Osservatorio Ance giugno 2013: il settore al collasso

Osservatorio Ance giugno 2013: il settore al collasso

L’economia italiana, nel 2012 ha evidenziato un nuovo peggioramento dopo una fase di debole ripresa nel biennio 2010-2011 (+2,3%). Lo scorso anno si è chiuso con una contrazione del Pil del 2,4% rispetto al 2011, con una accelerazione della tendenza negativa nel corso dell’anno.

I dati Istat del Pil riferiti al primo trimestre 2013, evidenziano un ulteriore calo del 2,4% rispetto allo stesso periodo del 2012. Si tratta del sesto trimestre consecutivo con variazioni tendenziali negative.

PIL

In questo contesto il settore delle costruzioni sta vivendo la crisi più grave dal dopoguerra ad oggi. Gli indicatori settoriali che si rendono via via disponibili confermano la situazione di forte crisi che continua a caratterizzare le costruzioni. L’indice Istat della produzione nelle costruzioni registra nei primi tre mesi dell’anno in corso, un calo del 12,2% nel confronto con il primo trimestre del 2012. Si tratta del diciannovesimo trimestre consecutivo di calo della produzione delle costruzioni. La flessione del primo trimestre dell’anno risulta di intensità simile a quelle registrate nel corso del 2012 e nella fase iniziale della crisi.

Produzione costruzioni

L’aggravarsi della crisi si riflette pesantemente sul mercato del lavoro e sulle imprese.
I dati Istat sull’occupazione, relativi al primo trimestre dell’anno in corso, registrano un significativo calo dell’11,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La flessione rilevata nelle costruzioni risulta la più marcata tra tutti i settori di attività economica: in un anno (I trim.2013/I trim.2012), il settore ha perso 202.000 occupati (-11,4%), ovvero circa la metà dei 410.000 posti di lavoro persi nell’insieme dei settori economici (-1,8% in termini percentuali).

Complessivamente, dall’inizio della crisi al primo trimestre 2013 i posti di lavoro persi nelle costruzioni sono 446.000. Considerando anche i settori collegati alle costruzioni, si stimano in 690.000 i posti di lavoro persi.
I dati delle Casse edili evidenziano flessioni tendenziali, nel primo trimestre 2013, del 18,6% del numero di ore lavorate, del 13,7% del numero di operai e dell’11,6% delle imprese iscritte. Tali diminuzioni seguono già un quadriennio (2009-2012) di forti cali, che per le ore lavorate sono del -34,1%, per gli operai iscritti, del -31,2%, per le imprese iscritte del -26,6%.

Riduzione occupazione

In forte aumento il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni che ha permesso finora di contenere il numero di posti di lavoro persi nelle costruzioni. Le ore autorizzate sono passate dai 40,6 milioni del 2008 a 140,1 milioni del 2012 (+245,4%), e nei primi quattro mesi del 2013 si è registrata un’ulteriore crescita del 26,2% rispetto al primo quadrimestre dell’anno precedente.
Prosegue anche nel primo trimestre 2013 la crescita dei fallimenti nelle costruzioni. Le imprese entrate in procedura fallimentare sono aumentate del 6% rispetto ai primi tre mesi del 2012 dopo una crescita del 29,2% nel periodo 2009 – 2012. Dal 2009 al primo trimestre 2013 i fallimenti nelle costruzioni sono stati 11.177 su un totale di circa 48.500 nell’insieme di tutti i settori economici. Pertanto circa il 23% dei fallimenti avvenuti in Italia riguardano le imprese del settore costruzioni.
La difficoltà del settore si evidenzia anche dalla crescita dei protesti.
Nel 2012 sono circa 11.000 le società protestate, in aumento del 9,1% rispetto al 2011.

Investimenti

Lo scenario formulato dall’Ance per l’anno in corso evidenzia una flessione degli investimenti in costruzioni del 5,6% in termini reali, in peggioramento rispetto alla stima formulata a dicembre 2012 (-3,8%).
La nuova stima, oltre a prendere atto delle indicazioni sempre più negative fornite dalle imprese associate nell’indagine rapida effettuata a maggio scorso, tiene conto del sensibile peggioramento del contesto economico e settoriale evidenziato dagli indicatori relativi alla prima parte del 2013.

