Illuminazione ed evoluzione delle destinazioni d’uso: il caso di alcune sale dell’appartamento storico in Palazzo Reale a Napoli

La finalità è quella di individuare un legame (rigoroso) tra le caratteristiche fisiche della radiazione incidente sul manufatto ed il suo inevitabile degrado.
Nel caso particolare di dipinti, affreschi ed arazzi l’effetto della radiazione che proviene dalla sorgente può produrre nel tempo anche la scomparsa di alcuni colori trasformando completamente la resa cromatica dell’immagine o di alcune sue parti.
Di particolare interesse in questa ricerca sono gli studi sulle opere per le quali è possibile ricostruire con buona approssimazione la storia espositiva in termini di luoghi e sistemi d’illuminazione.
Gli autori del presente lavoro, in collaborazione con INNOVA, Centro Regionale di Competenza per lo sviluppo ed il trasferimento dell’innovazione applicata ai beni culturali ed ambientali, espongono le esperienze direttamente maturate durante lo studio su alcuni ambienti dell’appartamento Storico di Palazzo Reale a Napoli.
I locali oggetto di questo studio rappresentano una singolarità: da appartamento, in seguito a varie vicissitudini, sono stati trasformati in sale espositive.
É stato pertanto interessante ricostruire l’evoluzione dell’arredo interno con riferimento alle opere ed agli oggetti esposti individuando poi il degrado prodotto dai sistemi d’illuminazione naturale e artificiale su dipinti ed arazzi.
La ricerca prende anche spunto dall’atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei in vigore dal 2001.
Si partirà dall’analisi dettagliata delle condizioni illuminotecniche attuali e, in base ai parametri proposti dalla letteratura scientifica più avanzata in materia, tenendo anche conto dalle normative operanti, s’individueranno le condizioni maggiormente critiche sia ai fini conservativi delle opere, che per il comfort visivo per il pubblico.
In questo lavoro sono riportati i criteri con cui sono state scelte le sale in cui condurre la campagna di misure ed i primi risultati derivanti da un rilievo delle condizioni di illuminazione e di esposizione alle radiazioni UV, mediante misure fotometriche e radiometriche sia negli ambienti che sui diversi oggetti ed arredi; gli oggetti esposti sono stati classificati in base alla fotosensibilità, gli apparecchi illuminanti in base alle caratteristiche fotometriche e spettrali delle sorgenti luminose, le superfici finestrate in funzione dell’orientamento e delle caratteristiche ottiche di vetri e sistemi schermanti.
Sono stati acquisiti inoltre, dal piano di programmazione annuale delle attività della struttura, i dati necessari per la valutazione dell’esposizione energetica sulle opere.

L’illuminazione dei musei: esposizione e conservazione
In un periodo in cui l’interesse rivolto verso la salvaguardia e la valorizzazione del nostro patrimonio storico, artistico e culturale ha assunto un’importanza considerevole, lo studio ed il controllo delle condizioni di illuminazione all’interno dei musei diviene essenziale nel perseguire gli obiettivi di esposizione e conservazione, che rappresentano le finalità di qualunque struttura espositiva.
L’esposizione consente di “mostrare” al pubblico oggetti o manufatti con finalità anche molto diverse che possono essere informative, commerciali, pubblicitarie, culturali. I provvedimenti e gli accorgimenti che vengono adottati, per evitare i danni ad un qualsiasi oggetto esposto, quando si tratta di un’opera d’arte, diventano un obbligo.
E il Museo è il luogo elettivo per l’esposizione delle opere d’arte.
Nelle sue sale è necessario garantire adeguate condizioni percettive o più in generale ergonomiche per il visitatore e, insieme, conservare le opere esposte preservandole, per quanto possibile, dal degrado.
L’illuminazione, che rappresenta una delle principali cause del degrado delle opere, è anche condizione indispensabile per la percezione, anche se, in un qualsiasi ambiente espositivo temperatura ed umidità dell’aria, se non ben controllate, possono anch’esse rappresentare delle potenziali cause di danno.
Tutte insieme queste condizioni, pure se in diversa misura, determinano nel tempo e per alcuni tipi di opere, un degrado inevitabile che con una attenta progettazione del sistema museale può essere limitato ma, comunque, mai del tutto eliminato.
Infatti, se si escludono alcuni materiali come pietre, ceramiche e metalli, per i quali la conservazione non pone grandi problemi, nè richiede condizionamenti ambientali particolarmente rigorosi, per i dipinti, di qualunque tipo, il danno in un ambiente espositivo non ben controllato può essere anche molto grave.
Ogni sostanza si altera nel tempo: la decomposizione delle matrici organiche ed inorganiche rappresenta un processo del tutto naturale anche se, per quelle inorganiche la lunga durata dei processi, può indurre a cansiderarle inalterabili.
Il principale obiettivo della politica di conservazione nei musei è quello di ritardare tali processi.
