Architettura in movimento

Strade d’acqua e recapiti urbani
È sempre più evidente che la “mobilità” ha assunto, nella parte d’Europa a più avanzata infrastrutturazione, un ruolo dominante, partecipando a modificare abitudini di vita e di consumo, ponendo rilevanti ripercussioni sulla trasformazione di assetti insediativi consolidati arrivando, a determinare gravi conseguenze sulla qualità dell’ambiente fisico e preoccupanti effetti sulla salute pubblica e individuale. La mobilità è passata in Europa da una media di 17 km al giorno per persona negli anni ’70, ai 35 km del 1998. Tuttavia, più dell’aumento quantitativo assoluto, appare ancor più significativo lo squilibrio che, progressivamente, si è verificato nella crescita tra i diversi modi di trasporto. Il predominio della modalità “su gomma” è, oggi, assoluto e incontrastato, sia nel comparto passeggeri (quello di cui ci occupiamo in questa sezione) che in quello delle merci, con una quota percentuale del 79% rispetto al 5% del trasporto aereo e del 6% per le ferrovie. Ad un parco macchine che in trent’anni si è triplicato e che aumenta annualmente, di circa 3 milioni di unità, fa da sfondo la previsione di un ulteriore aumento del 50% del traffico (previsto per il 2010 rispetto ai già insostenibili livelli del 1998) e la prospettiva che, l’ormai prossimo allargamento comunitario ad est, aggiungerà significativi aumenti nel volume di traffico complessivo.
Nel contempo, questa diffusa mobilità, esprimendosi più, entro corridoi selezionati sta riconfigurando la geografia delle relazioni continentali, produce, nello stesso tempo, nuovi ambiti transnazionali con fortissima attrazione gravitazionale e regioni di nuova periferizzazione.
Nei primi, si verificano fenomeni di progressivo congestionamento (segni di un’imminente paralisi); nei secondi, si annunciano processi di emarginazione (avvisi di esclusione dai nuovi centri gravitazionali e dai mercati privilegiati).
Pur nelle specifiche differenze, alcuni importanti ambiti continentali, come il Randstad olandese, il bacino della Ruhr, la regione parigina, l’area urbana della grande Londra e la Lombardia pedemontana, appaiono da un lato, i nuovi fuochi della gravitazione continentale, dall’altro, i luoghi della crescente congestione infrastrutturale. Nel caso della Lombardia, si tratta di una regione dalle dimensioni limitate, ormai prossima al collasso, per la quale i dati più recenti sulla mobilità, mostrano un quadro allarmante, che richiede interventi correttivi: 5,7 milioni di lombardi si spostano ogni giorno per complessivi 15 milioni di spostamenti, in auto (che rimane il mezzo di trasporto più utilizzato per la mobilità extraurbana -82%) e con solo l’1,5% degli automobilisti che interscambia con il trasporto collettivo. I dati analoghi (che potremmo elencare per le altre regioni citate) fanno pensare che si tratti di un processo continentale, apparentemente ingovernabile, in cui alla costante crescita della domanda, fa riscontro il progressivo abbassamento dei livelli di prestazione (oltre 7.500 km di strade pari al 10% dell’intera rete europea sono, quotidianamente, soggette ad ingorgo), elevatissimi costi per le nuove infrastrutturazioni e la necessità di sempre maggiori trasformazioni (che rischiano di mettere definitivamente in pericolo la struttura fisco-ambientale di un continente fortemente artificializzato e già compromesso in molte sue parti ogni giorno in Europa 10 ettari di terreno vengono ricoperti da infrastrutture stradali).
Certamente, senza urgenti azioni correttive, sia la grave congestione dei maggiori assi europei, sia i risvolti negativi sulla salute pubblica (ben l’84% delle emissioni di CO2 sono imputabili al trasporto su strada e ai ritmi di incremento attuali si prevede di passare nel 2010 dalle attuali 739 milioni a 1,113 milioni di tonnellate di emissioni nell’atmosfera) sia, infine, le implicazioni nei confronti di delicati assetti insediativi consolidati, paiono destinati ad ulteriori e forse decisivi aggravamenti. È necessario, pertanto, avviare, in tempi rapidi, una strategia di riequilibrio e ripartizione tra i diversi mezzi di trasporto, oggi, scarsamente integrati, attraverso, il contemporaneo, rilancio delle ferrovie (si veda il numero 34 di questa rivista), l’ottimizzazione del trasporto aereo e un nuovo sviluppo del trasporto marittimo, lacustre e fluviale. Ma soprattutto, è necessario che l’intermodalità svolga, nei prossimi anni, un ruolo primario (lo sviluppo del trasporto combinato è, oggi, fermo al 6%) al fine di integrare al meglio il legame tra le diverse modalità del trasporto agenti su terra, ferro e acqua (a tal proposito la commissione europea prevede di attuare un riequilibrio attraverso politiche d’investimento in infrastrutture destinate alle ferrovie, alle vie navigabili interne fluviali e lacustri, ai trasporti marittimi a corto raggio).