Investimento2

La caduta dei livelli produttivi coinvolge tutti i comparti, dalla produzione di nuove abitazioni, che nel 2013 perde il 14,3%, all’edilizia non residenziale privata, che segna una riduzione dell’8,2%, ai lavori pubblici,per i quali si stima una caduta del 9,3%. Solo il comparto della riqualificazione degli immobili residenziali mostra un aumento dei livelli produttivi del 3,2%, nel confronto con l’anno precedente.
La negativa valutazione sull’andamento degli investimenti in costruzioni nel 2013 è attenuata dagli effetti positivi derivanti dalla proroga e dal temporaneo potenziamento degli incentivi fiscali relativi agli interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica.

In particolare, il recente D.L.63/2013, dispone fino al 31 dicembre 2013 il potenziamento della detrazione IRPEF per le ristrutturazioni edilizie (cd. “36%”, incrementato al 50% delle spese sostenute sino ad un massimo di 96.000 euro), accompagnata anche dalla possibilità di  estendere il beneficio all’acquisto di mobili finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione, per un ammontare massimo di spesa di 10mila euro.
Lo stesso decreto proroga la “detrazione del 55%”, potenziandone la percentuale di detrazione, dal 55 al 65%, in generale per le spese sostenute
dal 6 giugno al 31 dicembre 2013, ed in particolare, fino al 30 giugno 2014 per gli interventi relativi a parti comuni condominiali degli edifici. Prevede, inoltre, la possibilità di applicare le suddette disposizioni agli interventi finalizzati alla sicurezza statica e antisismica dell’edificio.
A mitigare il calo dei livelli produttivi nel 2013 contribuiscono inoltre le ricadute positive derivanti dal pagamento di una parte dei debiti pregressi
della Pubblica Amministrazione alle imprese. Gli importi stanziati ammontano a 20 miliardi di euro nel 2013 (di cui 7,5 miliardi di euro per spese in conto capitale) ed a 20 miliardi di euro nel 2014 (nel 2014 non sono stati previsti pagamenti in conto capitale).
Le previsioni degli effetti sulla crescita di tale provvedimento sono molto incerte, ma nell’ipotesi prudenziale che le risorse aggiuntive destinante
al finanziamento di nuovi investimenti nel biennio 2013-2014, fossero il 12% del totale, il Bollettino Economico di aprile 2013 di Banca d’Italia stima che il provvedimento potrebbe contribuire alla crescita del pil per un ammontare complessivo tra cinque e sette decimi di punto percentuale.

La forte contrazione in atto nella nuova edilizia residenziale (-14,3% nel 2013) discenda dal significativo calo delle nuove iniziative cantierabili:
secondo la rilevazione Istat sull’attività edilizia, il numero complessivo delle abitazioni (nuove e ampliamenti) per le quali è stato concesso il permesso di costruire, dopo il picco del 2005 (305.706 unità), evidenzia una progressiva e intensa caduta a partire dall’anno successivo, e nel 2012 si stima in circa 95.000 il numero di abitazioni concesse, con una flessione complessiva del 70%.

ampliamenti

Gli investimenti in riqualificazione del patrimonio abitativo, che rappresentano nel 2013 il 37,3% del valore degli investimenti in costruzioni, sono l’unico comparto a mostrare un aumento dei livelli produttivi.
Rispetto al 2012, per gli investimenti in tale comparto si stima una crescita del 5,3% in termini monetari e del 3,2% delle quantità prodotte. L’aumento stimato per l’anno in corso, pari a circa 2,4 miliardi di euro in valori correnti, è collegato anche all’effetto di stimolo derivante dal prolungamento e potenziamento degli incentivi fiscali.
Gli investimenti privati in costruzioni non residenziali segnano nel 2013 una riduzione dell’8,2% in quantità. Ad incidere pesantemente su questo comparto produttivo, oltre al peggioramento della crisi economica, è il significativo razionamento del credito per il finanziamento degli investimenti. I mutui erogati alle imprese per la realizzazione di interventi non abitativi hanno registrato una caduta, tra il 2007 ed il 2012, del 62,4%.