Per quanto riguarda i danni prodotti dalla radiazione luminosa per la maggior parte dei materiali l’ambiente ideale dovrebbe essere il buio completo; mentre per esaltare il piacere della visione si dovrebbe preferire la luce naturale, che per le sue specifiche caratteristiche, valorizza la percezione di qualsiasi oggetto.
Purtroppo, bisogna tener conto del fatto che un dipinto, di qualsiasi tipo, non può sostenere, senza subirne un danno, la diretta incidenza di una qualsiasi quantità di radiazione luminosa.
Nello spazio museale i messaggi da trasmettere sono fondamentalmente o esclusivamente di carattere visivo. La qualità dell’ambiente luminoso assume quindi un’importanza strutturale decisiva.
Attuare un corretto uso della luce è indispensabile per la migliore percezione delle opere d’arte, ma non basta. Intervengono in questo caso, più che in altri spazi, come quelli commerciali, fattori determinanti d’altra natura che condizionano l’impiego della luce e impongono uno studio quanto mai attento del sistema illuminotecnico.
Ad esempio, particolarmente delicato in questo senso è il problema della progettazione dell’illuminazione naturale: la luce diurna permette una migliore visione dei colori e delle forme; ma d’altra parte essa non è facilmente controllabile e non contribuisce alla conservazione degli oggetti per la presenza di grandi quantità di radiazioni
dannose per i materiali esposti, che peraltro non danno alcun contributo alla visione.
A tutto questo bisogna aggiungere l’estrema variabilità della luce naturale, in essa infatti varia sia l’intensità che la temperatura di colore, e questi due parametri variano sia durante il giorno che durante l’anno.
La luce artificiale è molto più controllabile, ma può comunque generare azioni di degrado, per gli stessi motivi di composizione spettrale citati in precedenza.
Il tema della conservazione risulta particolarmente interessante per l’approfondimento di attività di ricerca che consentano di determinare una precisa correlazione tra:
– tipo di sorgente luminosa utilizzata,
– caratteristiche qualitative e quantitative della radiazione incidente sulla superficie esposta,
– caratteristiche dei materiali costituenti l’opera illuminata e danno conseguente.
Tale correlazione, allo stato attuale delle conoscenze, non è stata ancora completamente definita.
Al momento, per quanto riguarda le strategie da adottare per la conservazione, si fa riferimento alle principali norme e raccomandazioni nazionali ed internazionali.
In particolare, i materiali di specifico interesse sono stati raggruppati in diverse categorie.
In tab.1 sono riportate le classificazioni in base alla loro sensibilità alla luce così come indicate dalle raccomandazioni dell’IES,della CIE, del CIBSE e dell’AIDI. Le tipologie di materiali suddivisi per categorie, sebbene denominate in modo differente, sono pressochè coincidenti, la differenza più evidente è che la CIE considera quattro categorie di sensibilità, aggiungendo una classe di materiali estremamente sensibili alla luce.
Una classificazione di questo tipo è sicuramente poco dettagliata ed approssimativa, tuttavia ha il merito di potere effettuare delle prime suddivisioni tra gli oggetti esposti, lasciando comunque il compito e la responsabilità ai curatori dei musei di poter effettuare indagini più approfondite su particolari oggetti.
In tab. 2 sono riportati, per ciascuna categoria, i valori di illuminamento massimo in lx e l’esposizione energetica annua massima espressa in lx*h/anno, così come definiti dai suddetti enti. I valori riportati in tabella si ritengono validi in assenza di radiazioni ultraviolette, ossia eliminando le radiazioni di lunghezze d’onda inferiore a 300 nm.
Si osservi che in ogni caso non si scende sotto la soglia dei 50 lx, ritenuta evidentemente un valore limite per visualizzare anche gli oggetti più sensibili.
In questo caso, dunque, tale valore va sì interpretato come valore massimo, ma anche come valore minimo ed è inoltre necessario prevedere un percorso nell’ambiente espositivo in modo che l’occhio dell’osservatore possa adattarsi ai bassi valori di illuminamento.
Come si evince dalla tab.2, per i materiali estremamente sensibili individuati dalla CIE la differenza rispetto ai materiali molto sensibili sta nel porre un limite più basso alla esposizione annua. In altre parole, se non si può scendere sotto la soglia dei 50 lx, allora risulta necessario esporre le opere per un numero inferiore di ore all’anno.
Da queste considerazioni si deduce come sia importante il piano di programmazione annuale del museo.
Per quanto i valori riportati in tab.2 siano estremamente utili, in quanto definiscono dei limiti all’esposizione degli oggetti in funzione della sensibilità, si deve tener conto di due aspetti non sempre trascurabili.