Così, a fianco del rilancio strategico delle ferrovie (avviato, con qualche difficoltà, dai progetti comunitari, in particolare attraverso il progetto Ten-T) è necessario procedere allo sviluppo, contemporaneo ed integrato degli altri “modi”, le autostrade del mare ad esempio (sistemi assimilabili alle ferrovie e alle autostrade), lo Short Sea Shipping, le Inland Waterways, il trasporto lacustre locale e l’ottimizzazione del trasporto aereo regionale.
In particolare, il trasporto fluviale, lacustre e marittimo, per lunghi secoli, la principale modalità di connessione e collegamento per l’intera Europa che ha determinato importanti scelte localizzative, il consolidamento di connessioni privilegiate ed elevati livelli di infrastrutturazione (canali, porti, stazioni, banchine, approdi ecc) appare, oggi, particolarmente depresso rispetto alle potenzialità intermodali. Ciò diviene ancor più urgente per l’ambito lombardo, una regione ormai al limite del collasso che necessita di un’azione di riequilibrio che rivaluti tutti i diversi “modi” di trasporto e potenzi l’intermodalità.
Qui, infatti, più che altrove, la natura del territorio, la grande densità abitativa, la polverizzazione della struttura insediativa, la pesante compromissione della paesaggio naturale e l’ormai assoluta scarsità di suolo, rendono necessario il potenziamento di modalità sotto utilizzate come il trasporto ferroviario regionale (che vede, oggi, l’esistenza di alcuni tratti sotto utilizzati, non elettrificati e a unico binario), il trasporto fluviale (per il quale si potrebbe prevedere un sistema di Inland Waterways costitute dai canali e navigli già esistenti che potrebbero costituire un interessante, quanto economico, sistema di accesso a Milano e un suo collegamento con alcuni ambiti densamente edificati) e infine, il traporto lacustre locale. Quest’ultimo, in particolare, risulta, oggi, del tutto inadeguato rispetto alle sue potenzialità di efficiente servizio locale passeggeri, caratterizzato da economia di esercizio, bassissimi livelli di inquinamento e facilità d’interscambio con altri modi di trasporto pubblico (ferrovia e trasporto pubblico locale). Basti considerare che, mentre su gran parte delle strade che costeggiano i maggiori laghi lombardi si verificano livelli inaccettabili di congestionamento, spesso, il traffico lacustre non va oltre alle rare corse giornaliere destinate al trasporto stagionale dei turisti. Significativo, in questo senso, il caso del Lago di Como/Lecco, in cui, pur in presenza di ambiti densamente congestionati, ormai al limite del collasso, caratterizzati da pesante traffico locale su strade prevalentemente rivierasche, si verifica la quasi totale mancanza di utilizzo strutturato di questa modalità di trasporto pendolare. Certamente una tale azione di riequilibrio, non può essere disgiunta da adeguate politiche di incentivazione e da una tariffazione integrata tra i diversi modi, così come non può verificarsi senza una coerente progettazione degli di spazi che dell’interscambio devono essere i supporti.
Questo numero presenta, un caso sperimentale di studio per lo sviluppo della mobilità alternativa, nel quale s’inserisce il progetto della nuova stazione lacustre di Lecco. L’esperimento, inquadrato entro il più ampio obiettivo del riequilibrio modale dei trasporti di cui si è scritto in precedenza, si pone quale declinazione locale di una strategia d’azione globale.
Questa strategia di sviluppo intermodale pone, il nodo infrastrutturale, al centro dell’interesse progettuale, in quanto luogo determinante e risolutivo.
Il nodo è, infatti, il punto in cui è massima la mobilità, in cui si registra la maggior densità di traffico, in cui è più elevato il livello d’interazione tra le diverse reti e, infine, il punto in cui si realizza la possibilità d’ingresso alle reti specializzate (come nel caso di stazioni ferroviarie, fluviali e lacustri, terminal, interporti ecc.).
Nodo infrastrutturale intermodale, stazione/terminale dell’interscambio, il progetto esprime, allo stesso tempo, un caso esemplificativo e strategico di una futura rete lacustre per il trasporto passeggeri.

