GOOD N.E.W.S.

La Triennale di Milano, nell’ambito della Festa per l’Architettura – III Edizione, presenta la mostra Good N.E.W.S. Temi e percorsi dell’architettura, a cura di Fulvio Irace e Italo Rota con Fausto Colombo e Luciano Patetta.
Come suggerisce il titolo – acronimo dei quattro assi di orientamento della cartografia tradizionale (North, South, East, West) – la mostra intende proporre al grande pubblico una serie di temi che da sempre appartengono alla storia di quest’arte nella costruzione dell’ambiente umano: che cos’è l’architettura?
Quali sono le sue origini? Come essa si è rappresentata e si rappresenta nelle varie società? Cosa vuol dire fondare una città, costruire una casa, pensare un monumento?
Di questi temi oggi molto si parla, ma indirettamente: deformati dalla prospettiva mediatica, i temi fondamentali della costruzione sono diventati oggetto di una disputa sui linguaggi, sulla volontà spettacolare degli architetti, sul loro modo di rapportarsi al pubblico e al committente in una visione a volte quasi caricaturale del loro ruolo.
La mostra vuole rivolgersi al pubblico in generale e non solo ai conoscitori dell’architettura: il suo linguaggio quindi è volutamente forte e di grande impatto emotivo. Userà dunque il linguaggio delle immagini, ma in un modo che farà percepire la profondità che si cela dietro la superficie bidimensionale dell’immagine stessa: proponendo, ad esempio, accostamenti di immagini tra loro apparentemente lontane, in maniera da far emergere interrogativi e questioni sopite mediante una lettura incrociata e ravvicinata.
L’insieme di queste immagini (circa mille, ordinate per temi secondo le stanze della Galleria della Triennale) configura una sorta di grandioso Atlante della memoria: un muro non mediatico ma immaginifico, dove ogni figura – ridisegnata appositamente da gruppi di stagisti della Facoltà di Design di Milano – diventa un’icona o, se si vuole, letteralmente un “manifesto” della mostra stessa.
L’Atlante è una “fodera” bidimensionale che accompagna il visitatore nel suo percorso ininterrottamente lungo tutte le pareti della Galleria: su di essa alcune frasi, alcuni motti, citazioni di testi e grandi titoli suggeriranno possibili modi lettura. Una serie di domande formulate da Philippe Daverio stimoleranno il visitatore a cercare una propria risposta.
Al centro di ciascuna stanza, ogni tema viene presentato attraverso un’ambientazione che è una vera e propria architettura da camera: una Wunderkammer in legno, uno studiolo in plastica, una casa-tenda in acciaio, una torre d’alluminio, una leggera scatola di specchi, un tumulo di sassi artificiali, una gigantesca cupola-tenda. Ogni architettura sintetizza un tema – la casa, la città, l’allegoria, il mondo degli oggetti, ecc. – e ospita al suo interno una lunga lista di materiali storici, che si contrappongono alla bidimensionalità dei “manifesti”.