Il primo è quello della presenza di radiazioni infrarosse in alcune sorgenti come la luce naturale e le lampade ad incandescenza; tali radiazioni, pur non essendo causa di attivazione del degrado fotochimico, possono determinare riscaldamento delle superfici esposte determinando l’accelerazione dei processi di alterazione fotochimica se questi sono stati già innescati oppure altri effetti non meno dannosi, quali l’essiccamento e la fessurazione delle opere.
Il secondo aspetto riguarda la composizione spettrale nel campo del visibile delle sorgenti in relazione alla sensibilità spettrale dei materiali esposti. Infatti anche la radiazione che ricade nel campo del visibile è potenzialmente dannosa, e lo è in funzione della sensibilità spettrale del singolo materiale.
Purtroppo le ricerche e le analisi sperimentali per la valutazione del danno potenziale in base alle caratteristiche ottiche dei materiali riceventi ed alle caratteristiche spettrali delle sorgenti non hanno ancora prodotto risultati di carattere generale.
Da ciò si deduce che la conoscenza della quantità di luce che incide su di un’opera per un anno, ossia l’esposizione energetica annua, è sicuramente indicativa per la valutazione del rischio, ma non è da sola sufficiente in quanto non tiene conto della sensibilità spettrale degli oggetti. In altre parole, approfondendo la conoscenza della sensibilità spettrale dei materiali, potrebbe essere possibile addirittura incrementare le dosi annue di luce, purché il contenuto spettrale delle sorgenti non sia dannoso per l’oggetto esposto.
É importante inoltre ricordare che l’esposizione energetica annua, più correttamente denominata dalla UNI 10829 “dose di luce annuale”, in lx*h/anno non rappresenta la radiazione pesata secondo la curva di visibilità dell’occhio umano, e questo può fornire risultati fuorvianti: ad esempio in presenza di sorgenti con elevato contenuto energetico ricadente nelle zone periferiche del campo del visibile.
In tal senso quindi, se l’analisi spettrale comporta troppe difficoltà e se non si effettuano misure radiometriche nel campo del visibile, si dovrebbe almeno tenere in considerazione l’efficienza luminosa della sorgente valutata però solo nel campo del visibile se si è in presenza di mezzi di controllo che escludono altre radiazioni.
In tal senso va osservato che per quanto riguarda i dati di dose di luce annuale in tab. 2, solo quelli riportati dall’AIDI si ottengono mediante moltiplicazione per un coefficiente che tiene conto della composizione spettrale della sorgente e ciò guiustifica la denominazione di “esposizione energetica convenzionale”: sono dunque necessari approfondimenti, anche per effettuare confronti con quanto imposto dalla UNI 10829.
Per quanto riguarda la radiazione UV, intendendo per essa le radiazioni con lunghezze d’onda comprese tra 300 e 400 nm, esse in teoria andrebbero totalmente escluse.
Nella pratica esse sono presenti nelle sorgenti più comuni e non è sempre facile adottare accorgimenti che possano totalmente escluderle.
Il contenuto di radiazioni ultraviolette varia tra i 400 ed i 1500 μW/lm per la luce naturale ed è compreso tra i 70 e gli 80 μW/lm per le lampade ad incandescenza.
Risultano quindi di fondamentale importanza i rilievi sperimentali per approfondire ed accrescere la conoscenza nel settore dell’illuminazione dei musei in cui, sui problemi collegati alla salvaguardia delle opere la ricerca potrebbe produrre interessanti sviluppi.
Proprio in questa direzione si muovono anche le indagini sperimentali che gli autori hanno appena intrapreso, riguardanti le condizioni espositive delle opere d’arte presenti in alcuni ambienti dell’Appartamento Storico del Palazzo Reale di Napoli.
Si cercherà di stabilire se, in queste specifiche situazioni, siano presenti particolari problemi, che possano ostacolare l’attuazione di tutti gli accorgimenti dettati dalle esigenze di conservazione.
Se risulterà necessario si studieranno le tecniche per ricondurre le condizioni espositive a quelle ideali per la conservazione, nel rigoroso rispetto dell’esigenza di mantenere agli spazi le caratteristiche di testimonianza della storia che quella residenza e l’itinerario museale, ad essa collegato, vogliono oggi proporre.

Il Palazzo Reale di Napoli e l’evoluzione delle destinazioni d’uso
Il Palazzo Reale di Napoli è stato per alcuni secoli centro ed insieme residenza del potere, edificato per sostituire Palazzo vecchio, allora residenza dei vicerè di Spagna, all’inizio del 1600, per una delle capitali più grandi e popolose dell’Impero Spagnolo.
Fu inizialmente ancora residenza dei vicerè spagnoli, poi degli austriaci, quindi dei Borbone ed infine dei Savoia. Il primo progetto, affidato all’architetto Domenico Fontana, fu oggetto di numerose varianti, dettate sia da esigenze ampliamenti che dalla necessità di ridistribuzione degli spazi interni connesse alle modifiche nelle destinazioni d’uso dei diversi ambienti.
