fire Growth Rate) velocità di crescita dell’incendio calcolato con particolari algoritmi dalla curva di RHR, e la quantità di energia totale sviluppata durante i primi 10 minuti del test THR600  che può essere rappresentata graficamente dall’area sottesa dalla curva di RHR (vedi grafici)
La marcatura CE e la reazione al fuoco dei materiali
LSF (Lateral Spread of Flame) propagazione laterale della fiamma
SMOGRA (Smoke Grow Rate) velocità di crescita dell’opacità dei fumi
FLAMING PARTICLES OR DROPLETS: la caduta di parti e/o gocce infiammate
Mentre questi ultimi due parametri danno origine a classificazioni addizionali che possono essere richieste dai legislatori nazionali in particolari applicazioni, il FIGRA risulta determinante per la definizione dell’Euroclasse (v. Grafico).

Soglie del valore figra che individuano le classi SBI
La marcatura CE e la reazione al fuoco dei materiali

La ricerca

ANPE, in collaborazione con l’associazione europea dei produttori di poliuretano espanso (BING), ha affidato al laboratorio di ricerca LSF di Montano Lucino un progetto di ricerca mirato ad individuare le prestazioni dei diversi tipi di poliuretano disponibili e di altri materiali isolanti di comune impiego. I risultati sono stati anche confrontati con i livelli di classificazione ottenibili con le normative italiane.
Nel caso dei poliuretani le prestazioni ottenute risultano molto influenzate da parametri quali:

– la tipologia di rivestimento adottato (cartaceo o inorganico);

– la tipologia di schiuma (PUR o PIR) e di formulazione adottata, in relazione soprattutto ai diversi tipi di espandente (normalpentano, miscele di gas, CO2).
Alla luce dei risultati ottenuti dalla ricerca e dei dati aggiuntivi forniti da aziende associate, si può ipotizzare che l’offerta dei produttori di poliuretano italiani sarà in grado di coprire l’intera gamma di classificazioni prevista dal sistema delle Euroclassi per i materiali organici (v. schema).

classe reazione al fuoco del poliuretano

Il livello prestazionale più basso (Classe F, materiali per i quali non si valuta la prestazione) è ovviamente attribuibile ai prodotti con rivestimenti cartacei (carta bitumata, cartonfeltro, ecc.) che contribuiscono in modo significativo a determinare la classe di appartenenza. Questi prodotti vengono destinati ad applicazioni dove non sussiste il pericolo di contatto diretto con le fiamme nella fase iniziale dell’incendio (isolamento di pavimenti sotto massetti o di intercapedini perimetrali dietro strutture dotate di Proprietà isolanti REI).
Va ricordato che anche i materiali inorganici, come ad esempio le lane minerali, non possono ottenere, senza onere di prova, le classi A1 o A2 se commercializzate con un rivestimento organico o con una percentuale di collante superiore allo 0,1%.
Nello svolgimento della ricerca è apparso particolarmente interessante il confronto tra le prestazioni di due materiali molto diffusi in Italia: un pannello in schiuma PIR rivestito da fibra di vetro saturata (classe 2 secondo la normativa italiana) e un pannello in polistirene espanso estruso XPS (certificato in classe 1 italiana).
Nei grafici a pagina 13 riportiamo le curve registrate durante la prova al test SBI. Ambedue i materiali rientrano nella Euroclasse E a causa di un andamento ripido della curva di crescita nei primi secondi della prova (comportamento tipico di tutti i materiali plastici).
In realtà, a fronte di una classificazione analoga, il comportamento dei due materiali sottoposti al test risulta marcatamente diverso:
– il valore di picco, essenziale per la classificazione, è molto più basso per la schiuma PIR (20-40 KW) rispetto all’XPS, ed è estremamente contenuto anche il rilascio totale di energia (area sottesa dalle due curve).

– la zona danneggiata al termine della prova risulta estremamente ridotta nel caso dei PIR mentre si estende per l’intero lato corto del provino per i pannelli in XPS.
La valutazione offerta dal test SBI non sembra quindi sufficientemente dettagliata per fare apprezzare differenze anche visivamente sostanziali nel comportamento di diversi materiali.
Non dobbiamo dimenticare peraltro che qualsiasi metodo di prova per la valutazione di fenomeni così complessi, come sono gli incendi, può presentare inevitabilmente limiti di rappresentatività.
Basti pensare al metodo del pannello radiante italiano (RF3) che consentiva ai termoplastici l’ottenimento della classe 1 solo perché la completa fusione del materiale impediva di fatto la misurazione del tratto bruciato.
Nel caso del metodo europeo è importante sottolineare la vivace attività di Gruppi di lavoro CEN che hanno come obiettivo il miglioramento del metodo, dell’interpretazione dei risultati e della  sua riproducibilità per una valutazione più realistica dei risultati. Parallelamente si stanno anche definendo le modalità per le prove in “end use condition”. Il metodo SBI infatti nasce per valutare i materiali in condizioni d’uso reali (in intercapedine, sotto manti impermeabili, sotto pavimenti, ecc.). Saranno soprattutto i risultati dei test così condotti a fornire a progettisti e costruttori informazioni utili sulle prestazioni globali dell’edificio realizzato.

Per ulteriori informazioni
www.poliuretano.it

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