Caratteristiche reologiche e meccaniche del legno

Oltre a questi moduli l’analisi delle caratteristiche meccaniche deve essere completata con i coefficienti di Poisson i quali indicano quale rapporto intercorre tra le variazioni dimensionali nella direzione della forza applicata e nelle direzioni ortogonali.
L’impiego del legno nelle costruzioni impone determinate esigenze in fatto di resistenza meccanica, intendendo con questi due termini il limite fino al quale l’applicazione di una forza non pregiudica l’integrità e la coerenza strutturale ed istologica dell’elemento che si considera.
Seguendo appunto un tale concetto sono state condotte per vari decenni ricerche onde determinare i limiti di impiego delle varie specie legnose nei diversi casi concreti di impieghi strutturali. Il risultato finale al quale si tendeva era quello della determinazione del carico di rottura, e cioè della sollecitazione superata la quale il materiale si disgrega con dislocazioni e frammentazioni più o meno evidenti. Dal detto carico di rottura mediante l’applicazione di un coefficiente riduttivo, detto fattore di sicurezza, si passa poi al carico di sicurezza che serve come base per il dimensionamento degli elementi strutturali.
Tale metodo di affrontare il problema del comportamento del legno sotto carico è invero troppo semplicistico perché si limita a considerare l’evento finale della rottura astraendo del tutto dai vari fenomeni che precedono ed accompagnano la disaggregazione parziale o totale dell’elemento in causa, fatto questo che è palesemente irreversibile. In realtà detti fenomeni avvengono con una gradualità nella quale possono riconoscersi diverse fasi che non sempre però sono nettamente delimitabili, cosicché possono talora verificarsi degli intervalli nei quali la
definizione della fase è incerta, e ciò tanto in relazione al tempo che alle deformazioni. Un secondo rilievo critico sopra le prove compiute fino all’inizio di questo secolo riguarda la mancanza di prescrizioni precise concernenti sia l’umidità posseduta dal legno al momento della prova che la esclusione dei difetti ed anomali e strutturali che possono avere una reale influenza nell’abbassare il carico di rottura.
La concezione moderna è quella che il tecnico non deve unicamente preoccuparsi del limite di resistenza, ma deve conoscere esattamente come si perviene a tale limite, individuando le varie fasi la cui successione determina la rottura.
Lo studio reologico-meccanico sottoposto a sollecitazioni meccaniche è complicato da tre circostanze dipendenti dalla natura del materiale legno e precisamente:
– dall’anisotropia dovuta alla strutturazione del legno le cui unità elementari non sono isodiametriche, ma allungate e disposte con determinati orientamenti in strati concentrici di diversa compattezza;
– dalla frequenza con la quale si presentano all’interno dei tessuti nodi, deviazioni strutturali ed altri difetti che possono venire agevolmente tradotti in modelli di simulazione;
– dalla forte influenza che variazioni di umidità e di temperatura manifestano tanto sulle deformazioni, in stretta dipendenza con moduli di elasticità, quanto sui carichi di rottura, cioè in definitiva sulla resistenza.
– Sottoponendo a prove meccaniche piccoli provini quali quelli prescritti dalle norme nazionali e internazionali, non è possibile giudicare quali deformazioni anomale sono introdotte dai nodi e quale decremento di
resistenza ne deriva negli elementi di una struttura portante.
Oltre a queste circostanze dipendenti dalla natura propria della materia prima, altri fattori possono avere una notevole influenza:
– la velocità di applicazione e durata dei carichi;
– l’eventuale periodicità e alternanza degli stessi.
Nel passato i motivi prudenziali consigliavano di assumere quali carichi di sicurezza delle aliquote molto basse dei carichi di rottura. Grazie al progredire delle conoscenze si possono invece oggi adeguare le riduzioni dei carichi di rottura ai concreti casi pratici.
La deviazione della fibratura costituisce un difetto che si considera secondo quanto appare su una delle facce dell’elemento che si considera, ma in realtà bisognerebbe sempre fare l’osservazione sopra due facce ortogonali (possibilmente radiale e tangenziale) perché oltre a quanto deriva dall’andamento elicoidale della fibratura, visibile su una faccia tangenziale, è da prendersi in esame l’inclinazione dovuta alla rastremazione dei fusti (o alla loro curvatura) che appare invece su di una faccia radiale.
L’influenza negativa della deviazione della fibratura sopra le caratteristiche di resistenza del legno alle varie sollecitazioni meccaniche si traduce con un coefficiente riduttivo Ri.