L’incendio del 6, 7 e 8 febbraio del 1837 fu occasione di un vasto intervento di ristrutturazione, voluto da Ferdinando II e curato da Gaetano Genovese con la collaborazione di Pietro Persico e Francesco Gavaudan, in un arco di tempo che va dal ’37 al ’58.
Tale intervento ha definito il volto con cui la Reggia è stata consegnata ai tempi moderni, inglobando e sviluppando le preesistenze in un contesto regolarizzato e reso omogeneo dall’applicazione di un formulario decorativo ben distinguibile.
Dopo l’incendio gli appartamenti privati del Re e della Regina furono trasferiti al secondo piano,
nell’angolo sud-orientale; l’appartamento del primo piano composto di 90 camere , quasi interamente trasformato, fu assegnato alla “pompa dei baciamano e delle solenni feste”.
Quindi la sequenza di stanze a mezzogiorno, ordinate in una straordinaria “infilata”, si presenta ora come una serie di sale di ricevimento, con grandi divani di corte, consoles e specchiere alle pareti.
Per decorare le sale rinnovate, Ferdinando II chiamò i più noti artisti di pittura, di scultura e d’ornato che vivevano a Napoli.
Le sale che si allineano al primo piano lungo tutto il prospetto fino alla metà della facciata meridionale prospiciente il giardino pensile compongono il cosidetto “Appartamento Storico” del Palazzo aperto al pubblico.
La trasformazione che subì la Reggia durante il regno di Ferdinando II è la sola che vi abbia impresso un carattere spiccato, non sempre fine, di magnificenza regale: arazzi di fabbrica francese e napoletana, suppellettili e arredi di stile Impero e del cosiddetto periodo “ferdinandeo”, quadri, porcellane, sculture di marmo, di bronzo, mobili costruiti a Napoli , sono le testimonianze del gusto e del fasto degli antichi proprietari e intonano tuttora a un’epoca di ricchezza le vaste sale che accolsero quanto di meglio e di più sontuoso dessero le arti e le industrie regionali.
Dopo il 1860 la Reggia andò man mano perdendo l’antica importanza. In essa vi abitarono prima Vittorio Emanuele II poi Margherita e Umberto di Savoia e non si attuarono né variazioni né aggiunte, salvo il ricoprimento dei simboli delle più antiche case regnanti sulle volte e sugli arazzi.
I successivi interventi hanno alterato di poco la Reggia, ma certamente si modificarono le destinazioni d’uso. Passata infatti al demanio dello Stato, fu redatto il progetto,sostenuto da Benedetto Croce, i cui obiettivi erano:
1. dare a Napoli una grande biblioteca;
2.destinare la zona più antica dell’edificio (Sale degli affreschi, arazzi, ambasciatori, del trono, il Teatrino, la Pinacoteca e sale adiacenti) alla costituzione di un museo con l’acquisizione di nuove collezioni;
3. conservare la zona che abbraccia il lato sud est nel primo e secondo piano abitata ancora dai sovrani.
Il progetto di Croce fu approvato nel 1922, e verso la fine dell’anno furono stanziati i finanziamenti necessari al trasferimento delle varie biblioteche, di contro non si creò una struttura museale autonoma all’interno della Reggia con l’aggiunta di nuove collezioni, ma si fece sempre più strada l’esigenza di salvaguardare la parte più antica dell’edificio come “Appartamento Storico”.
Durante la seconda guerra mondiale, Palazzo Reale subì numerosi danni, che interessarono
soprattutto la Cappella, il Teatrino e parte del giardino pensile con il crollo del ponte di ferro che scavalcava il cortile del Belvedere: era stato realizzato nel XIX e non è stato più ricostruito.
A questo seguì l’uso improprio degli spazi del Palazzo durante l’occupazione degli alleati che qui ebbero il loro quartier generale.
Sostanziali restauri e risistemazioni degli interni furono effettuati tra il 1950 e il 1957, e nel 1970 si provvede alla sistemazione dell’Appartamento Storico. Con questi ultimi anni, dal 1991/1992 è iniziata una intensa campagna di restauri, che ha investito l’intero complesso, recuperando spazi, funzioni e architetture.
Del nucleo dell’appartamento reale rimane musealizzato il piano nobile attorno il Cortile d’onore ad eccezione di alcune sale del lato est.
Riguardo al patrimonio d’arte dell’Appartamento Reale, per iniziativa dei Borbone, che destinarono al Museo Borbonico, poi Nazionale, le loro collezioni, e per le predilezioni dei Savoia, che dopo il 1860 trasferirono nel palazzo di Capodimonte le porcellane settecentesche e l’Armeria Reale, non si può parlare propriamente di “collezioni” del Palazzo, ma di opere d’arte di altissimo artigianato inserito nell’arredo delle stanze. L’allestimento corrisponde per grandi linee, soprattutto per quanto riguarda i mobili di corte e le suppellettili, all’assetto della Reggia in età sabauda, come si deduce dagli inventari del 1874.