CONCORSO: un’infrastruttura per la città contemporanea
Qual è il ruolo che le infrastrutture per la mobilità possono svolgere nella città contemporanea? È possibile investire questi spazi dei significati simbolico-rappresentativi propri di ogni spazio pubblico tradizionale?
Quale il ruolo della componente tecnologica nella progettazione di queste infrastrutture?
A questi interrogativi fondamentali ha cercato di dare risposte un importante esperimento progettuale formulato in forma di concorso di idee che ha interessato gli studenti del I anno del Corso di laurea di Architettura ed Edilizia della VI Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Milano e che ha visto la partecipizione a diverso titolo, di Università, della rivista Recuperare l’Edilizia, del Comune, della Provincia e della Camera di Commercio della provincia di Lecco.
Tema del concorso, la progettazione della nuova stazione lacustre di Lecco. Una piccola infrastruttura urbana, cui si è inteso dare un significato esemplificativo e generalizzabile, a tutte quelle piccole infrastrutture legate alla mobilità che, sempre di più, connotano lo spazio urbano contemporaneo.
Ciò al fine di dimostrare che il progetto delle infrastrutture per la mobilità rappresenta, per la nostra complessa contemporaneità, un tema architettonico privilegiato e non un problema di dotazione tecnica-prestazionale.
Nuova porta d’accesso alla città, approdo dall’acqua e caposaldo simbolico per la strada che, dalla Valtellina, costeggiando il lago, entra in città, la nuova stazione è collocata in un punto strategico della struttura urbana di Lecco, in sostituzione del vecchio e ormai inadeguato edificio esistente e in prossimità della centralissima Piazza Cermenati. La sua appartenenza allo straordinario profilo urbano che ritagliandosi sullo sfondo delle montagne sovrastanti si riflette nel lago, la pone, quale segno primario di orientamento urbano, in relazione diretta con la dominante componente paesaggistica.
Si tratta di un piccolo edificio polivalente, nel quale, le funzioni ricreative e commerciali che si affiancano a quelle più tradizionali di attracco dei battelli, ne connotano il valore civile.
La ricerca tecnologica indirizzata alla sperimentazione di modalità costruttive innovative svolge un ruolo caratterizzante, sia come contenuto proprio dell’architettura delle infrastrutture, sia come risposta agli inderogabili interrogativi posti all’architettura dalla contemporaneità: la sostenibilità ambientale, l’ottimizzazione nell’uso delle risorse non rinnovabili e l’efficienza energetica.
Il concorso affrontato (di cui di seguito sono presentati i progetti vincitori) ha assunto, così, i toni di una sfida progettuale avvincente, tecnologicamente avanzata in grado di offrire un punto di vista propositivo, che confida nelle possibilità del progetto di orientare le complesse trasformazioni contemporanee verso esiti qualitativi.

Massimo Tadi

1° classificato: Marta Longhi e Francesca Mainetti – foto 1, 2, 3
Il progetto interpreta la nuova Stazione per i battelli di Lecco non solo quale elemento infrastrutturale rispondente a funzioni trasportistiche ma assume anche valenza architettonico-formale divenendo non solo un nuovo riferimento all’interno dell’area urbana circostante, ponendosi in asse a Via Parini, ma nuova porta d’accesso dal lago al centro cittadino. Sintesi di un complesso sistema di relazioni, ridefinisce i rapporti tra le condizioni di contesto, lo spazio aperto della passeggiata e il lago in un misurato sistema dispositivo. La struttura architettonica, collocata completamente in acqua, si avvale di un alto livello di tecnologia costruttiva utilizzando elementi tecnologici complessi, i pannelli fotovoltaici in copertura, in grado di soddisfare esigenze di basso consumo energetico.
Coerenza costruttiva e pochi elementi architettonici riescono a coniugare ragioni/esigenze tecnico-prestazionali con una ritrovata caratterizzazione formale ed espressività architettonica che unite alla sostenibilità ambientale, all’attenzione per le risorse non rinnovabili costituiscono alcuni nodi problematici per la progettazione urbana contemporanea.