Preziosi reperti del passato (dalle urne cinerarie etrusche ai frammenti della città di Roma, i modani di Michelangelo, una veduta della Venezia ideale del Canaletto, passando per preziosi strumenti di misurazione antichi, rare edizioni di Trattati, ritratti di architetti, cartografie urbane e vedute di città, e una stupefacente Hydria di bronzo prestata dal Museo Archeologico di Paestum, ecc.) si mescolano a disegni e plastici di architetture contemporanee, una scultura di Melotti, quadri di Mondrian e di De Chirico, case-città di Alessandro Mendini, le games-cities di E-boy, ecc.
La mostra insomma suggerisce la possibilità (e la libertà) di leggere il mondo in contemporanea, senza che le divisioni della storia possano essere considerate una barriera tra realtà completamente diverse.
Il taglio è piuttosto di natura antropologica: pone al centro l’uomo e, se sceglie il suo punto d’osservazione nella più stretta contemporaneità, il suo giro d’orizzonte spazia per millenni.
D’altra parte, la nuova sensibilità sorretta dalla pervasività delle nuove tecniche digitali e dalle nuove conoscenze del mondo fisico è alla base di una vera e propria rivoluzione culturale: le immagini digitali dell’interno del corpo umano o della sezione di una pianta o di un fiore, ci introducono in un insieme di conoscenze mai prima possibili.
Se l’uomo barocco poteva concepire o immaginare l’infinitamente piccolo e riprodurlo immaginificamente nelle superfici curve di un’architettura, di una scultura o di un dipinto, oggi l’esplorazione spinta dell’interno del corpo umano o animale consente la visione stupefacente di strutture fisiche che sembrano fasci astratti di tessiture, di colori, di volumi, che sperano qualunque fantasia del più spericolato cultore del digitale.
Partendo dall’ingresso della Galleria, la mostra dunque si presenta come una serie di “stanze d’autore”, condensate attorno a una micro-architettura e ai suoi oggetti.
Ogni ambiente offre una particolare chiave di lettura del tema, segnalata anche dalla scelta di un materiale dominante e di un allestimento su misura.
La mostra affronta sette temi che si sviluppano in altrettante stanze/sezioni:
Proporzioni, Ombre, Origini, Oggetti come microarchitetture, Cupole, Città, Allegorie, Ritratti.

Sala delle Proporzioni
La sezione pone il problema del corpo umano come punto di riferimento per la rappresentazione dell’architettura secondo una duplice interpretazione dell’analogia proporzionale e della figurazione antropomorfica.
Dall’Uomo leonardesco agli studi rinascimentali sulle proporzioni del corpo umano, si passa a una visione del corpo nella sua realtà materica. Il corpo ideale del Rinascimento e dei Trattati come misura e il corpo come figura evidenziano in tal modo i poli della ricerca.
Un’isola centrale a forma di parallelepipedo strutturato come uno studiolo ligneo rinascimentale contiene alcuni volumi di riferimento per la storia dell’architettura, da Vitruvio a Le Corbusier, passando da Sebastiano Serlio, Francesco Milizia e Eugène Viollet Le Duc. Le pareti sono tappezzate da immagini che rappresentano il corpo umano, le sue proporzioni e le sue relazioni con la costruzione dell’architettura.

Sala delle Ombre
Attraverso le proiezioni prodotte dallo strumento di misurazione utilizzato da Michelangelo (modano) e dal mendinografo (ironico strumento disegnato da Mendini con le linee curve della sua architettura), all’interno dello spazio centrale si immagina un mondo in bianco e nero determinato dalle ombre (disegnate) sui muri.
La sezione intende infatti l’architettura come organismo con tutte le sue membrature analoghe a quelle del corpo umano: le pareti esterne sono tappezzate da ingrandimenti di parti del corpo umano che presentano sorprendenti analogie con alcune architetture contemporanee (Zaha Hadid, Nox).
Disegno originale di Michelangelo e alcuni riprodotti: studi per la Sagrestia Nuova.

Sala delle Origini
L’origine dell’architettura è un tema dibattuto nella storia della disciplina che assume un ruolo centrale in epoca rinascimentale e illuminista.
Le forme architettoniche nascono dall’osservazione della natura o derivano dalle necessità dettate dai comportamenti dell’uomo e dall’evoluzione che scaturisce dalle nuove scoperte e dalla nascita dei comportamenti sociali?
Sospesa al soffitto, una costruzione centrale evoca una capanna primitiva. All’interno della sala su piedistalli urne a forma di capanne riconducibili al periodo etrusco e la famosa Hydria di Paestum, simbolo delle origini della colonia greca.
Un “fumetto” riproporrà in maniera attuale il rito romano delle fondazioni della città, dove la geometria degli assi (cardo e decumano) si mescola con la natura simbolica ed evocativa del mondo naturale (il fenomeno della divinazione, la lettura delle viscere degli animali, il “fegato” usato dagli etruschi, ecc.).