Negli ultimi venti anni vi è stato un incremento nel numero delle opere esposte nell’Appartamento Reale con oggetti tratti dai depositi o ritirati da Enti pubblici dove erano finiti per lo “smobilitamento” di altri spazi della Reggia, avvenuto nel Novecento per ospitare la Biblioteca Nazionale e la Presidenza della regione Campania, traslocata altrove nel 1944.
Il patrimonio conservato può essere virtualmente distinto in diversi settori di raccolta.
Quello dei mobili comprende lavori dell’ebanisteria napoletana dal Settecento all’Ottocento, ma anche una serie famosa di arredi napoleonici portati a Napoli da Gioacchino Murat, i tessuti consistono in tappeti e arazzi di importazione francese e nella produzione della Reale Arazzeria di Napoli, rappresentata da quattro serie di paramenti.
I dipinti del Cinquecento e Seicento di ambito settentrionale ed europeo provengono dalla collezione Farnese ereditata da Carlo di Borbone e in parte destinata all’arredo del Palazzo; le tele del Seicento post-caravaggesco furono acquisite dalla Reale Galleria ai primi dell’Ottocento. Vi sono poi i ritratti aulici dei protagonisti della vita di corte.
Il settore delle porcellane comprende monumentali vasi di Sèrves di stile impero, oltre a lavori cinesi e russi, giunti come doni regali, e molta produzione napoletana della bottega di Raffaele Giovine.
Tra le suppellettili ci sono gli orologi e sculture di bronzo e marmo, compreso qualche pezzo
archeologico.

L’appartamento storico e la scelta delle sale da monitorare
Nel Palazzo Reale quindi, l’appartamento reale, collocato al piano nobile, dal 1919 è diventato un museo il cui “itinerario” rappresenta una rivisitazione delle vicende politico-economiche, culturali ed artistiche che interessarono la città di Napoli tra il XVI al XVIII secolo. L’arredo, i dipinti, gli arazzi, i mobili, l’oggettistica, testimoniano la storia dell’arte della cultura ma anche lo sfarzo e le ricchezza che caratterizzava la Corte soprattutto nella seconda metà del ‘700.
In quel periodo Napoli fu la più popolosa, importante ed industriosa città d’Italia.
Era grande 4 volte Roma e 2 volte Milano; la seconda città d’Europa (dopo Parigi) e la quinta nel modo, più grande di New York e di Tokio.
Ma soprattutto Napoli poteva considerarsi la capitale barocca fucina delle arti, dei commerci, delle scienze, meta turistica prediletta da un gran numero di viaggiatori.
Aveva in molte case l’acqua corrente ed un sistema fognario.
Aveva la terza flotta mercantile del mondo e la sua economia era basata sull’intensa attività portuale.
Migliaia di persone trovavano lavoro per la costruzione di navi nell’Arsenale, e nell’indotto industriale ad esso collegato, ma anche nei setifici, cotonifici ed industrie tessili.
E, in quelle sale, al piano nobile del Palazzo, è stata costruita molta parte della storia di quel periodo.
Che l’Appartamento Storico sia stato trasformato in un Museo è certamente un obiettivo culturale di grande rilievo.
Altrettanto interessante si presenta uno studio delle condizioni espositive delle opere e degli arredi in spazi che non sono stati progettati con questa destinazione d’uso.
Ma questa non è una novità. Molti antichi edifici monumentali sono stati trasformati in Musei: restano delle eccezioni invece gli appartamenti storici in cui la funzione espositiva riguarda il “contenitore”, la residenza storica, ed insieme il “contenuto”, le opere, gli arredi, gli oggetti.
L’appartamento storico di Palazzo Reale costituisce dunque il “nucleo” del palazzo stesso e, come visto, durante il corso della storia le sue sale sono state destinate, con alterne vicende, alla residenza dei sovrani ed alla rappresentanza.
Per la valutazione delle condizioni di illuminazione sono state scelte l’antica “Galleria”, detta Sala degli Ambasciatori (foto 1) e la sala di Maria Cristina (foto 2), detta anche sala dei Ministri.
La scelta è stata dettata non solo dalla compresenza di opere di varia natura, tra cui ad esempio gli arazzi, i dipinti ad olio, i vasi e gli arredi,come riportato in dettaglio nelle tab. 3 e 4, ma anche dall’orientamento delle finestre che, ricevendo anche radiazione solare diretta, fanno sì che gli ambienti ed il loro contenuto appaiano illuminati in modo estremamente differente durante l’arco della giornata.
Questo è uno dei casi particolari in cui l’impiego della luce naturale all’interno del museo non è finalizzato solo al conseguimento del risparmio energetico o all’ottenimento di una eccellente resa cromatica, bensì alla realizzazione di un’ambientazione così come era stata pensata dai progettisti, in cui ogni elemento, sia esso arazzo, quadro o elemento d’arredo, insieme agli elementi architettonici quali gli affreschi, le modanature, le porte intagliate, concorre alla realizzazione di uno spazio unitario.