Nadia Meroni

2° classificato: Gabriele Lobaccaro, Marcello Pari e Rachele Perego – foto 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10
La proposta progettuale nasce da una attenta riflessione intorno alla natura del luogo oggetto del concorso.
La puntuale lettura delle soglie urbane interne alla città di Lecco, il delicato rapporto esistente tra la naturalità del lago e l’artificialità dell’abitato, la ricerca di una necessaria interazione tra diverse scale operanti, hanno portato alla definizione di un progetto di imbarcadero che presenta i seguenti punti programmatici:
– volontà di chiusura dell’emiciclo naturale esistente
– volontà di proseguire l’asse di via Giuseppe Parini, al fine di rivalutare l’importanza che questa connessione assume nell’impianto urbano della città
– necessità di segnare questo luogo-soglia con un manufatto capace di interpretare il ruolo di porta urbana
– volontà di attribuire a questa porta un valore civico collettivo riconoscibile.
Le strategie operate hanno inciso sulla reciproca interazione delle forme, alla ricerca di un equilibrio dinamico, capace di evocare il macchinismo tipico delle infrastrutture, senza però indulgere a falsi mimetismi o sguaiate citazioni. La ricerca di una articolazione spaziale, operata in sezione oltre che in pianta, ha contribuito a interpretare le forti tensioni di uno spazio-soglia-limite.

Daniele Vanotti

3° classificato: Beatrice Rossi, Paola Schinelli e Giulio Zani – foto 11, 12
Il progetto fonda la sua matrice insediativa nella declinazione del rapporto acqua-terra.
La stazione lacustre si articola in due corpi indipendenti differenziati sia nelle scelte tipologiche che in quelle formali:
il primo corpo, articolato su due livelli, con bar e tavola calda, è concepito come un volume monolitico ancorato al suolo; il secondo, che accoglie la biglietteria, la sala di attesa, gli uffici ed il pontile di attracco dei battelli, è invece una piastra galleggiante (ancorata al suolo solamente attraverso una passerella) la cui definizione spaziale è generata da una composizione neoplastica di piani, caratterizzati da differenti tessiture materiche (legno, vetro, pietra).
La disposizione planimetrica dei corpi segue due differenti giaciture.
Il corpo alto si dispone ortogonale alla passeggiata del lungo lago, definendone quindi il nuovo margine occidentale, diversamente dalla piastra galleggiante ortogonale al tracciato di Via Parini, di cui diviene prosecuzione ed elemento terminale.
Il rapporto acqua-terra così generato non è tuttavia declinato in modo univoco.
Da una parte infatti la stazione è concepita come un elemento proteso nel lago, prosecuzione del suolo urbano; dall’altra come un recinto che racchiude ed “addomestica”una porzione di lago, rendendolo fruibile grazie al ridisegno della sponda con una sezione gradonata.

Marco Camplani

1° menzionato: Davide Limonata e Ilaria Riva – foto 13, 14
2° menzionato: Claudio Nasetti, Francesco Mattei e Fabiano Rosa – foto 15, 16
Abilità rappresentativa e corretto approccio metodologico, caratterizzano i progetti menzionati.
Nel primo la grande copertura, definisce lo spazio in cui avviene lo scambio tra terra e acqua, radicandosi nel lago mediante una struttura che si mostra come porta ed elemento regolatore dei rapporti mentre dall’altro lato due ritti la tengono in equilibrio con un sistema di dispositivi architettonici, capaci di instaurare nuovi principi dispositivi quali sintesi costitutiva del contesto.
Un principio insediativo ancorato alle dinamiche locali che dimentica, forse, gli aspetti correlativi tra i diversi livelli d’artificialità dello spazio architettonico.
Il secondo, invece, si relaziona criticamente al contesto strutturando un luogo capace di rapportarsi simultaneamente alla scala urbana, tramite l’orientamento e gli affacci della stazione e alla grande scala, il lago, mediante il prolungamento della linea di costa esistente, drammatizzandone il rapporto e definendosi forse impropriamente, quale arrivo della dialettica della forma.