Nel 2014 in assenza di incisivi interventi di politica economica e di allentamento della stretta creditizia per il settore proseguirà, per il settimo anno consecutivo, la drammatica crisi che viene rappresentata nello scenario definito “tendenziale”. In questo contesto si stima un’ulteriore contrazione dei livelli produttivi, con un calo degli investimenti in costruzioni del 4,3% in termini reali su base annua.
La nuova edilizia abitativa perderà il 12,7% nel confronto con il 2013, mentre per gli investimenti in costruzioni non residenziali privati e pubblici il calo si attesterà, rispettivamente, al 4,3% e al 5,1% in termini reali. Il recupero abitativo, in assenza di modifiche legislative, resterà sugli stessi livelli dell’anno precedente (+0,1%).
In questo modo dal 2008 al 2014, il settore delle costruzioni avrà perso il 32,1% degli investimenti, pari a circa 59.300 milioni di euro.
Nei sette anni, per la nuova edilizia abitativa la flessione raggiungerà il 57,7%, l’edilizia non residenziale privata segnerà una riduzione del 35,7%, mentre le opere pubbliche registreranno una caduta del 48% (-54,1% dal 2005 al 2014). Solo il comparto della riqualificazione degli immobili residenziali mostrerà una tenuta dei livelli produttivi (+17,3%) nel periodo considerato.

Per invertire la tendenza in atto occorrono interventi a forte impatto nell’immediato e che abbiano carattere di continuità.
Questo secondo scenario tiene, quindi, conto dei potenziali effetti sul settore qualora fossero recepite alcune proposte elaborate dall’Ance
per contrastare la crisi (“scenario con proposte Ance”).
In particolare si è tenuto conto dell’effetto potenziale di:

  • messa a regime della detrazione del 50% (ex 36%) con contestuale estensione della stessa per interventi di demolizione e ricostruzione dell’esistente con variazione della sagoma e della volumetria;
  • messa a regime della detrazione degli eco-bonus rimodulandone l’intensità in funzione della maggior efficacia dell’intervento nel raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico dell’edificio ed estendendola agli interventi di messa in sicurezza sismica;
  • revisione della disciplina dell’IMU anche per attivare l’offerta di case in affitto ed eliminazione dell’IMU per gli immobili costruiti dalle imprese edili e non ancora venduti, unica forma di patrimoniale su beni prodotti dalle imprese;
  • investimenti aggiuntivi in infrastrutture, rispetto allo scenario “tendenziale”, per la realizzazione rapida delle infrastrutture necessarie con particolare attenzione alle opere mediopiccole;
  • riattivazione del circuito del credito, attraverso l’emissione di obbligazioni garantite (covered bond) a media lunga scadenza emesse dalle banche per finanziarie i mutui
  • le famiglie per l’acquisto di abitazioni ad elevata efficienza energetica.

In questo scenario, i livelli produttivi del settore aumenterebbero, rispetto al 2013, del 3,7% in valori correnti e dell’1,6% in termini reali. Il
recepimento delle proposte Ance consentirà di aumentare il livello degli investimenti in costruzioni di 8 miliardi di euro rispetto allo scenario
“tendenziale” formulato per il 2014.

VAR

Rispetto ai singoli comparti si osserverebbe una crescita più sostenuta per gli investimenti in manutenzione straordinaria (+3% su base annua)
e l’interruzione del trend negativo, in atto dal 2005, degli investimenti in opere pubbliche (+15,9%). Prevedere maggiori investimenti in
infrastrutture anche negli anni successivi produrrà importanti effetti sul settore e sull’economia del Paese.
L’adozione di queste prime misure di rilancio del settore, pur non avendo un impatto sufficiente a compensare la forte caduta dei livelli
produttivi del settore in atto dal 2008, consentirebbe di ridurre la perdita produttiva dal 32,1% al 27,9%.

