Il peso della tradizione

In un panorama culturale architettonico dove al termine tecnologia si associano sempre più frequentemente aggettivi come leggerezza e trasparenza, nulla pare più lontano dall’attualità delle coperture con manto di finitura in pietra.
Precipuamente legata alla cultura materica tradizionale delle plaghe alpine e subalpine, questa particolare tecnica costruttiva resiste solo dove interessi di salvaguardia ambientale, volontà di conservazione del patrimonio edilizio storico, insieme alla disponibilità di materia prima, coincidono a definire una sinergia centripeta.
Nella eterogenea regione geografica che fa capo alla provincia del VCO (Verbano Cusio Ossola)la tradizione del tetto in piode è molto attiva e presenta una serie di variazioni tecnico/tipologiche interessati se rapportate all’esiguità dell’ambito territoriale.

Struttura principale di sostegno
Nella tecnica costruttiva storica l’orditura lignea è rigorosamente di castagno e si presenta normalmente composta da una trave di colmo sulla quale poggiano rudimentali capriate, poste ad un interasse di circa un metro, intestate al piede su dormienti longitudinali.
In val Canobina e in alcune zone dell’Ossola la colmegna è spesso assente e le capriate si mantengono verticali con saette diagonali che, partendo dal terzo basso del puntone, si innestano sui dormienti.
Le catene hanno un interasse più ampio (almeno 2,5 mt) e non collimano con l’innesto dei puntoni nei dormienti.
Il piano di posa delle lastre è invece sempre costituito da travetti di castagno a sezione semicircolare chiamate tampiere.
Nei progetti di recupero dove le nuove istanze tipologiche lo permettono, grazie all’ottima qualità del legno di castagno, la struttura originale si può mantenere.
La buona conservazione nel tempo del legname dipende direttamente dal momento del taglio che, secondo la tradizione , deve essere effettuato durante la fase di luna calante per poi essere essicato in piedi, prevenendo l’aggressione dall’umidità del terreno.
Solo le tampiere sono di norma sostituite da un assito o perlinatura posata sull’estradosso dei puntoni, adeguatamente piallati o spessorati per ottenere una sufficiente planarità della falda.
Se l’edificio mantiene funzioni rurali le tampiere possono essere mantenute, sostituite ed integrate.
Quando l’orditura principale non può essere conservata se ne ricostituisce una nuova con legname normalizzato di larice o abete riproponendo, in forma regolarizzata, lo stesso schema costruttivo, integrato dal pacchetto di coibentazione.

Il piano di posa
Detto della posa tradizionale su tampiere di castagno, nei recuperi il pacchetto di isolamento e posa non è dissimile da quello di un tetto tradizionale.
Un primo assito riceve un isolante rigido ad alta densità da 6/8 cm intervallato da travetti secondari posti ad interasse di circa 150 cm.
All’estradosso dell’isolante è posato quindi un secondo assito; in alternativa a questa stratificazione si possono usare pannelli sandwich prefabbricati con superfici in legno pretrattata.
Sull’estradosso del secondo assito è buona norma stendere un telo impermeabile per una maggiore sicurezza di tenuta all’acqua.
Per la posa delle piode si costituisce una prima orditura verticale in codeghette 4 x 2 ad interasse variabile tra i 40 e i 60 cm.
Una seconda orditura trasversale è definita da listelli 6 x 4 posti ad interasse di circa 10 cm; la sezione è rettangolare per garantire una maggior inerzia statica contro spostamenti provocati dal peso delle pietre che spingendo verso la linea di gronda fanno lavorare i listelli a torsione.