Stefano Giavazzi

L’ultimo comballo: storia del porto di Lecco
Lo sviluppo della navigazione fluviale e lacustre, di origini antichissime, è indissolubilmente legato all’evoluzione storica degli assetti insediativi nel territorio Comasco e Lecchese. Se ne ha memoria dall’epoca Romana quando, si suppone, Cesare, nel 59 a.c., insediò in Como un gruppo di coloni provenienti dalla Magna Grecia. Questa comunità fu la prima ad usufruire delle vie d’acqua come mezzo di trasporto e comunicazione tra le genti dando anche il nome alle imbarcazioni, la più importante, il Comballo (dal greco kumballon, navicella), in uso sino al secolo scorso per il trasporto merci, in origine trasportava i rifornimenti per le truppe in “servizio” nella Gallia Transalpina. I luoghi di approdo andavano costituendosi la dove la conformazione geomorfologia delle sponde lacustri li rendeva particolarmente agevoli e negli insediamenti costieri, luogo di raccolta dei prodotti delle vallate retrostanti. Durante le dominazioni straniere, in epoca Medievale si registra un progressivo incremento degli incentivi destinati alla riorganizzazione della navigazione e dei suoi punti di approdo indispensabili alla regolazione dei flussi di merci, persone ed animali, dai Paesi Transalpini verso Roma.
In particolare, l’intensità del traffico fluviale da Lecco per Milano raggiunge il suo apice, dopo l’unità d’Italia e con la navigazione a vapore, nel 1883 stimando un movimento di merci della media annuale di 108.000 tonnellate. Il porto di Lecco, collocato nell’attuale Piazza Cermenati, punto terminale del Lario, costituiva un approdo privilegiato, nodo d’interscambio tra la pianura milanese, l’alto lago e le valli montane in cui confluiva settimanalmente, in concomitanza col mercato cittadino, un intenso traffico di merci. Il secondo conflitto bellico mondiale, la mancanza di fondi per interventi di manutenzione straordinaria alle attrezzature e il cambio delle strategie di trasporto dei flussi turistici, hanno determinato un differente utilizzo dell’area di approdo e il ruolo del porto di Lecco, sempre più ridimensionato, sino ad assumere la configurazione attuale. Ancora una volta nuove necessità, attività ed una maggiore sensibilità ad uno sviluppo sostenibile ci stimolano a ricercare un nuovo assetto in grado di valorizzare e risolvere non solo un problema tecnico prestazionale ma anche architettonico complesso ed affascinante: le nuove infrastrutture legate alla mobilità, in particolare che la navigazione e la sua storia, da sempre offre.

Giancarlo Alderighi, professore a contratto, VI Facoltà di Ingegneria – Polo di Lecco

Intervista a Giuseppe Turchini, Professore e Preside della VI facoltà di Ingegneria di Lecco
La Ia edizione del “Concorso d’esordio”, i cui risultati vengono illustrati in queste pagine, è stata svolta all’interno del corso di laurea di Ingegneria Edile-Architettura di cui è preside il Prof. Turchini, di cui riportiamo a seguito un’intervista, in cui vengono illustrati gli scopi prefissi e gli interessanti risultati ottenuti dalla dinamica VI Facoltà di Ingegneria di Lecco

D. In quali anni è stata istituita? Quali sono gli scopi che essa si prefigge di raggiungere, con quali tempi e quali le differenze negli obiettivi, rispetto alla blasonata sede milanese?
R. Rispondendo, devo fornire qualche precisazione.
L’insediamento del Politecnico a Lecco risale ai primi anni ’90.
Nei primi anni si svolgevano nella nuova sede alcune ripetizioni di corsi di laurea attivati a Milano. I primi corsi di studio indipendenti sono stati quelli di Diploma Universitario, e quindi, a partire dal 1996 i corsi di laurea in Ingegneria meccanica, civile ed edile. Nel 1998 è stato attivato il corso di Laurea in Ingegneria edile-architettura che era ed è rimasto presente solo nella sede lecchese. In seguito, nel 2000, la decisione di suddividere la storica Facoltà di Ingegneria in Facoltà tematiche ha fatto nascere le attuali sei Facoltà di Ingegneria: la sesta è stata denominata Facoltà di Ingegneria edile-architettura ed è attiva dalla fine del 2001. La Facoltà, che, come di tutte le altre ha la sede della presidenza a Milano Leonardo, comprende attualmente il corso di laurea in Ingegneria edile (laurea + laurea specialistica) che si svolge a Milano, il corso di laurea in Edilizia (triennale) a Lecco e il corso di laurea in Ingegneria edile-architettura (quinquennale) a Lecco.