VAR2
Lo studio effettuato dal Prof. Baldassarri dimostra la possibilità di realizzare una importante manovra di rilancio delle infrastrutture, in grado di sostenere in modo consistente la ripresa e la crescita dell’economia e di determinare un rilevante aumento di occupazione, senza sforare il limite del 3% di deficit fissato dall’Unione Europea e riducendo addirittura il rapporto debito/Pil.
Questa manovra si basa sull’ipotesi di un progressivo recupero del valore di picco delle infrastrutture realizzato nel lontano 2004 nel corso dei prossimi cinque anni, partendo da un +5 miliardi di euro nel 2014 e proseguendo con +10 miliardi nel 2015, +15 nel 2016, +20 nel 2017 e nel 2018. Un tale scenario, compatibile con il rispetto dei vincoli europei, consentirebbe all’economia italiana di ottenere nei prossimi anni:

  • una maggiore crescita cumulata del Pil del 3% all’orizzonte 2018
  • una maggiore occupazione, per circa 423.000 unità all’orizzonte 2018
  • la disoccupazione non andrebbe oltre il 13% e si ridurrebbe dell’1,6% rispetto alle previsioni
  • Il deficit pubblico sarebbe lievemente più alto rispetto al tendenziale, ma si manterrebbe ben al di sotto del 3% di Maastricht
  • Il rapporto debito/Pil si ridurrebbe

Tra l’altro, questo scenario si basa soltanto sull’obiettivo di un recupero all’orizzonte 2017 -13 anni dopo- dei pesanti tagli agli investimenti
infrastrutturali che sono stati attuati a partire dal 2004.
Nel corso del 2012 si è intensificata la crisi del mercato immobiliare residenziale, in atto ormai da sei anni, ed anche i primi mesi dell’anno in corso confermano la tendenza negativa (-14,2% rispetto allo stesso periodo del 2012). Secondo l’Agenzia delle Entrate, il 2012 segna una diminuzione delle abitazioni compravendute pari al 25,8% rispetto al 2011. In sei anni (2007-2012) il numero di unità abitative compravendute si è ridotto del 48,9%, riportandosi ai livelli di metà anni ottanta.

Molteplici sono i fattori che ostacolano la ripresa del mercato abitativo.
La domanda immobiliare rimane debole per l’estrema incertezza che scoraggia e fa rinviare le decisioni di investimento delle famiglie, per le
difficili prospettive del mercato del lavoro e per la flessione del reddito disponibile delle famiglie.
Il blocco del circuito finanziario a medio-lungo termine, soprattutto, rende estremamente difficile per le famiglie accedere ai mutui per l’acquisto della casa. Secondo i dati di Banca d’Italia, il flusso di nuovi mutui erogati per l’acquisto di abitazioni da parte delle famiglie è diminuito
del 58,1% dal 2007 al 2012.
Oltre alla restrizione del credito alle famiglie, un ulteriore fattore che penalizza il mercato immobiliare è l’ulteriore inasprimento del carico
fiscale derivante dall’IMU.

La crisi del mercato immobiliare residenziale, in atto ormai da sei anni, non si è riflessa allo stesso modo sui prezzi delle abitazioni, che hanno registrato flessioni contenute. I dati che emergono dall’analisi del contesto italiano indicano che non vi sono segnali per una bolla immobiliare nel settore residenziale, contrariamente a quanto è avvenuto e sta avvenendo in altri paesi, europei e non.
L’indice Istat dei prezzi delle abitazioni, disponibile a partire dal primo trimestre 2010, evidenzia nel periodo compreso tra il primo trimestre 2010 ed il quarto trimestre 2012, una flessione del 3,6%, sintesi di un aumento del 5,3% dell’indice dei prezzi delle nuove abitazioni e di una flessione del 7,5% delle abitazioni esistenti.
I dati Istat confermano una tenuta sul mercato dei prezzi delle nuove abitazioni, sebbene con tassi di crescita in rallentamento, a fronte, di una flessione più accentuata nei prezzi delle abitazioni usate.

ISTAT

L’incremento dei prezzi delle nuove abitazioni, caratterizzate da standard qualitativi più elevati, conferma le recenti evoluzioni del mercato immobiliare, sempre più orientato a premiare la qualità del costruito, con grande attenzione, da parte della domanda, per gli aspetti legati
all’efficienza energetica (abitazioni in classe A e B).

