Edilizia a corto di liquidità

Tradotto in posti di lavoro significa che «ci sono 200mila addetti che rischiano il posto», spiega Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil.
La previsione è stata formulata sulla base dell’andamento dell’occupazione, della cassa integrazione e della mobilità negli ultimi mesi del 2008 in cui «abbiamo assistito a una vera e propria esplosione del ricorso agli ammortizzatori sociali», ha osservato il sindacalista.
Se il sindacato lancia l’allarme, i costruttori sono preoccupati. «Ci sono ritardi nei pagamenti sia da parte dei committenti pubblici che privati – dice Carlo De Albertis dall’osservatorio di Assimpredil, di cui è presidente dopo aver guidato l’Ance –.
Si stanno allungando i tempi di vendita, le banche non credono più nell’ immobiliare e non finanziano le operazioni.
Pur in un momento difficile serve un piano strategico condiviso da tutti e sostenuto dal Governo che definisca una politica industriale per il settore. In un mercato così debole molte imprese faticheranno a resistere oltre la metà dell’anno».
La crescita dell’edilizia, che nel 2007 ha raggiunto i massimi livelli produttivi, si è fermata nel 2008 e non riprenderà nel 2009.
Non mancano però segnali di dinamismo e riposizionamento all’interno dei segmenti. La nuova produzione residenziale si è infatti fermata nel 2006; il 2007 è stato il primo anno di vero rallentamento. Il 2008 segna ancora una flessione, le previsioni del 2009 parlano di peggioramento.
Se il residenziale cala dal 2006, le infrastrutture crescono ininterrottamente dal 2003; nel 2009 e nel 2010 saranno la componente più dinamica del mercato. Uno dei nodi da risolvere per il sindacato è la sottocapitalizzazione e la scarsa capacità finanziaria per poter partecipare a progetti autofinanziati delle imprese italiane. Una lettura non condivisa dal presidente di Assimpredil: «In Lombardia oggi le nostre 250 imprese hanno una maggiore capitalizzazione. Secondo quanto ci risulta hanno fatto utili e li hanno reinvestiti in azienda, oltre ad aver rafforzato il management». Il quadro nazionale sembra però parlare di imprese ancora piccole e poco internazionali. Sono 800mi-la, hanno in media 1,54 dipendenti, il 43% degli addetti sono operai comuni. A questo si aggiunga che tra le prime 50 società europee ce n’è solo una italiana al 27esimo posto.
De Albertis osserva che «da un lato in questi ultimi anni si è persa la dimensione internazionale delle imprese italiane, dall’altro abbiamo anche ripreso a crescere, se è vero che la percentuale di fatturato estero delle società analizzate aumenta di 10 punti percentuali in quattro anni, passando dal 19,6% del 2004 al 29,9% del 2007. Tra il 2003 e il 2007 in termini di fatturato l’attività è più che raddoppiata; nel 2003 era di 2.473 milioni di euro, nel 2007 è stata di 5.549 milioni».
Il risultato raggiunto però è ben al di sotto rispetto a quanto fanno i concorrenti.

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