D. Nell’ambito della sempre maggior “tecnicizzazione”, specializzazione e professionalità che la nostra epoca dedica alle diverse tipologie lavorative, la Sua Facoltà mira alla formazione dell’ingegnere-architetto, una figura del tutto nuova rispetto alle tradizionali figure dell’ingegnere e dell’architetto. In che cosa consiste? Quali, le sue differenze, rispetto alle più note figure dell’architetto e dell’ingegnere, che, nell’aneddotica universitaria vengono così spesso contrapposte?
R. Il progetto formativo della figura professionale dell’ingegnere architetto è nato sulla base dell’idea che fosse non solo possibile ma anche utile fondere le tradizionali competenze e quindi anche la formazione dell’ingegnere civile ed edile e dell’architetto. La figura non può essere definita del tutto nuova: viene in mente l’ingegnere architetto dell’800 e la relativa storia, prima della nascita delle moderne Facoltà di Architettura. Ma negli ultimi anni il problema si è posto in modo diverso: non credo che sia più accettabile l’idea o lo stereotipo di un ingegnere, tutto tecnica e razionalità, incapace di atteggiamenti creativi contrapposta a quella dell’architetto, tutto storia e invenzione, incapace di decisioni e attività tecnico economiche razionali. È vero che nei modelli formativi tradizionali prevalgono gli insegnamenti di carattere tecnico scientifico per gli ingegneri e quelli storici umanistici per gli architetti.
Ma esiste una reale impossibilità di convivenza nella formazione tra questi aspetti? Perché mai una buona preparazione di base in materie scientifiche dovrebbe limitare la possibilità di studiare la storia o di imparare le metodologie e le regole della composizione architettonica?
O, al contrario, perché mai chi impara a disegnare e rappresentare l’architettura e si prepara a intervenire criticamente e creativamente nella realtà della città e del territorio non dovrebbe utilizzare al meglio, conoscendole, le strumentazioni mentali e metodologiche che le discipline scientifiche mettono a disposizione?
Così, sulla base della Direttiva UE 384/85, è stato progettato e attuato il progetto formativo in Ingegneria edile architettura che oggi è presente in 15 sedi universitarie italiane, con regolamenti quasi del tutto identici fra loro.
Questi corsi di studio hanno avuto diffusamente successo sia per il numero di studenti che vi afferiscono, sia per il livello qualitativo di preparazione dei laureati.

D. A tutti è ben noto il peso del mondo imprenditoriale e dell’impresa all’interno delle dinamiche economiche dell’area Lecchese.
È possibile parlare e, in caso affermativo, in che misura, di interazione tra il mondo dell’impresa e la realtà universitaria del Politecnico di Lecco che Lei è chiamato a guidare?
R. Il modello rete messo a punto dal Politecnico negli anni scorsi, che ha portato alla nascita dei Poli Regionali di Como e di Lecco e delle sedi di Cremona, Mantova e Piacenza, si è basato in generale per la definizione dei corsi da attivare, sulla consultazione e sulla collaborazione con il territorio e con le sue risorse culturali e produttive. Per quanto riguarda Lecco, ad esempio, la scelta di investire sui corsi di Ingegneria meccanica, ingegneria logistica, ingegneria civile e ingegneria edile architettura è derivata da una stretta collaborazione, in fase istitutiva e ora in fase di accreditamento, con le rappresentanze del mondo produttivo industriale e culturale lecchese. In fase invece di organizzazione e conduzione dei corsi di insegnamento, sono assai vive e proficue le collaborazioni con il mondo imprenditoriale, soprattutto per quanto riguarda, nel nostro caso, con i produttori di materiali, componenti e sistemi per l’edilizia. Grazie a questa collaborazione, tradotta sia in seminari integrati nei programmi dei corsi, sia in sponsorizzazione di azioni didattiche speciali, sono nate alcune delle iniziative più significative come il Premio Città di Lecco, premio internazionale a progetti di studenti di università italiane, francesi, tedesche, cinesi e coreane, e per il futuro si profila la possibilità molto concreta di avere sia borse di studio per Dottorati di ricerca, sia borse di Docenza in forma di Cattedre convenzionate.
Val la pena anche di ricordare altre forme di didattica meno note, nelle quali l’interazione università-impresa diventa essenziale: mi riferisco a corsi IFTS, di formazione e avvio al mondo del lavoro, organizzati e svolti con associazioni imprenditoriali e ai cori Master universitari dove il mondo dell’impresa è abbondantemente presente sia nella didattica sia nella gestione dei periodi di stage-tirocinio. Il tirocinio inoltre, mano a mano che entra in funzione la 509, la legge di riforma universitaria, diventa una parte importante del nuovo modello formativo, e può essere gestito in modo utile ed efficace solo con la collaborazione delle forze professionali e produttive operanti nei territori interessati alla presenza universitaria.