La popolazione residente in Italia il 9 ottobre 2011, data di riferimento del 15° Censimento generale, è pari a 59.433.744 persone e, rispetto al Censimento del 2001, registra un aumento del 4,3% che, in termini assoluti, equivale a 2.438.000 individui.
Si tratta di una crescita determinata esclusivamente dall’aumento di persone provenienti dall’estero. Infatti, la popolazione italiana è diminuita di
250.000 unità, mentre quella straniera è aumentata di 2.694.256 persone.
Ulteriore fenomeno, segnalato ormai da diversi anni, vede un dinamismo molto elevato del numero di famiglie.
I dati Istat elaborati da fonti anagrafiche mostrano che dal 2003 al 2011 la popolazione è aumentata del 5%, mentre le famiglie sono aumentate
dell’11,9% con una crescita media annua, nel periodo considerato, di circa 339.000 unità.
Le famiglie si rimodellano e sono sempre più piccole, aumentano le persone sole, diminuiscono le coppie con figli e si consolidano nuove forme di famiglia: i single non vedovi, i monogenitore, le coppie non coniugate, le coppie ricostituite.
Per i prossimi anni, le stime contenute nel Rapporto biennale 2011- 2012 “La famiglia in Italia”, indicano un aumento del numero di famiglie, pur con dinamiche diverse a livello regionale. In particolare, si evidenzia l’ulteriore prolungamento della permanenza dei giovani nella famiglia di origine, un aumento delle coppie senza figli e l’aumento di famiglie monopersonali, con età superiore a 65 anni.
I cambiamenti strutturali della popolazione italiana, il perdurare delle gravi difficoltà economiche legate alla crisi stanno evidenziando una
domanda abitativa che richiede un rinnovato impegno nella definizione delle politiche dell’abitare.
Occorrono politiche diversificate, flessibili, articolate sul territorio, in grado di rispondere ai diversi tipi di bisogno e che, come già avviene in molte parti d’Europa, favoriscano all’interno delle città una composizione sociale maggiormente mista. E’ evidente il ruolo di ammortizzatore sociale e macroeconomico dell’edilizia abitativa sociale, che deve divenire parte integrante delle politiche urbane e dei processi di trasformazione.

La casa è sempre stata un tema molto sentito dalle famiglie italiane tuttavia questa ricchezza diffusa rischia di perdere valore: secondo stime del Censis, quasi il 55% delle famiglie vive in abitazioni costruite prima del 1971.
Il tema è quello di reintervenire sul patrimonio esistente, una grande risorsa oggi sottoutilizzata che richiede un recupero di qualità e di funzionalità.
A questo proposito, una delle tematiche prioritarie è quella del risparmio energetico in edilizia, considerato uno dei metodi più semplici per ridurre le emissioni e rafforzare la sostenibilità contribuendo nel contempo a promuovere sviluppo e occupazione ed a limitare i costi energetici per le famiglie e le imprese.
L’efficienza energetica degli edifici, attraverso interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio, nonché interventi di demolizione e ricostruzione, costituisce indubbiamente un obiettivo primario cui deve tendere la trasformazione delle nostre città.

Alla fine del 2012, la stretta del credito nei confronti del settore delle costruzioni ha raggiunto il livello più alto dall’inizio della crisi.
La stessa BCE, analizzando le condizioni di accesso al credito (Bank Lending Survey), in base ai dati provenienti dalle singole banche centrali che aderiscono all’Euro, afferma che le condizioni applicate per l’erogazione di finanziamenti alle PMI da parte delle banche italiane sono state generalmente tra le più rigide tra i 17 Paesi aderenti.
Gli effetti di questo razionamento, dettato da un’avversione al rischio verso gli investimenti del settore molto più elevata rispetto al passato, sono evidenti.
Nel periodo 2007-2012, in Italia la riduzione dei finanziamenti è stata del 45,6% per gli investimenti nel comparto abitativo e del 62,4% nel non residenziale. Per l’acquisto di abitazioni da parte delle famiglie c’è stata una diminuzione del 58,1% in sei anni.