L’estrema variabilità di grandezza, di forma, di numero, di posizione e di sanità con la quale i nodi si presentano negli assortimenti ricavabili dai fusti arborei impedisce di tradurre in formule matematiche la loro influenza negativa.
Pur costituendo un perfetto raccordo tra i tessuti del ramo e del fusto, nei nodi “vivi”, non significa che detti tessuti siano di identiche caratteristiche istologiche e fisiche. Infatti nella zona periodale le fibre sono generalmente più corte di quelle del legno normale con un rapporto medio di 0,55. Molte fibre oltre a non avere la consueta disposizione parallela si presentano biforcate e con le caratteristiche del legno di compressione se si tratta di conifere e di tensione se si tratta di latifoglie. L’elemento di maggiore influenza sul decremento di resistenza è però da riconoscersi nella forte deviazione delle fibre perinodali che devono stabilire la continuità tra anelli del fusto e anelli del ramo.
Quanto maggiore è il diametro del nodo e tanto più estesa la deviazione della fibratura nel fusto attorno al perimetro del nodo incluso il quale tuttavia per sua aderenza al legno del fusto offre pur sempre una certa
resistenza.
Quando il nodo non è più vivo, ma deriva da un ramo secco, attorno al quale si sono modellati i successivi accrescimenti del fusto, il decremento è più sensibile in quanto il nodo è inserito senza alcun collegamento in una cavità che riduce l’area della sezione resistente.
Oltre alle diminuzioni dimensionali conseguenti alla stagionatura, il ritiro tangenziale porta all’apertura di una o più fessurazioni o fenditure longitudinali che riducono l’area della sezione resistente e, per effetto di una qualche sollecitazione meccanica, possono anche provocare la suddivisione di detta are in parti. Elemento negativo da tenere presente perché può determinare sia un carico di punta, sia un modulo di resistenza alla flessione assai ridotto.
Il legno con alta umidità ha resistenze inferiori a quelle del legno ben stagionato (12% di umidità). Una constatazione del genere induce a precisare la indubbia correlazione tra grado di umidità e resistenze.
Molte sono le proposte che sono state studiate con grafici e tabelle, ed ognuna è basata su determinazioni sperimentali che per l’etereogeneità e l’anisotropia dei vari legni, nonché per i gradienti di umidità che
immancabilmente si verificano negli assortimenti di una certa dimensione, possono presentare una grande variabilità.
Per l’adeguamento delle resistenze all’umidità alla quale gli assortimenti strutturali dovranno effettivamente equilibrarsi si parte per lo più dai valori di resistenza noti per le condizioni di umidità normale e per mezzo di formule o di coefficienti appropriati si arriva a stabilire quali sono i nuovi valori da adottare. Un tale procedimento non è però applicabile per tutto l’arco delle umidità possibili, ma conviene sia limitato tra l’8 e il 18%.

Una prima importante considerazione è quella che oltre una certa umidità percentuale non vi sono più sensibili diminuzioni di resistenza: in altri termini la curva del decremento delle resistenze (escluse la resistenza ad urto dinamico e a trazione trasversale che hanno andamenti irregolari e variabili) per umidità relative elevate mostrano una tendenza asintotica orizzontale.
Recentemente (1986) Matejak e Wilczek hanno pubblicato i risultati di ricerche compiute su piccoli provini (15x15x22 mm) di pino, faggio e quercia sottoposti a cicli ripetuti di immersione in acqua con salinità del
3,5% (corrispondente alla media dell’atlantico) e successivamente essiccati per 8 ore a 70°C.
Per la comparazione una identica serie di prove è stata svolta su provini degli stessi legni immersi in acqua dolce.
I risultati ottenuti da detti ricercatori possono venire cosi sintetizzati:
– la massa volumica allo stato anidro registrata nel corso dei ripetuti cicli di immersione ed essiccazione mostra nell’intervallo tra i primi 6-20 cicli un modesto abbassamento, mentre in seguito presenta un consistente
aumento che è evidentemente da ascrivere ai cristalli di sale formatisi sia nelle cavità cellulari che nella microstruttura delle pareti;
– la resistenza a compressione parallelamente alle fibre mostra un leggero aumento sino a 16-20 cicli presentando poi una sensibile diminuzione la quale tuttavia per le due latifoglie (faggio e quercia) è
minore della diminuzione che si riscontra per i cicli in acqua dolce di entrambe la specie.
In linea generale un aumento di temperatura del legno comporta una diminuzione delle sue caratteristiche di resistenza meccanica, ma non è però possibile formulare delle espressione matematiche valide per tutti i
casi: occorre infatti tener presente la molteplicità dei fattori che influiscono sui rapporti tra legno e calore:
– fattori relativi alla specie legnosa in esame (massa volumica, struttura
istologica eventuale presenza di estrattivi, calore specifico, coefficiente di conduttività termica;
– fattori inerenti alle condizioni di prova (forma e grandezza degli elementi lignei, umidità del legno all’inizio della prova ed umidità relativa dell’aria ambiente);
– fattori relativi alle modalità e alla dinamica delle variazioni di temperatura applicate ai provini.
La prova e la dinamica delle variazioni di temperatura determinano dei forti gradienti tra l’esterno e l’interno dei pezzi che si manifestano contemporaneamente per la temperatura e per l’umidità. Nel caso del
riscaldamento non appena l’aumento di temperatura supera un certo livello, per un certo tempo, intervengono delle diminuzioni di umidità che interferiscono in senso contrario all’influenza del calore: oltrepassati i 105 °C hanno inizio fenomeni di degradazione termica che modificano del tutto il comportamento del legno.