D. Sappiamo che l’attuale sede di Lecco è provvisoria e che presto una nuova e prestigiosa collocazione Vi accoglierà in forma definitiva; se non sbaglio, si tratta di un importante recupero, da Lei curato. Ci può parlare in anteprima di questo progetto ed indicarci in che modo questa occasione è diventata luogo di sperimentazione applicata?
R. È vero, esiste oggi un progetto avanzato relativo alla nuova sede del Politecnico a Lecco. Il progetto è nato sulla base di un accordo di programma tra il Politecnico, il Comune di Lecco e la Regione Lombardia e prevede l’insediamento del Politecnico nell’area dell’ex ospedale, che è un’area centrale e di grande importanza nel ridisegno urbano della città.
Si tratta, in effetti, di un intervento parzialmente di recupero, in quanto si è concordato, a seguito di una felice collaborazione con la Sovrintendenza della regione, di recuperare integralmente gli edifici più significativi del vecchio ospedale, e precisamente il corpo centrale affacciato sulla via Ghislanzoni e i bracci della struttura a pettine di tipica impronta tardo ottocentesca. In questi edifici recuperati troveranno posto le sedi del rettorato e delle presidenze, le segreteria studenti e docenti, alcune aule di insegnamento di dimensioni adeguate agli spazi esistenti, ed infine uffici e spazi di ricerca dipartimentali.
Nella stessa area sorgeranno anche edifici nuovi ben integrati con quelli recuperati nei quali saranno ospitate le aule didattiche di maggiori dimensioni, i laboratori didattici e di ricerca, la biblioteca, l’aula magna e gli spazi per gli studenti (per studio e per l’elaborazione di tesi) oltre, naturalmente a tutti servizi integrati. È naturale che si siano posti molti e ambiziosi programmi di sperimentazione, alcuni dei quali saranno forzatamente ridimensionati: in linea di massima direi che gli obiettivi più importanti saranno legati da un lato a sperimentare una vera integrazione tra edifici esistenti e nuova edificazione in termini spaziali, funzionali e architettonici; dall’altro punteremo molto sulla sperimentazione di tecnologie innovative sia di carattere costruttivo sia di carattere impiantistico, nella direzione della sostenibilità energetica e ambientale che caratterizza, peraltro, molti programmi di insegnamento del corso di laurea in Ingegneria edile architettura di Lecco.

D. Infine, professore, da una recente indagine occupazionale, è emerso che il 96,2% dei laureati e diplomati presso il Polo di Lecco nell’anno 2002 risulta, ad un anno di distanza, aver trovato un’occupazione congrua al tipo di laurea conseguita e che il tempo medio di attesa, si attesta intorno ad un mese.
Un risultato sorprendente se confrontato con analoghi dati nazionali, si può parlare, a Suo parere, di una via lecchese all’università?
R. I dati rilevati circa la collocazione professionale dei laureati di Lecco sono effettivamente molto positivi, direi molto confortanti circa le scelte effettuate dal Politecnico. Devo dire però che questi lusinghieri risultati sono possibili grazie ad alcune condizioni particolari che sono state ben interpretate: prima di tutto segnalerei il grande sviluppo produttivo, economico e industriale del territorio lecchese. È evidente che in un’area dove la disoccupazione e ben al di sotto dei limiti fisiologici italiani ed europei si è formata una vera “fame” di laureati ingegneri, che viene soddisfatta solo parzialmente dai nostri laureati. In secondo luogo, mi sembra che si colgano i frutti di una politica di investimento didattico basata, come si diceva prima, su una stretta collaborazione con i tessuti produttivi del territorio.
Non voglio dire che si producono solo laureati su misura per le richieste del mondo del lavoro locale, perché è ben presente in noi l’idea che il mercato futuro dei nostri laureati deve essere potenzialmente assai più ampio, deve essere il mercato dell’Europa, nel quali i nostri studenti dovranno competere con il colleghi di tutte le altre nazionalità.
Però è anche vero che lavorare in Università con il sostegno diretto e vivace, espresso in una domanda di formazione alimentata dalle necessità del territorio, è una condizione straordinaria di stimolo che qui, a Lecco, sentiamo con una precisione e una immediatezza che forse in altre sedi sono meno sensibili.