In esso la luce naturale, compresa la radiazione solare diretta, che caratterizza gli ambienti in modo diverso durante le ore del giorno, conferisce un carattere conviviale che ci avvicina di più a quello di una residenza o in ogni caso ad un luogo “vissuto”, piuttosto che ad un museo. In qualche modo la presenza della luce naturale fa “rivivere” gli oggetti presenti nelle sale, rendendoli attuali, facendo sì che vangano percepiti sotto la stessa sorgente di luce che li vide protagonisti di tempi passati. É consuetudine inoltre che negli spazi progettati come musei le sorgenti di luce naturale siano differenziate dagli elementi trasparenti dell’involucro necessari alla visione ed al contatto con l’ambiente esterno: normalmente questi ultimi sono collocati nelle zone di collegamento e di sosta, mentre l’accesso della luce naturale per la visualizzazione delle opere d’arte è affidato a finestre opportunamente schermate oppure a lucernai o tubi di luce.
In questi casi la luce naturale, filtrata e diffusa, ha il pregio di essere comunque un’ottima sorgente gratuita dallo spettro continuo ma, per gli osservatori, la distribuzione delle luminanze risulta pressoché indistinguibile da quella che viene ad esempio realizzata mediante sorgenti fluorescenti nascoste.
Nel caso delle sale dell’appartamento storico, invece, le finestre costituiscono un’interfaccia con l’ambiente esterno che, soprattutto in alcune ore del giorno viene percepito come estensione e completamento dell’interno.
Ciò vale sia per gli affacci sulla Piazza del Plebiscito che per le finestre, nella sala di Maria Cristina, che si affacciano sulla terrazza e sul giardino.
Nelle due sale è possibile escludere la luce naturale mediante scuri interni e le finestre sono dotate di tende ed in alcuni casi di doppie tende.
Per quanto riguarda l’illuminazione artificiale, essa è interamente affidata a lampadari in cristallo nella sala degli ambasciatori ed in bronzo nella sala di Maria Cristina.
Le lampade sono del tipo ad incandescenza da 60 W, con bulbo a forma allungata (candela) in vetro opalino. Durante l’orario di apertura del Museo l’impianto di luce artificiale è sempre acceso anche in presenza di luce naturale.
Nella sala degli Ambasciatori, che ha quattro finestre orientate a sud-ovest verso la piazza del Plebiscito ed una orientata a sud-est, oltre ai quadri ed arazzi sono presenti vasi ed altri oggetti di arredo così come riportato in tab. 3, insieme alla categoria di sensibilità che è stata stimata sulla base delle indicazioni riportate in tab.1.
La volta della sala, inoltre, conserva uno degli affreschi più antichi di tutto il palazzo, opera di Belisario Corenzio, Onofrio ed Andrea de Lione ed altri aiuti, databile intorno al III decennio del seicento. Raffigura i fasti della Casa di Spagna in 14 riquadri.
Sempre sulla volta è presente il ciclo di Marianna d’Austria, di Massimo Stanzione, mentre negli angoli è ripetuto lo stemma Asburgo.
Lo stato di conservazione degli affreschi, che hanno subìto interventi di restauro, è ottimo, ed anche l’illuminazione naturale, provenendo dalle finestre laterali, non incide direttamente su tali opere che durante le ore diurne sono ben visualizzate, mentre la presenza delle lampadine accese sui lampadari determina fenomeni di abbagliamento e ne impedisce una visione agevole.
Nella sala di Maria Cristina la luce naturale è fornita da due finestre orientate a sud-est ed una a nordest, ed in essa, oltre a sette dipinti ad olio, sono presenti vasi ed altri oggetti di arredo così come riportato in tab. 4, insieme alla categoria di sensibilità.

Rlievi sperimentali
La progettazione delle attività di monitoraggio ha richiesto una prima analisi delle condizioni espositive, in relazione alll’illuminazione sia naturale che artificiale.
Il sistema di definitivo di monitoraggio, sarà costituito da sensori di dimensioni molto contenute collegati via radio con la centrale di acquisizione.
I dati una volta acquisiti potranno essere trasmessi in rete ad un sistema remoto per la elaborazione.
Si rileveranno le seguenti grandezze, secondo la UNI 10829 e la UNI EN 12464-1:
– illuminamento,
– irradiazione nel campo ultravioletto,
– temperature superficiali finalizzate alla valutazione del danno prodotto sulle opere,
– temperatura ed umidità relativa dell’aria finalizzate alla conservazione delle opere.