Sala degli Oggetti
Momento fondante dell’architettura, il tema della casa e degli oggetti che la riempiono assume un ruolo centrale nella storia della disciplina e un valore morale ed estetico nei confronti della comunità.
Facendo ricorso alle idee di casa elaborate dalle culture antiche, moderne e contemporanee, la sezione cerca di individuare una serie di archetipi e di prototipi significativi della cultura dell’abitare.
Particolare risalto è dedicato ai risultati maturati dal Movimento Moderno ad oggi: la casa meccanizzata e standardizzata di Le Corbusier, la casa scultura di Kiesler e Bloc, la casa prefabbricata, la casa postmoderna di Venturi e quella decostruttivista di Gehry, le configurazioni della virtual house di Eisenman e di Foreign Office, le case d’urgenza di Shigeru Ban per le aree colpite dallo Tsunami, la casa-landscape di Herzog e De Meuron, le nuove sperimentazioni tipologiche di Steven Holl sono alcune delle manifestazioni dell’abitare contemporaneo raccontate sulle pareti della sala.
Una grande installazione progettata da Mendini che dialoga con la scala elicoidale della Triennale è simbolo della riflessione sull’importanza della “scala” nella lettura della realtà: una torretta in acciaio che potrebbe diventare anche una caffettiera o una torre per uffici; mentre una selezione di oggetti (tazze, caffettiere ecc.) realizzati come architetture rimpicciolite formano lo skyline di una città ideale. Centrale è infatti il tema della miniaturizzazione dell’architettura e l’ingrandimento degli oggetti.

Sala delle Cupole
Metafora del cielo e simbolo dell’armonia universale, la Cupola ha un posto preminente e particolare nella costellazione delle “figure” dell’architettura, anche per la sua duplice declinazione come segno astratto di perfezione geometrica e il suo richiamo antropometrico al corpo umano.
Ancora simbolico è il ruolo dell’organismo centrico, del quale la cupola è la più perfetta conclusione e copertura. Ma essa è forse anche l’elemento architettonico in cui maggiormente si è cimentata nei secoli la tecnica costruttiva, spingendo la rotazione di un arco intorno ad un asse verticale fino ai limiti consentiti dalla pietra, o dai mattoni, o dal conglomerato cementizio, fino al cemento armato, al precompresso e al ferro.
Semisferica, ellittica, parabolica, articolata, liscia o nervata, la cupola ha coperto via via i grandi organismi religiosi e civili.
La sezione presenta il Pantheon, San Pietro a Roma, la Consolazione di Todi, il Duomo di Como e di Palermo, La Mole Antonelliana, e alcune realizzazioni moderne, con disegni e vedute del Santuario di Vicoforte, di Sant’Alessandro a Milano, degli studi di Borromini, Guarini, Juvarra e di Gaudì per la Sagrada Famiglia.
Tuttavia un’altra interpretazione si oppone a questa concezione della cupola come spicchio di cielo nella solidità della pietra: quella suggerita dal grande architetto e tecnologico americano Buckminster Füller, inventore negli anni Trenta della cosiddetta cupola “geodetica”: una sottile struttura di fili o di elementi sottili intrecciati a formare tanti elementi triangolari che danno luogo un’originale cupola in forma di tenda.
La cupola “mobile” di Füller ha dato origine a una nuova tradizione ingegneristica che si è diffusa da allora in tutto il mondo, ma ha anche avviato un suo utilizzo da parte delle culture hippies e del nuovo nomadismo per la sua possibilità di configurare case mobili (shelters), foriere di una nuova libertà.
Le due culture millenarie – stanziale e nomadica – si ripropongono dunque nelle visioni attuali della tradizione stanziale europea che pensa alla cupola e alla casa come piccoli monumenti e quella americano o asiatica che pensa all’architettura come un oggetto a consumo prefissato.

Sala delle Città
La sezione, attraverso l’accostamento di opere e reperti provenienti da luoghi e tempi molto distanti tra loro, tenta di rispondere a una serie di domande.
Che cosa ha indotto a rappresentare le città? È possibile rappresentare, allo stesso tempo, urbs e civitas?
Tra gli autori presenti nella sezione Gian Battista Piranesi, Umberto Boccioni, Le Corbusier, Vittorio Gregotti, Rem Koolhaas.
Si scontrano le diverse concezioni di città.
Da una parte la città viene percepita frammentata, come un collage, inconoscibile come forma chiusa, dall’altra la città che non presenta momenti frattura come quella antica o come l’idea di continuità ed espansione che troviamo nella Città che sale di Boccioni o nel modello Acilia di Gregotti.
Lungo le quinte di una città immaginaria (ricavata sul modello della scena antica di Palladio nel Teatro Olimpico di Vicenza) plastici, disegni, quadri, libri, ecc., compongono la scena delle città visibili e di quelle invisibili.

