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E’ dal 2005 che il comparto produttivo delle costruzioni ha iniziato a subire una flessione che negli anni si è sempre più acutizzata. Il settore ha perso il 32% degli investimenti pari a circa 64 miliardi di euro. La nuova edilizia abitativa segna una riduzione del 62,3%, l’edilizia non residenziale privata del 23,6%, mentre le opere pubbliche registrano una flessione del 48,1%. Solamente gli investimenti in riqualificazione del patrimonio abitativo dal 2008 al 2014 mostrano un aumento dei livelli produttivi del 18,5% grazie anche all’effetto di stimolo derivante dalla proroga del potenziamento degli incentivi fiscali per le ristrutturazioni edilizie e risparmio energetico. Senza l’apporto di questo comparto, la caduta degli investimenti in costruzioni avrebbe raggiunto il 44,2%. Gli effetti sull’occupazione sono pesantissimi: dall’inizio della crisi, i posti di lavoro persi nelle costruzioni sono 522.000 che raggiungono le 790.000 unità considerando anche i settori collegati. I dati di questi ultimi giorni relativi alla produzione del settore ed ai permessi di costruire risultano ancora negativi. L’indice Istat della produzione nelle costruzioni, corretto per gli effetti di calendario, evidenzia un’ulteriore riduzione del 7,9% nel mese di 2 novembre 2014 rispetto allo stesso mese del 2013. Complessivamente nei primi undici mesi del 2014 si registra una riduzione tendenziale del 7,1%. Anche il numero dei permessi ritirati per la costruzioni di nuove abitazioni nel primo semestre 2014 si è ulteriormente ridotto dell’11,4% rispetto al primo semestre 2013, confermando il trend negativo già evidenziato negli anni precedenti. Per l’anno 2014 si stima in circa 50.000 il numero di nuove abitazioni concesse e, nel confronto con il 2005, anno nel quale il numero dei permessi si è attestato a circa 300.000 unità, si registra una flessione complessiva che supera l’80%. I PRIMI SEGNALI POSITIVI Emergono, tuttavia, dopo sette anni consecutivi di crisi, primi segnali positivi, in termini di numero di compravendite di unità immobiliari residenziali, di erogazioni di mutui alle famiglie e di bandi di gara per lavori pubblici. Dopo otto trimestri consecutivi di cali tendenziali, nei primi nove mesi del 2014, sul mercato residenziale italiano si avvertono i primi segnali positivi in termini di compravendite immobiliari, in crescita del 2,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In particolare, i dati del terzo trimestre 2014 mostrano un aumento del 4,1% complessivo, confermando e rafforzando i segnali positivi delle compravendite di abitazioni nelle grandi città (+6,9% rispetto al terzo trimestre 2014) e portando una variazione positiva anche per i comuni non capoluogo (+2,8% rispetto al terzo trimestre 2014). Peraltro, anche l’indice Istat dei prezzi delle abitazioni evidenzia, nel terzo trimestre 2014, un primo segno positivo, dopo circa due anni, relativo alle quotazioni delle case nuove, in aumento dello 0,7% rispetto al secondo trimestre 2014. Complessivamente, i prezzi delle abitazioni (nuovo ed usato) rimangono in calo (-0,5% rispetto al secondo trimestre 2014). Su questi primi segnali positivi registrati nel mercato immobiliare residenziale incide, certamente, il diverso atteggiamento delle banche che, nei primi sei mesi del 2014, sembrano aver ridotto la diffidenza verso il settore immobiliare residenziale. In Italia i mutui per l’acquisto delle abitazioni da parte delle famiglie sono tornati a crescere: +9,8% nei primi nove mesi del 2014 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Sul fronte dei lavori pubblici nel corso del 2014 si segnala, dopo anni di pesanti contrazioni, un aumento dei bandi di gara pubblicati sia in termini di numero (+30,4% rispetto al 2013) che di valore (+18,3%). Si tratta, come è evidente, di primi segnali, sui quali è ancora prematuro basare stime di ripresa, ma che, comunque, devono essere preservati da ulteriori shock che potrebbero colpire la situazione finanziaria e di liquidità delle imprese già provate da sette anni di crisi. I PROBLEMI DI LIQUIDITÀ IL CREDIT CRUNCH Secondo Banca d’Italia, quello delle costruzioni risulta il settore che ha subito maggiormente il credit crunch di questi ultimi cinque anni. Tra il 2007 e il 2013, in Italia la riduzione dei finanziamenti è stata del 64% circa per gli investimenti nel comparto abitativo e del 73% nel non residenziale. Rispetto al picco del 2007, è come se nei cinque anni successivi (2008- 2013), fossero stati