Da accordi con i Responsabili del Museo, si è convenuto di collocare la centrale per la raccolta dei dati in una delle nicchie poste sul retro dell’oratorio di Maria Cristina, in una posizione in cui è disponibile l’alimentazione elettrica e che dovrebbe assicurare la trasmissione dei dati provenienti dai sensori, nonostante l’elevato spessore delle murature del Palazzo (foto 3).
Le elaborazioni consentiranno di valutare inoltre la dose di luce annuale su diverse opere.
Le misure comprenderanno inoltre la valutazione del danno effettivo mediante analisi cromatica, in termini di scostamenti espressi nelle coordinate cromatiche CIE L*ab, nonché i parametri fotometrici necessari a garantire la sicurezza ed il comfort visivo.
Sono descritti nel seguito i rilievi sperimentali delle condizioni espositive effettuati per definire nel dettaglio le tipologie di sensori, il numero di punti di misura e la cadenza di acquisizione.
In particolare, nelle due sale si è misurato l’illuminamento sul pavimento dovuto alla sola luce artificiale ed alla luce naturale insieme all’artificiale.
Nelle fig .4 e 5 sono riportati i risultati ottenuti nella sala degli Ambasciatori. Le misure di illuminamento effettuate sotto condizioni di luce naturale sono meno significative perché si riferirono ad un particolare giorno (3 maggio) ed ad un particolare orario (ore 11) con particolari condizioni di cielo, nella fattispecie sereno.
Una valutazione dell’esposizione delle opere dunque potrà essere fatta solo dopo un monitoraggio effettuato per un periodo di tempo adeguato. Attualmente il Museo è aperto tutti i giorni, festivi e feriali, dalle ore 9 alle 20, tranne il mercoledì.
La luce artificiale è sempre presente anche in presenza di luce naturale.
Le ore di esposizione, in un anno, sono dunque 6 X 52 X 11 = 3432. Assumendo una quantità massima di luce pari a 500000 lx•ora/anno, se ne deduce che l’illuminamento medio orario è di circa 145 lx.
Sono state inoltre effettuate misure della radiazione ultravioletta e dell’illuminamento sui dipinti ed arazzi presenti nelle due sale sia in presenza di luce naturale ed artificiale che solo in condizioni di luce artificiale. In tab. 5 sono riportati i valori dell’illuminamento medio, della radiazione UV, espressa in μW/m2, e della quantità di radiazione ultravioletta, così come richiesto dalla UNI 10829, ed espressa in μW/lm, sui dipinti ed arazzi presenti nelle due sale, la cui collocazione è riportata in fig.2. Accanto a tali valori sono inoltre riportate delle osservazioni sullo stato di conservazione di ciascuna opera.

Dai dati riportati in tab.5 si evince che in presenza di sola luce artificiale i valori di illuminamento sono al di sotto dei 50 lx in tutti i casi.
Tale condizione comporta vantaggi dal punto di vista della conservazione, ma non condizioni ottimali per la visione delle opere. In effetti, tuttavia, soprattutto nei mesi estivi, la luce naturale è presente per la quasi totalità delle ore di apertura del Museo.
Gli illuminamenti prodotti dalla combinazione di luce naturale ed artificiale, nel caso esaminato, raramente superano i 150 lx e quindi sono adeguati per i dipinti ad olio, sebbene per gli arazzi, che appartengono alla categoria di alta sensibilità si attingono valori maggiori di 50 lx. Le radiazioni ultraviolette incidenti sulle opere sia in presenza di luce artificiale che naturale, filtrata dalle tende, assumono valori contenuti.
Ciò è a conferma delle misure effettuate sulla sorgente di luce naturale, che rivela una componente UV in corrispondenza delle varie finestre, attraverso le tende, compresa tra i 26 ed i 60 μW/lm, e dunque entro il limite di 75 μW/lm definito dalla UNI 10829. I valori relativi ai dipinti H ed L non sono riportati in questa fase in quanti tali tele, collocate al di sopra delle porte, risultano non accessibili.

Conclusioni
La scelta del Palazzo Reale di Napoli, resa possibile dalla disponibilità della Sovrintendenza, è stata particolarmente idonea come caso di studio per i musei, visto l’alto grado di complessità, molteplicità di tipologie e materiali dei beni in esso presenti. Trattandosi inoltre di un appartamento-museo, è l’edificio in sé ad essere oggetto di esposizione e tutela, in cui gli elementi di arredo e di decoro, oltre ad essere singolarmente interessanti e con peculiari esigenze di valorizzazione, contribuiscono alla costituzione di ambientazioni in cui concorrono anche i parati, i tendaggi, gli affreschi sui soffitti, gli intarsi sulle porte, ecc…
Gli oggetti esposti appartengono a diverse categorie di sensibilità ed alcuni hanno subìto nel tempo evidenti alterazioni cromatiche o addirittura danni nella struttura, come nel caso delle tappezzerie.