Le banche, dall’inizio della crisi, hanno immesso minori finanziamenti alle imprese, rispetto al picco del 2007, per oltre 42 miliardi di euro nel settore abitativo e più di 35 miliardi in quello non residenziale. Per i mutui alle famiglie, invece, è possibile stimare un razionamento di oltre 74 miliardi di euro.
Il risultato di questo restrizione, in continuo peggioramento, è un deterioramento del rapporto sofferenze-impieghi per il settore.
Questa evoluzione era, purtroppo, prevedibile.
Una razionamento di queste proporzioni ha creato un meccanismo perverso che, oltre a danneggiare seriamente le imprese di costruzioni finisce per peggiorare la situazione economicofinanziaria delle stesse banche, a seguito del deterioramento del proprio portafoglio crediti. Nell’ultimo Rapporto sulla Stabilità Finanziaria, Banca d’Italia esplicitamente afferma che “i principali fattori di rischio per il settore delle imprese sono rappresentati dal protrarsi della fase ciclica negativa e dalle difficoltà di accesso al credito, fenomeni che tendono a rafforzarsi a vicenda. In tale contesto, difficile per tutti i comparti produttivi, le aziende dei settori connessi con l’attività edilizia appaiono in condizioni di particolare fragilità”.
Appare evidente, quindi, come il collasso delle costruzioni determinerebbe la crisi, irreversibile, del settore del credito.
I margini per invertire la rotta, purtroppo, sono strettissimi. L’Ance ha individuato una serie di strumenti che, se attuati con urgenza, potranno offrire un elemento di speranza per la tenuta del settore.
Per riattivare il circuito del credito l’Ance ha avanzato l’ipotesi di coinvolgere Cassa Depositi e Prestiti quale capofila di altri investitori istituzionali (Enti previdenziali e assicurativi, fondi pensione, fondi d’investimento esteri) nell’acquisto di obbligazioni garantite (covered bond) a media lunga scadenza emesse dalle banche per finanziarie i mutui delle famiglie per l’acquisto di abitazioni ad elevata efficienza energetica.
Per le fasce di popolazione disagiate, è indispensabile istituire un Fondo di garanzia dello Stato che garantisca i rischi dei mutui per l’acquisto di abitazioni erogati dalle banche.
Il settore delle costruzioni è, in Italia, uno tra i più colpiti dall’inaccettabile fenomeno dei ritardati pagamenti della Pubblica Amministrazione. Un fenomeno che, unito al credit crunch operato dalle banche, determina una situazione di estrema sofferenza per le imprese che realizzano lavori pubblici ed estende i suoi effetti su tutta la filiera, creando i presupposti per l’insolvenza di migliaia di imprese.
Bastano, infatti, ritardi di poche migliaia di euro per far fallire un’impresa.
Di fatto, una buona parte dei fallimenti registrati negli ultimi mesi è stata determinata non da ragioni economiche legate, cioè, ai cali di domanda o alla capacità delle imprese di realizzare prodotti di qualità a costi competitivi, bensì al mancato incasso di quanto guadagnato con il proprio lavoro.
Per questo motivo, il tema dei pagamenti rappresenta una delle priorità per affrontare l’emergenza nell’edilizia e per garantire la ripresa del Paese.
La dimensione finanziaria dei ritardi di pagamentodella P.A. alle imprese che realizzano lavori pubblici è fortemente
cresciuta negli ultimi anni ed ha raggiunto, secondo le stime dell’Ance, circa 19 miliardi di euro.
Negli anni della crisi, anche i tempi di pagamento sono aumentati: rispetto a tre anni fa, il ritardo medio nei pagamenti dei committenti pubblici è cresciuto del 45%.
In media, le imprese che realizzano lavori pubblici sono pagate 8 mesi dopo l’emissione del SAL -160 giorni oltre i 75 giorni fissati dalla legge- e le punte di ritardo superano ampiamente i 3 anni.
Peraltro l’analisi della tendenza registrata negli ultimi anni mostra che per rispettare il Patto di stabilità interno, gli enti locali hanno agito quasi esclusivamente sulla spesa in conto capitale, bloccando i pagamenti alle imprese, anche a fronte di lavori regolarmente eseguiti ed in presenza di risorse disponibili in cassa.
Nel periodo 2004-2010, ad esempio, a fronte di un obiettivo di riduzione di spesa del 6%, i comuni hanno ridotto del 32% le spese in conto capitale, aumentando invece del 5% le spese correnti.
Il risultato di queste scelte è di tutta evidenza: più dei tre quarti degli enti locali non effettuano pagamenti alle imprese non per mancanza di liquidità ma solo ed esclusivamente per rispettare i parametri di spesa fissati dal Patto di stabilità interno. Questa situazione di estrema sofferenza nei pagamenti dei lavori pubblici è determinata principalmente dal Patto di stabilità interno, che, così come disciplinato oggi in Italia con il criterio della cosiddetta “competenza mista”, impedisce la naturale trasformazione degli impegni di parte capitale in pagamenti alle imprese, provocando l’accumulo di debiti anche in presenza di risorse di cassa disponibili.
Si tratta in altre parole di una regola che fa crescere l’importo dei debiti non conteggiati, consentendo il solo rispetto formale dei parametri fissati dai Trattati europei, con conseguenze drammatiche per le imprese.
Più dei tre quarti degli enti locali, infatti, non effettuano pagamenti alle imprese non per mancanza di liquidità ma solo ed esclusivamente per rispettare i parametri di spesa fissati dal Patto di stabilità interno.