a cura di Franck Nolesini

Approdi. architettura dei nodi lacuali di interconnessione
Gli approdi lacuali costituiscono una delle numerose forme che assumono i nodi infrastrutturali urbani. Essi sono generalmente di piccola dimensione ma in alcuni casi possono assumere una maggiore complessità, in presenza di interconnessioni tra reti infrastrutturali diverse, ad esempio tra via ferrata e via d’acqua. Dal punto di vista delle figure di regolazione dello spazio urbano ed architettonico, essi possono essere assimilati, per ruolo, alle antiche porte urbane.
La “porta” infatti costituisce l’archetipo del principio di demarcazione, dispositivo spaziale di separazone ed insieme connessione tra interno ed esterno urbano, intercettando da una parte e dall’altra i flussi e gli scambi ovvero agendo da nucleo scambiatore tra linee e apparati di interconnessione. In questo specifico caso, la linea che separa acqua e terra, vera e propria soglia di demarcazione tra ambiti spaziali diversificati, mutevole nelle varie stagioni, si solidifica nel punto dell’approdo, che si pone in rapporto con i principali percorsi urbani. Esso è caratterizzato tipologicamente da pochi elementi quali il pontile (principio di connessione), il piccolo edificio, a volte semplice tettoia, che ospita un luogo per la sosta ed il riparo dei passeggeri, una biglietteria, a volte un’edicola o un piccolo esercizio commerciale e dagli apparati tecnici di ormeggio dei natanti.
La piccola dimensione di questi nodi infrastrutturali non corrisponde però ad una loro scarsa importanza nel contesto del paesaggio antropogeografico, perché questi spazi del transito costituiscono ancor oggi dei luoghi notevoli del contesto urbano, essendo inseriti o nelle piazze principali o nei porticcioli o sulle passeggiate a lago dei centri abitati in punti privilegiati, estattamente corrispondenti alla trama dei percorsi urbani principali.
Essi fino alla metà del secolo diciottesimo assumevano il ruolo di luoghi di approdo privelegiati agli insediamenti rivieraschi, essendo le strade litoranee o inesistenti prima del 1850 o di non facile transito. Per oltre un secolo secolo il battello ha costituito l’unico comodo mezzo di trasporto per i maggiori laghi lombardi, interconnettendosi alla rete ferroviaria nei centri lacuali principali. In questo caso l’architettura dell’approdo può diventare simile a quella di una stazione ferroviaria ed aggregare alberghi, ristoranti, spazi commerciali. In alcuni casi l’asta ferroviaria giunge fino al limite dell’acqua con proprie stazioni ed apparati infrastrutturali complessi (si veda ad esempio il caso di Iseo) che comprendono talvolta strutture di trasbordo dei vagoni stessi su appositi natanti.
Con lo sviluppo della rete stradale questi ingombranti nodi infrastrutturali sono stati nel tempo abbandonati a favore di un recupero degli spazi dei waterfront lacustri per uso turistico. Questa funzione è stata, in seguito, la causa di una loro sempre più ampia rivalutazione. Oggi, in forme aggiornate, essi possono di nuovo assumere il rango di “porte”, di architetture di interscambio piccole ma complesse, tecnologicamente avanzate nel verso della sostenibilità ambientale, che oltre ad accogliere degnamente, sul lato esterno, il traffico turistico e ordinario, possono divenire nuclei di rigenerazione degli spazi urbani ad essi confluenti (piazze, passeggiate ecc.), la cui riprogettazione è sovente scaduta in un generico “arredo urbano” che non tiene conto delle potenzialità dei percorsi, delle vedute, della struttura complessa che il paesaggio assume in questi luoghi.
Il loro ruolo strategico non è però solo ascrivibile alla funzione turistica, per quanto il turismo stia assumendo un’importanza sempre più ampia nell’economia delle aree circum-lacuali: il riordinamento delle frequenze e delle rotte, l’aggiornamento del parco natanti e dei nodi di approdo può e deve, per il futuro, costruire una valida alternativa alla congestionata viabilità stradale; può determinare infine nuovi nuclei di riordinamento territoriale ed urbano, diversamente connettendosi ad un efficiente servizio ferroviario regionale.

Fabrizio Zanni

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Recuperare l’Edilizia nº 36, novembre 2003

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