Dalle misurazioni condotte si evince che ciascuna sala, con proprie caratteristiche in termini di dimensioni, destinazione d’uso, localizzazione delle finestre, numero di lampadari, natura e collocazione degli oggetti , tipo e colore dei rivestimenti, rappresenta un caso a sé , sebbene sia possibile individuare delle problematiche comuni e delle soluzioni che possono costituire un
riferimento per gli edifici-museo con caratteristiche similari.
Le esigenze di esposizione delle singole opere e di tutela dai danni che possono essere prodotti dalla luce, insieme alla necessità di ottenere ambientazioni che non siano contrastanti con le caratteristiche dell’epoca, si pongono, pur con diverso approccio e grado di complessità, sia per il sistema di illuminazione artificiale che in presenza di luce naturale.
In particolare, l’illuminazione artificiale è affidata ad apparecchi illuminanti “d’epoca”, ben inseriti nel contesto di appartamento-museo, e che producono suggestivi effetti per la percezione dell’ambiente in termini complessivi, ma che non costituiscono la miglior soluzione per la visualizzazione dei particolari di dettaglio degli oggetti, dei dipinti ad olio sulle pareti o degli affreschi sui soffitti. I valori di illuminamento prodotti, invece, rientrano nei limiti suggeriti dalle linee guida e normative.
L’illuminazione naturale, spesso filtrata o diffusa o addirittura eliminata nella maggior parte delle applicazioni museali, rappresenta invece in questo caso un elemento determinante sia per la caratterizzazione degli ambienti durante le ore diurne, che per il contatto con l’ambiente esterno circostante.
La presenza tuttavia di materiali sensibili alla luce i cui effetti sono purtroppo in molti casi già evidenti in termini di danno e degrado, suggerirebbe l’adozione di sistemi di controllo sia per quanto riguarda la distribuzione spaziale che l’intensità della luce.
Attualmente, in alcune condizioni, si attingono valori di illuminamento anche molto elevati, ed anche effetti di abbagliamento per eccessivi contrasti o per riflessione sulle superfici dipinte.
Ciò tuttavia non è sufficiente per trarre delle conclusioni definitive sulle caratteristiche e sugli effetti dell’illuminazione naturale che, data la sua variabilità, richiede periodi di monitoraggio più lunghi: in tal senso le ricerche e le sperimentazioni in campo stanno procedendo.

Laura Bellia – Università degli Studi di Napoli Federico II – (Vicenza,1960) si laurea con lode in Architettura nel 1984, abilitandosi alla professione. Consegue il dottorato di ricerca in Fisica Tecnica nel 1993, discutendo una tesi riguardante l’illuminazione naturale.
Ricercatore universitario dal 1996 nel settore della Fisica Tecnica Ambientale è professore associato di Fisica Tecnica presso la Facoltà di Architettura dal 2001. Svolge la sua attività di ricerca nei settori della termofisica dell’edificio, dell’energetica, della climatizzazione e dell’illuminotecnica.
Arcangelo Cesarano – Università degli Studi di Napoli Federico II – (Napoli,1937) si laurea con lode in Ingegneria nel 1967, è Professore di ruolo di prima fascia dal 1986. Ha svolto la sua attività universitaria a tempo pieno presso le Facoltà d’Ingegneria e di Architettura dell’Ateneo Federico II. Ha svolto e svolge attività di ricerca nei seguenti ambiti tematici: trasmissione del calore, termodinamica applicata, illuminotecnica, misure
termotecniche, acustica applicata, risparmio energetico-energia solare, risparmio energetico-impianti che caratterizzano la Fisica Tecnica.
Gennaro Spada – Università degli Studi di Napoli Federico II – (Napoli,1968) si laurea in Ingegneria Meccanica nel 2000. Consegue il dottorato di ricerca in Ingegneria dei Sistemi Termomeccanici nel 2004. Funzionario Tecnico universitario dal 2005 nel settore della Fisica Tecnica Ambientale, è responsabile tecnico e per la sicurezza del Laboratorio di Illuminotecnica del Dipartimento di Energetica, Termofluidodinamica e Condizionamenti Ambientali.

Foto 1 La sala degli Ambasciatori
Foto 2 La sala di Maria Cristina
Foto 3 Posizionamento della centralina e delle opere nelle due sale
Foto 4 Sala degli Ambasciatori: Illuminamento sul pavimento dovuto a sola luce artificiale (Lux)
Foto 5 Sala degli Ambasciatori: Illuminamento sul pavimento dovuto alla luce artificiale e naturale (Lux)

Per inserire la tabella 1
Clicca qui
Per inserire la tabella 2
Clicca qui
Per inserire la tabella 3
Clicca qui
Per inserire la tabella 4
Clicca qui
Per inserire la tabella 5
Clicca qui

Tratto dal convegno internazionale “Luce e Architettura”, oganizzato dall’AIDI

Fonte: www.infobuild.it

Consiglia questo approfondimento ai tuoi amici

Commenta questo approfondimento