Sala delle Allegorie
Combinando assieme le figure con cui l’architettura si è presentata al pubblico, la sezione intende mettere a fuoco e comparare le immagini attraverso cui l’architettura ha inteso rappresentarsi come paradigma di un sapere tecnico e di un programma culturale o artistico.
Negli ultimi quattrocento anni la rappresentazione dell’architettura ha toccato tutti i registri, dall’allegoria, ai «capricci», all’autoreferenzialità assoluta.
Tali immagini hanno avuto l’obiettivo di rendere visibile lo statuto della disciplina di fronte alla società, dichiarare il linguaggio più legittimo, scardinare convenzioni o, al contrario, ribadirne la validità.
Attraverso un percorso parzialmente cronologico, la sezione muove dalle rappresentazioni cinque-seicentesche delle allegorie dell’architettura, per passare alla stagione dei «capricci» e successivamente a quella delle rappresentazioni ideali delle architetture antiche prima e medievali dopo (neoclassicismo e neogotico), e approda alla fase di rottura prodotta dalle avanguardie novecentesche.
Nella parte centrale sono esposti i sistemi di rappresentazione dell’architettura come allegorie del mondo: il teatrino di Aldo Rossi, la percezione di città degli Archizoom come città infinita.
Un’installazione basata sul sistema Manipolo, la cui realizzazione è stata coordinata da Fausto Colombo, permette al visitatore di lavorare su immagini digitali, tratte dal web e relative a progetti di edifici, scenari di videogiochi, mappe satellitari del territorio, elaborazioni geografiche e tematiche dei flussi comunicativi.
Lo spettatore potrà interagire a distanza con le immagini grazie al semplice movimento delle proprie mani, sul modello reso celebre dal film Minority Report.
Spicca all’interno della sezione il capriccio di Canaletto che in quanto rappresentazione di un’architettura ideale viene accostato a un capriccio contemporaneo e virtuale. Infatti vicino all’opera del maestro veneziano sarà possibile per il visitatore attraverso un’installazione interattiva comporre la propria città ideale (gruppo E Boy).
In tal modo, il visitatore si troverà di fronte uno spiazzante confronto: la visione virtuale di Venezia dipinta da Canaletto con gli strumenti tradizionali della pittura e quella evanescente delle immagini di Googleheart, ecc.

Sala dei ritratti
Chiude l’esposizione la sala dei ritratti che mostra la visione che l’architetto ha o trasmette di sé.
Dalla medaglia con l’effigie di Bramante al ritratto di Carlo Scarpa realizzato da Arturo Martini, dall’autoritratto di Carlo Mollino alla figura dell’architetto dipinta da Mario Sironi, la sezione evidenzia il ruolo sociale che l’architetto ha ricoperto negli ultimi quattro secoli e la sua volontà di imporsi come figura cardine del rinnovamento.
In maniera ironica, un grande tumulo di sassi-vetrine celebra il rito dell’Archi-Ego, esponendone i ritratti – foto, dipinti, sculture – come altrettanti ex-voto o immagini di devozione.
Sulla parete di fondo, una serie di televisori trasmetterà in contemporanea brevi filmati con interviste ad archi-star, spezzoni di pubblicità, perfino un divertente cartoon della serie dei Simpson con le avventure di super-Gehry.
La mostra è stata resa possibile grazie anche al contributo di:
Alessi, Pierantonio Bonacina, Borghi, Driade, Frati Laminati srl, Gemino, Hp, Ivri, Marzorati Ronchetti, Molteni & C, Poliform Contract, Serralunga, Unifor
Partner istituzionale: Ras

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