Il comportamento sottoposto a compressione assiale statica può essere descritto dall’esame del diagramma carico-deformazioni di un provino di legno netto, condizionato all’umidità normale del 125, sollecitato a
compressione assiale (lungo la fibratura) semplice, consente di rilevare:
a) un primo breve periodo nel quale la curva mostra una concavità verso l’alto (deformazioni che gradatamente si attenuano). Questa prima fase corrisponde all’adattamento delle duesezioni trasversali del provino alle piastre tramite le quali si esercita la compressione;
b) un periodo successivo (fase elastica) nel quale è valida la legge di Hooke, e cioè la proporzionalità tra sforzi e deformazioni, dimostrata da un andamento rettilineo del diagramma: Se entro tale fase elastica si sopprime completamente il carico, il diagramma mostra una recessione con andamento assai prossimo a quello del carico, pur riscontrandosi una certa isteresi la quale allo scarico totale mostra un residuo finale di deformazione permanente, che peraltro è così esiguo da poter venire praticamente trascurato;
c) il raggiungimento di una determinata sollecitazione cessa la proporzionalità lineare della fase b e subentra una fase visco-plastica nella quale a causa della viscosità del materiale si manifestano in ritardo delle deformazioni che vanno a sommarsi a quelle del puro campo elastico. Si determina così nel diagramma una accentuata concavità verso il basso, il che denota un aumento delle deformazioni assai più rapido che non il crescere del carico fino ad un massimo corrispondente alla reale rottura del provino, dopo il quale il diagramma scende verso il basso con andamento spesso irregolare. Se dopo aver raggiunto e superato il picco di rottura il carico viene soppresso completamente, il diagramma mostra un andamento recessivo che lo porta ad intersecare
l’asse delle ascisse in un punto la cui distanza dall’origine degli assi indicherà la deformazione permanente definitiva.
Nel caso della compressione assiale semplice è relativamente agevole accertare con buona attendibilità i valori del coefficiente di Poisson, vale a dire il rapporto che esiste tra la deformazione (dilatazione) in senso trasversale e la deformazione(accorciamento) in senso assiale.
Se invece di considerare il legno all’umidità normale si procede al carico su legno allo stato fresco, (punto di saturazione delle pareti cellulari >32-35%) la curva carico deformazioni si modifica sensibilmente e cioè la
fase a di adattamento iniziale è più lunga, la fase b di proporzionalità lineare è assai più breve e quella c di deformazione plastica è più regolare e talora con una certa tendenza all’orizzontalità.
La comparazione delle curve carichi-deformazioni per le sollecitazioni di compressione applicate nelle varie direzioni a due serie di provini cubici di 50x50x50 mm di legno di abete rosso aventi peso specifico ad umidità normale 0,42. Le due serie sono formate da cubetti tratti in vicinanza uno dell’altro da un unico tavolone.
La prima serie è stata condizionata ad umidità normale del 12% mentre la seconda è stata portata a totale imbibizione con acqua. La temperatura è stata mantenuta costante tra 20 e 22 °C. Ogni serie comprendeva 12 provini onde avere tre ripetizioni per ogni tipo di sollecitazione.
Mentre per la sollecitazione assiale il carico di rottura è chiaramente identificabile nel picco al termine della fase elastica, nelle sollecitazioni trasversali manca un punto nel quale si possa riscontrare una vera rottura: alla fase plastica segue un tratto le deformazioni aumentano senza che ci sia un corrispondente carico applicato.
Nelle sollecitazioni trasversali è evidente che quella nella direzione diagonale rispetto agli anelli provoca deformazioni maggiori che non nelle altre due direzioni (tangenziale e radiale). Approssimativamente può ritenersi che rispetto al carico di rottura a compressione assiale, il limite di schiacciamento per sollecitazioni radiale e tangenziale si raggiunga, ad umidità normale.
L’influenza dell’umidità è notevole: tra lo stato di umidità normale e quello di imbibizione si può valutare che le resistenze stiano nel rapporto di circa 2 ad 1 per tutte le direzioni di sollecitaoni.
Con l’ausilio del microscopio polarizzatore e del microscopio a scansione possono venire evidenziati due fatti:
– in prossimità del carico che determina la rottura con dislocazione delle parti la cellulosa delle fasce di clivaggio perde, almeno parzialmente, la sua cristallinità;
– il luogo geometrico delle deformazioni di parete delle singole celle è un piano formante con l’asse longitudinale di fibratura un angolo che si mantiene costantemente tra 50 e 70°. Talvolta si tratta di un piano
unico che attraversa da parte a parte le pareti contigue di due cellule, tal altra compare una coppia d  piani formati come una V il cui vertice si trova in corrispondenza del margine della parete terziaria, oppure di
una coppia di piani incrociati a guisa di X con il nodo situato nella lamella mediana cementante le pareti di due cellule contigue. Con il crescere del carico la deviazione nell’ambito delle pareti cellulari affiancate si trasforma in una vera ripiegatura che con la sua prosecuzione da una cellula all’altra rende visibile ad occhio nudo il
luogo geometrico anzidetto. Questo è sostanzialmente un piano di scivolamento perché con la continuazione del carico la parte superiore del pezzo tenderebbe a scendere verso il basso seguendo la sua traccia.
A tale piano si può attribuire la denominazione di piano di clivaggio o, meglio, di fascia di clivaggio dato che tra i margini della ripiegatura è sempre inclusa una ristretta zona con i bordi approssimativamente paralleli.