erogati complessivamente quasi 116 miliardi di euro in meno, 64 miliardi nel settore abitativo e 52 miliardi nel non residenziale. A questi dati si vanno ad aggiungere le variazioni ancora negative registrate nei primi 9 mesi del 2014: -20,7% per gli investimenti residenziali e -14,7% per gli investimenti non residenziali. Il peso dei finanziamenti per investimenti in costruzioni e dei mutui alle famiglie per l’acquisto dell’abitazione sul totale dei finanziamenti a medio-lungo termine dei singoli settori, si è fortemente ridotto: la quota è passata dal 30% al 15% nel periodo 2007-2013. I RITARDATI PAGAMENTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Nonostante le misure adottate dal Governo, i ritardi di pagamento della Pubblica Amministrazione continuano a determinare una situazione di forte sofferenza nel settore delle costruzioni, determinando effetti molto negativi sulla liquidità delle imprese.4 Nel secondo semestre 2014, i tre quarti delle imprese (il 72%) registrano ancora ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione. I mancati pagamenti della P.A. hanno creato molte tensioni nell’ambito della gestione finanziaria delle imprese, determinando effetti negativi sull’occupazione, sugli investimenti e sul funzionamento dell’economia: a fronte del mancato pagamento, secondo le rilevazioni dell’Ance, un terzo delle imprese (il 31%) ha dovuto ridurre il numero dei dipendenti, la metà delle imprese (il 41%) ha ridotto gli investimenti previsti e il 57% delle imprese ha ritardato i pagamenti ai fornitori. L’entrata in vigore della direttiva europea e le misure finora adottate dai vari Governi hanno quindi avuto effetti positivi, ma ancora troppo limitati, sull’andamento dei ritardi di pagamento. I tempi medi di pagamento nei lavori pubblici rimangono molto elevati rispetto agli standard europei, circa 6 mesi (negli ultimi 18 mesi, vi è stata una prima riduzione dei tempi di pagamento del 10-15%). Con questi ritmi, serviranno ancora 5 anni per arrivare ai tempi fissati dalla direttiva europea. Si ricorda che questa situazione di difficoltà è determinata soprattutto dal Patto di stabilità interno. LO SPLIT PAYMENT introdotto dalla legge di Stabilità 2015 ed in vigore dallo scorso 1° gennaio, aggrava ulteriormente l’equilibrio finanziario delle imprese che operano nel settore dei lavori pubblici. La misura, che pone a carico delle pubbliche amministrazioni il versamento dell’Iva relativa alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti delle stesse, produce effetti deleteri sulle imprese, mettendo a rischio la sopravvivenza degli operatori del comparto dei lavori pubblici. Comparto che, invece, dovrebbe essere utilizzato come leva del rilancio economico ed occupazionale del Paese. Tale norma, di carattere generale, impone un costo più alto alle imprese di costruzioni, che realizzano prodotti sui quali si applica un’aliquota Iva ridotta. In tali casi, l’impresa assume, anche dopo la compensazione tra Iva pagata sugli acquisti ed Iva incassata dalle vendite, una posizione di credito nei confronti dell’erario, che le impone lunghe attese per ottenerne il rimborso. Tra l’altro, in merito alla tempistica dei rimborsi Iva, l’Italia è già incorsa in una procedura d’infrazione europea in atto, che obbliga l’erario ad accelerare i tempi di rimborso che attualmente raggiungono, in media, fino a 2 anni e mezzo, rispetto ai 7 o 10 giorni in Gran Bretagna e Germania, 1 mese in Francia e 6 mesi in Spagna. Per queste imprese, quindi, la norma dello split payment impone un effetto finanziario ancora più grave, proprio in virtù del loro profilo fiscale. Secondo una stima Ance su dati della Relazione Tecnica di accompagnamento al disegno di legge di stabilità 2015, l’ulteriore perdita di liquidità per le imprese derivante dal versamento dell’Iva direttamente da parte della P.A., risulta pari a circa 1,3 miliardi di euro in un anno. Si tratta di una misura, inoltre, dagli scarsi effetti di gettito sul settore delle costruzioni, già interessato da strumenti in grado di misurare la compliance fiscale delle imprese. Ad esempio, la legge 136/2010, che impone a tutti i contratti pubblici la registrazione dei movimenti finanziari su conti correnti dedicati, in virtù della gestione contabile di tipo industriale che impone alle imprese di costruzioni, rappresenta un deterrente molto efficace a comportamenti elusivi ed evasivi delle imprese. Fonte ANCE Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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