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ATECAP ha presentato durante il IV Congresso Nazionale dell’Industria del Calcestruzzo Preconfezionato, i dati congiunturali sullo stato di salute del settore . Dopo un 2006 in sostanziale linea con il biennio precedente – solo un –0,2% rispetto all’apice del 2004, nel 2007 i segnali di recessione si sono fatti concreti. Nell’ultimo anno si è stimata, infatti, una contrazione di attività dell’1,8%. Una contrazione che pesa per circa un milione di mc, passando da 76 milioni e 600 mila mc a 75 milioni e mezzo (Tabella 1). Il 2008 si presenta con segnali ancora più preoccupanti che fanno realisticamente pensare ad un ulteriore e anche sensibile peggioramento. Lo confermano i risultati della parte dell’indagine diretta, che è alla base di questo rapporto, dedicata al “sentimento” e alle aspettative delle aziende. Preoccupa soprattutto l’andamento della domanda di nuove opere e in modo particolare l’edilizia residenziale, di cui si percepisce un calo assai rilevante. Il risultato è che oltre il 65% delle aziende che hanno partecipato all’indagine si dichiarano pessimiste e prevedono una contrazione di domanda e di fatturati. Il ciclo espansivo delle costruzioni ha spinto anche l’industria italiana del calcestruzzo preconfezionato a fare i conti con alcuni processi che avviati oggi costituiscono tendenze precise per il futuro. In particolare si segnalano tre aspetti. 1. Un processo costante e graduale di concentrazione aziendale che ha visto ridursi progressivamente il numero delle imprese dalle 1.500 del 2002 alle 1.264 del 2007; a cui ha fatto riscontro un leggero aumento degli impianti, passati nello stesso periodo da 2.450 a 2.471. La rilevanza del processo di maggiore concentrazione aziendale si coglie dal dato relativo alla media di impianti per azienda che nel 2007 è pari a 2, contro l’1,5 dell’inizio decennio. La produzione media è passata dal 2004 al 2006 da 30.000 mc a oltre 32.600 mc ad impianto. Leggermente in calo a seguito alla contrazione di attività, nel 2007, che con oltre 32.000 mc resta comunque ben al di sopra della media del primo quinquennio del nuovo secolo, attestatasi intorno ai 29.000 mc (Tabella 2). Il risultato è un maggiore numero medio di impianti per azienda, un assestamento del tessuto imprenditoriale intermedio e una riduzione delle aziende monoimpianto soprattutto in alcune regioni del Centro – Nord (Grafico 1). Per quanto riguarda l’occupazione il settore del calcestruzzo industriale assorbe, compreso l’indotto, circa 25.000 addetti. Oltre un quarto dei dipendenti impiegati negli impianti di betonaggio opera nelle regioni del Sud, con una media di 9 addetti ad impianto. Poco meno di un altro quarto del totale è attivo nel Nord Ovest. Ma qui la media di addetti ad impianto si assesta intorno agli 8 dipendenti, percentuale sostanzialmente equivalente a quella registrata nel Nord Est. Nelle Isole e nelle regioni del centro la media è di 6 dipendenti ad impianto. 2. Va evidenziata la rilevanza strategica di collocare la produzione di calcestruzzo all’interno di un quadro aziendale fatto anche di altre attività imprenditoriali in linea con la filiera del cemento armato, in grado di assicurare comportamenti e soluzioni integrate. Cresce infatti il numero e il peso delle aziende che “controllano” l’intero ciclo produttivo dalla cava alla produzione di aggregati fino alla produzione e fornitura di calcestruzzo; così come si rafforza il nucleo di aziende cha allargano il controllo sulla filiera fino alla realizzazione delle opere (Tabella 3). 