Rispetto a questa situazione, l’approvazione del decreto-legge relativo al pagamento dei debiti pregressi della Pubblica Amministrazione (DL 35/2013, convertito con la legge n°64/2013) costituisce un primo passo importante per ristabilire la correttezza nei rapporti tra lo Stato e le imprese.
L’adozione di questa misura straordinaria, infatti, non deve nascondere la necessità di trovare una soluzione definitiva al problema dei ritardati pagamenti della Pubblica Amministrazione.
Per risolvere questo problema, è necessario approvare rapidamente misure in  rado di assicurare il pagamento di tutti i debiti arretrati (ulteriori 11,5 miliardi di euro nel settore dell’edilizia). E’ inoltre indispensabile riformare strutturalmente il Patto di stabilità interno, prevedendo una modifica delle regole del Patto, con l’introduzione del principio dell’equilibrio di parte corrente ed un limite all’indebitamento, ed un allentamento dei vincoli fissati per gli enti locali.
In assenza di tali misure, il forte irrigidimento del Patto di stabilità interno previsto per il triennio 2013-2015, per un importo pari a circa 25 miliardi di euro, e la contemporanea estensione delle regole del Patto a tutti gli enti locali rischiano di determinare un’ulteriore riduzione degli investimenti in conto capitale registrata a livello locale ed un nuovo aumento dei ritardati pagamenti alle imprese, provocandone il fallimento.

Negli ultimi anni la grave crisi economico-finanziaria che ha colpito l’economia mondiale ha determinato pesanti conseguenze sulla gestione delle politiche di bilancio italiane. Il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, concordati in sede europea, ha reso necessaria l’adozione di una politica di rigore e di controllo della spesa attraverso manovre correttive che hanno sempre penalizzato la spesa in conto capitale.
Lo dimostrano i dati di previsione del bilancio dello Stato che, dal 2008, anno dello scoppio della crisi, ad oggi, segnano una riduzione del 38% in termini reali degli stanziamenti per spese in conto capitale (-26,6% se si considera la quota destinata a nuove opere pubbliche), a fronte di spese correnti al netto degli interessi sostanzialmente costanti (-0,3%).

ripartizione

Dal 1990 ad oggi, gli stanziamenti nel bilancio registrano una riduzione del 42,6% delle spese in conto capitale, a fronte di un consistente aumento della spesa corrente al netto degli interessi del debito pubblico (+30%). Se poi, si considera la parte della spesa destinata alla realizzazione di nuove opere pubbliche, il divario rispetto all’andamento della spesa corrente è ancora più evidente. Le risorse per nuove infrastrutture, infatti, hanno subito, rispetto al 1990 una riduzione di oltre il 61%.
Quanto illustrato evidenzia l’assoluta necessità di attuare una politica bilancio che aumenti le risorse da destinare alla realizzazione di infrastrutture necessarie al Paese, sostenendo, allo stesso tempo, lo sviluppo e la crescita economica.
Un processo, continuo e credibile, di spending review può rappresentare la strada giusta, purché sappia concretamente intervenire sulla spesa improduttiva, quella dove si annidano maggiormente sprechi ed inefficienze.
Le scelte di bilancio risultano confermate dall’andamento della spesa complessiva dell’amministrazione pubblica che ha visto negli ultimi 20 anni una prolungata flessione della spesa in conto capitale a fronte di un aumento di quella corrente.
Tra il 1990 e il 2012 la spesa corrente al netto degli interessi è cresciuta del 34,9% in termini reali, a fronte di una riduzione della spesa in conto capitale del 36,9%.
Le previsioni contenute nell’ultimo DEF registrano nel 2013 e nel 2014 ulteriori aumenti della spesa corrente al netto degli interessi (+0,7% nel 2013, +1,2% nel 2014) a fronte di un andamento altalenante della spesa in conto capitale che, dopo un 2013 positivo (+15,6%) per effetto del pagamento dei debiti della PA, segna significative flessioni del 17,9% nel 2014 e del 7,6% nel 2016 su base annua, alternate a contenuti aumenti (+1,3% nel 2015 e +0,8% nel 2017) non sufficienti a compensare le perdite degli anni precedenti.
L’analisi del bilancio dello Stato per il 2013 segna un aumento del 24,3% in termini reali rispetto all’anno precedente.
E’ certamente un segnale importante, che, però, è ancora ben lontano dal consentire un recupero dopo la pesante caduta che le risorse per nuove infrastrutture hanno subito nel periodo 2008-2012 (-41%), raggiungendo il livello più basso dell’ultimo ventennio.