Il manto di copertura
Costituisce la parte più significativa del tetto e anche la più complessa da realizzare.
Se la struttura lignea di sostegno può essere gestita da buoni carpentieri, la posa del manto in piode è fatto da manodopera specializzato, più precisamente da artigiani/artisti che spesso tramandano il mestiere di generazione in generazione. Nella provincia del VCO i posatori qualificati si contano sulle dita di una mano.
La stesura del manto avviene sostanzialmente a secco, solo le piode di colmo, posate con inclinazione nella direzione dei venti dominanti, sono solidarizzate con malta cementizia.
Gli unici strumenti di posa sono un martelletto a punta, leggero (400 grammi circa)e maneggevole per lavorare le lastre grezze, una fissella (corda) colorata, fissata con chiodi, per verificare gli allineamenti tra i corsi di pietra durante la posa.
Le fasi di lavoro sono codificate, si comincia portando la gran parte delle lastre al piano della copertura poggiandole uniformemente tra i listelli.
Questa operazione consente di mettere subito la copertura sotto carico, anticipandone gli inevitabili assestamenti dovuti all’aggravio di carico permanente.
La posa ha inizio dalla linea di gronda con la messa in opera del primo corso orizzontale che sbalza di circa 15/20 cm rispetto al filo della muratura.
I successivi 4/5 corsi vengono progressivamente inclinati con opportuni spessoramenti sino al raggiungimento dell’inclinazione di falda.
L’ultima pietra di ogni corso denominata orella, è a sbalzo e funge da gronda laterale.
La dimensione delle piode è irregolare e deriva dall’operazione di spiodatura, cioè la lavorazione della lastra effettuata direttamente sul tetto, prima della posa. La parte in vista della pioda subisce anche il processo di sbarbatura che consiste nell’assottigliamento dello spessore per facilitare il deflusso dell’acqua.
La sbarbatura è fondamentale nella lavorazione delle pietre d’angolo, chiamate cantonali, per garantire la perfetta planarità dei corsi di pietra e il regolare deflusso dell’acqua.
Il materiale lapideo più utilizzato è la beola dell’ossola. Sono lastre piuttosto irregolari di colore grigio chiaro con uno spessore medio di circa 4/6 cm per un peso a mq di circa 6 quintali. Il materiale è reperibile in diverse cave che ancora sono ancora attive nella valle (Beura, Vogogna, Premosello).
Nella zona del lago d’Orta si utilizza invece una beola nera proveniente da cave poste sulla sponda novarese del lago, con uno spessore medio di circa 2 cm per peso di circa 2 quintali a mq.
Vista la difficile reperibilità del materiale (le cave sono chiuse) le piode sono sempre recuperate ed integrate con materiali lapideo proveniente dalla bergamasca (valle Brembana) con proprietà fisiche e cromatismi simili.
Nell’area più prossima alle sponde del lago Maggiore si utilizzano nei recuperi svariati materiali vista la storica mancanza di cave dove estrasse materiale adatto alla costituzione di lastre per copertura.
La mancanza di buon materia prima in situ ha portata a costituire manti di copertura con pietre che in alcuni casi sembrano più adatte all’utilizzo per murature, con spessori anche oltre i 7 cm.
A queste condizioni nei recuperi si predilige la rimozione totale e la sostituzione con una miscellanea di materiali più lavorabili che non gravino eccessivamente sulla struttura.
Le pietre arrivano quindi frequentemente dalla vicina Svizzera (vallemaggia)è hanno uno spessore medio di 3/4 cm per un peso a mq di circa 4 quintali.
Le piode svizzere sono spesso miscelate con pezzi di recupero provenienti dall’ossola per mantenere il gioco cromatico di chiaro scuri dei tetti tradizionali.
Completano la copertura le parti di lattoneria che nella tradizione sono di lamiera zincata o in piombo. Attualmente il rame è il materiale più comunemente messo in opera.
La lamiera è ormai praticamente inutilizzata, se si eccettua qualche manutenzione di baite ad alta quota, mentre il piombo resiste ancora nella zona di Orta per il recupero di edifici vincolati su volontà precisa degli enti preposti alla conservazione.

Scheda tecnica
Progettista: Massimo Boffino
Luogo: comune di Miazzina (VB)
Committenza: privata
Inizio lavori: ottobre 2004
Fine lavori: maggio 2005
Esecutore opere edili e di carpenteria: Antonio e Cristian Bonori (Verbania – Intra)
Esecutore manto di copertura in piode : Mario Lietta (San Bernardino Verbano – Verbania)
Esecutore lattonerie: Donato Bonori (Verbania – Antoliva)

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