Tutela e la valorizzazione dei beni culturali

La Commissione Istruzione del Senato ha approvato il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sui nuovi modelli organizzativi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali.
L’indagine, avviata nel 2001, ha approfondito le maggiori criticità connesse all’esercizio delle funzioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, rappresentando quest’ultimo una preziosa risorsa per stimolare il turismo e, più in generale, per veicolare la crescita economica del Paese.
In particolare, come evidenziato nel documento, specifica attenzione è stata posta dalla Commissione all’analisi del quadro costituzionale delineato dalla riforma del titolo V della Parte II della Costituzione, attuata dalla legge n.3 del 2001, che ha ribadito la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dei beni, mentre attribuisce a quella concorrente la loro valorizzazione, nonchè la promozione e organizzazione di attività culturali.
In questi ultimi ambiti, lo Stato è chiamato a dettare disposizioni legislative di principio, venendo così meno la facoltà di emanare norme di dettaglio anche se quelle in vigore mantengono la loro efficacia fino all’emanazione della disciplina regionale.
Secondo la riforma, la tutela dei beni rientra, altresì, nelle materie che possono essere oggetto, con legge statale approvata a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata, sentiti gli enti locali, di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia a beneficio delle regioni interessate.
Nel documento viene ricordato, peraltro, che il procedimento di decentramento del settore dei beni culturali di cui alla legge n.3/2001, era stato già avviato con la legge delega 59/1997 (cosiddetta Legge Bassanini), con la quale il Parlamento intese promuovere un ampio trasferimento di funzioni e compiti amministrativi fino ad allora svolti dallo Stato, riservando a quest’ultimo la funzione di sola tutela e con la successiva legge127/1997, che ha stabilito che il Governo, nell’esercizio della delega suddetta, avrebbe potuto prevedere il trasferimento della gestione dei musei statali agli enti territoriali.

Dopo questa prima analisi, la Commissione si sofferma quindi sulle novità introdotte dal Codice dei beni culturali di cui al DLgs 42/2004 in tema di ripartizione delle competenze e funzioni tra lo Stato e i suoi organi periferici (c.d. sussidiarietà verticale), nonchè sul processo complessivo, in atto già dai primi anni `90, volto al coinvolgimento dei privati nel settore dei beni culturali (c.d. sussidiarietà orizzontale), stanti le crescenti difficoltà, anche finanziarie, incontrate dallo Stato nella valorizzazione del patrimonio culturale italiano.
A questo riguardo vengono ricordate le diverse modalità delle iniziative private fin qui attuate, quali, l’affidamento dei servizi aggiuntivi, anche tramite il ricorso al global service – previsto dalla legge finanziaria 2002 – ed i contratti di sponsorizzazione.
In relazione alle modalità di valorizzazione dei beni culturali ad iniziativa pubblica, un apposito spazio è dedicato, altresì, all’istituzione, con la legge 291/2003, della Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo, Arcus SpA.
La stessa, pur operando secondo regole privatistiche, riveste una natura essenzialmente pubblicistica, per cui le azioni costituenti il capitale sociale, inalienabili, sono detenute dal Ministero dell’Economia e la partecipazione di nuovi soci è limitata all’ acquisizione di azioni di nuova emissione, che non possono superare il 60% del capitale detenuto dallo Stato.
In tal modo si è quindi individuato un organismo finalizzato ad attrarre risorse private da destinare alla promozione, nonchè al sostegno finanziario, tecnico ed organizzativo per interventi di restauro, recupero dei beni culturali, oltre ad ulteriori interventi per attività culturali e lo spettacolo.
La Società, pienamente operativa dal maggio 2004, ha sostenuto finora 22 progetti, potendosi avvalere di una quota pari al 3% degli investimenti infrastrutturali stanziati dalla legge obiettivo (L. 443/2001), successivamente incrementata di un ulteriore 2% dalla legge 43/2005.
In relazione al coinvolgimento dei privati nella salvaguardia del patrimonio culturale, nelle conclusioni del documento viene evidenziata la mancanza di una normativa organica che non consente al Paese di essere in linea con il panorama internazionale.
In proposito viene rilevata, in particolare, la carenza di un regime fiscale agevolato, connesso anche alle donazioni. Così come andrebbe incentivato il ricorso a strumenti innovativi, come il project financing, che, introdotto dalla legge 109/1994 trova ora una specifica estensione nella salvaguardia del settore artistico nel Codice dei beni culturali.
Occorrerebbe, altresì, potenziare lo strumento della fondazione, come sperimentato in qualche caso, costituendo la stessa un’innovativa formula di gestione in cui il privato è chiamato a svolgere un ruolo di primo piano, e non di mero finanziatore.
Nonostante l’invito a promuovere per quanto possibile il ricorso all’intervento privato, nel documento viene segnalato, peraltro, che lo stesso presenta dei limiti fisiologici e, quindi, senza negare l’opportunità di porre in essere misure volte a rendere sempre più appetibili ai privati gli investimenti nel settore, le esperienze internazionali mettono in guardia dalla possibilità di considerare l’apporto privato sostitutivo rispetto a quello pubblico.
Occorrerebbe perciò, in conclusione che il finanziamento statale sia certo e programmato nel tempo, al fine di garantire, da un lato, l’indispensabile programmazione a livello locale e, dall’altro, di attirare il finanziamento privato che – come è noto – affluisce solo dove sono certi e dinamici gli stanziamenti pubblici.

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