3. Si registra poi una crescita della domanda di prodotti di maggiore qualità, anche sotto l’effetto positivo dell’evoluzione normativa (Norme Tecniche per le Costruzioni), assunta dalla maggior parte delle aziende come il fattore più importante destinato ad incidere sugli scenari di breve periodo (Tabella 4). I dati dell’indagine relativi ai trend dei consumi di calcestruzzi di resistenza pari a RCK 30 o superiori così come di classe di resistenza S4 e S5 indicano una crescita rilevante a scapito di prodotti di qualità inferiore. E a ciò si aggiunge una crescita decisa della domanda di calcestruzzi durevoli, ovvero in classe di esposizione ambientale. Fattori questi importanti che insieme all’obbligo di certificazione di processo (FPC) sono destinati a far crescere il settore nel suo insieme (Tabella 5 e 6). Si tratta di indicazioni utili a valutare come l’industria del calcestruzzo preconfezionato stia già vivendo un processo di cambiamento che è destinato a registrare, con grande probabilità, un’accelerazione proprio di fronte alle sfide di una fase congiunturale difficile. Come sempre avviene in questi frangenti saranno diversi i fattori che incideranno in termini di capacità di offerta. Tra questi sicuramente la qualificazione e le garanzie del prodotto finale costituiranno un elemento vincente. Del resto è l’intero contesto che si va modificando e che è destinato a mettere in risalto le criticità di un’industria che presenta ancora contraddizioni e differenziazioni significative sia in termini di mercato che di reazione al cambiamento. Elementi di forza e fattori di debolezza L’inversione del ciclo costituisce una novità e le incertezze sulla sua durata e sull’intensità della crisi rischiano di determinare comportamenti e scelte destinate ad incidere negativamente su un comparto industriale che conserva al suo interno fattori di debolezza che rischiano di aggravare la crisi. Il primo aspetto da considerare riguarda la diversità profonda che esiste in termini di capacità di offerta, di tessuto produttivo tra il Centro – Nord – seppure con alcune differenze – e il Mezzogiorno. Tutto il Rapporto è pervaso da questa diversità, dai dati sulla produzione alle caratteristiche dimensionali delle aziende, ad alcuni dati sui consumi delle diverse tipologie di prodotto, alle caratteristiche tecniche e all’anzianità del parco macchine. Forte parcellizzazione produttiva, scarsa incidenza sulla domanda, minore tecnologia applicata agli impianti, betoniere e macchine destinate a più rapida obsolescenza sono tutti elementi destinati a pesare di fronte ad un’accelerazione del cambiamento del contesto e delle regole. Una seconda criticità riguarda l’attuale situazione di eccesso di capacità produttiva rispetto ad una domanda che si ritrae. Ne sono testimonianza l’aumento rilevante del parco mezzi, così come l’aumento medio della produzione in questi anni, nonché i maggiori investimenti tecnologici che si registrano al Nord. E’ questo un nodo importante che da un lato si collega alla questione della concentrazione industriale e dall’altro alla capacità di condizionare il mercato, di spostare la produzione verso prodotti più sofisticati (Tabella 7). Vi sono poi elementi positivi, sempre connessi ai processi in atto. Il primo riguarda la forte integrazione produttiva che caratterizza soprattutto la media azienda. Una integrazione che tende a farsi sempre più forte in alcuni segmenti della filiera, a monte come a valle della produzione di calcestruzzo preconfezionato. Scelte che diventano importanti e destinate a pesare favorevolmente in una fase congiunturale difficile, in quanto consentono di razionalizzare il processo e di conservare margini impossibili per chi è privo di questa integrazione. Il secondo elemento riguarda una generale crescita tecnologica e l’applicazione di processi di razionalizzazione che si incrociano con i nuovi obblighi di certificazione, destinati a irrobustire e a rendere più omogenea la capacità produttiva dell’industria nel suo complesso, con una tendenza verso un’elevazione dell’offerta. Ciò costituisce una condizione imprescindibile per tenere il passo dell’evoluzione normativa e avrà sicuramente effetti sulla struttura e la composizione del tessuto imprenditoriale, oltre che sulla distribuzione delle unità produttive. Consiglia questa notizia ai tuoi amici Commenta questa notizia
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