risorse

L’aumento di risorse previste nel 2013 è imputabile, per circa il 60%, alle dinamiche del Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex Fondo per le Aree Sottoutilizzate – FAS) che nel 2013 risulta più che raddoppiato rispetto all’anno precedente, recuperando gran parte della riduzione subita nel 2012.
Le risorse destinate allo sviluppo e alla coesione, tra fondi nazionali e fondi strutturali europei, costituiscono una quota importante dei finanziamenti per la realizzazione delle opere pubbliche in Italia.
Nel 2013 tali fondi, pari a 6.344 milioni di euro, rappresentano il 43% del totale delle risorse per nuove infrastrutture e, a differenza degli anni scorsi, possono contare su una consistente previsione di cassa, Il recente “Decreto Fare”, prevede un pacchetto di misure che vanno nella direzione più volte invocata dall’Ance di immettere liquidità nel
sistema attraverso l’investimento nelle infrastrutture necessarie allo sviluppo del Paese.
In particolare, il provvedimento, nella versione disponibile al momento della redazione del presente rapporto, prevede l’istituzione di un “Fondo sblocca cantieri”, presso il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, pari a complessivi 2.030 milioni di euro nel quinquennio 2013-2017 per il finanziamento di una serie di interventi da avviare in tempi rapidi.
La copertura finanziaria del “Fondo” deriva per il 68% da risorse già destinate a grandi interventi infrastrutturali, quali le linee ferroviarian bTorino-Lione e il Terzo Valico dei Giovi.
Tale scelta nasce dall’esigenza di anticipare, il più possibile, l’impiego delle risorse stanziate, privilegiando opere di pronta cantierizzazione che potranno produrre effetti reali nell’economia in tempi rapidi.
Pur apprezzando tale scelta, è necessario evidenziare che l’entità ndelle risorse coinvolte e il profilo temporale previsto appaiono nancora insufficienti al raggiungimento dell’obiettivo indicato dallo nstesso decreto.
Saranno inevitabili, quindi, ulteriori provvedimenti in grado di garantire nun adeguato livello si spesa già a partire dall’anno in corso, per offrire un sostegno concreto al settore e all’economia nazionale.
Allo stesso tempo, è indispensabile dare immediata attuazione ai nprogrammi infrastrutturali già finanziati, in particolare dal Cipe, nnel corso degli ultimi mesi.
Si tratta, secondo stime dell’Ance, di circa 30 miliardi di euro l’importo dei progetti infrastrutturali per i quali non sono state ancora bandite le gare e/o non sono stati sottoscritti i contratti con l’ imprese per la realizzazione dei lavori.
Nello specifico, questi progetti sono finanziati per circa 13 miliardi di euro da fondi FAS regionali (Fondo per le Aree sottoutilizzate, ora denominato Fondo per lo sviluppo e la Coesione), per circa 11 miliardi di euro nell’ambito del Piano delle opere prioritarie approvato dal Cipe il 26 giugno 2009 e del Fondo per le infrastrutture stradali e ferroviarie nonché per circa 6 miliardi di euro di investimenti definiti nell’ambito dei programmi dei fondi strutturali europei statali e regionali.

fondi

 L’Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni è curato dalla Direzione Affari Economici e Centro Studi dell’Ance

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