Nei riguardi dei nodi è ovvio che la loro influenza sulla resistenza a compressione sarà tanto più deleteria quanto maggiore è l’aliquota da essi occupata in una data sezione trasversale.
Il massimo decremento nella resistenza a compressione assiale si verifica quando i rami determinanti i nodi sono inseriti a palchi regolari, come per l’abete bianco, del pino strombo e dell’araucaria.
In corrispondenza di detti palchi la sezione netta è infatti ridotta al minimo.
Anche per le fenditure e fessurazioni longitudinali la valutazione indiretta del decremento di resistenza da esse provocato può avvenire secondo le varie norme.
La velocità con la quale viene applicata la sollecitazione di compressione assiale statica non appare avere una sensibile influenza sul limite di rottura mentre viceversa la durata di applicazione, pur senza intervenire in modo determinante sulla deformazione anelastica, può manifestare una importante partecipazione nell’abbassamento di detto limite: in via di accettabile approssimazione considerare i coefficienti riduttivi per la resistenza a flessione.
Il carico di punta è definito come l’intervento di sforzi aggiuntivi di flessione, direttamente correlati con la lunghezza l dell’elemento soggetto a compressione e con il momento di inerzia j nella sua sezione trasversale s. Più precisamente si è assunto come elemento determinante il grado di snellezza λ definito dal rapporto λ=l/ρ nel quale
ρ rappresenta il raggio di inerzia minimo della sezione s, essendo
ρ=√j/s. Una volta che sia stato definito il valore del grado di snellezza sitratta di scegliere un valore adeguato del coefficiente ω da applicare perla maggiorazione del carico, o del suo inverso 1/ω in base al qualeridurre il carico di sicurezza a compressione semplice.

In molte costruzioni in legno, particolarmente se di carattere temporaneo, si fa spesso ricorso a pilastri e puntoni composti da più elementi collegati tra di loro mediante chiodi o bulloni, assai più rado con incollaggio. La determinazione del momento di inerzia e del relativo raggio di inerzia non presenta alcuna difficoltà teorica una volta che siano conosciute dimensioni e posizione reciproca dei vari elementi costitutivi, ma è chiaro che per l’assetto ed il comportamento non perfettamente rigido dei chiodi e dei bulloni dentro le relative sedi, il
momento d’inerzia effettivo sarà minore di quello teorico, il che comporta un corrispettivo aumento della sollecitazione unitaria.
Un caso particolare di compressione assiale che si riscontra di frequente nelle strutture in legno è quello della verifica quando l’area di contatto tra l’elemento che esercita la compressione (pressore) e l’elemento che
deve sopportarla (per es. il basamento di colonna) è minore della sezione trasversale del secondo trovandosi, rispetto a questo, in posizione del tutto interna oppure marginale. A prima vista potrebbe apparire trattarsi di una sollecitazione di vero scorrimento nella direzione della fibratura, estesa a uno, due o tre lati del perimetro del
pressore o a tutto il perimetro, ma in realtà la sollecitazione è più complessa perché la base inferiore dell’elemento sollecitato è sempre appoggiata su di un piano e manca pertanto la piena libertà di
scorrimento in corrispondenza dei margini del pressore. Né, del pari, questo tipo di sollecitazione può assimilarsi del tutto alla penetrazione perché ci si limita qui alla fase dello sforzo di penetrazione ed inoltre,

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